Siamanna
Sorse in epoca romana dove oggi risiede la parte alta dell’abitato, a Funtana e susu, lungo il tracciato della strada da Usellus a Forum Traiani (Fordongianus), tuttora indicata come is Romanaius. Siamanna è un paesino di circa 800 abitanti, a 15 chilometri da Oristano, arroccato ai piedi del monte Grighine, da cui prende nome il territorio ai confini tra Campidano settentrionale e i territori storici del Barigadu e dell’alta Marmilla. Il nome stesso deriva da s’ia, ossia ‘la via’, con riferimento alla strada romana. Ad essa è aggiunto l’aggettivo manna (grande), in contrapposizione al vicino e minore centro di Siapiccia, cioè ‘via piccola’, col quale Siamanna fu unito amministrativamente dal 1947 al 1975. Poi divennero due Comuni a sé stanti.
Il centro storico è ben curato con architetture rurali campidanesi: case basse con cortili ampi e strade strette. Al centro sorge la parrocchiale di Santa Lucia, il cui impianto originario trinavato - ampia navata centrale e due laterali - di stile romanico-pisano risaliva al 1512. Nella prima metà del Novecento, ormai in rovina, fu abbattuto e fu edificata una nuova chiesa. Rimase in piedi solo il campanile del 1745, all’epoca del marchesato d’Arcais. La patrona è celebrata il 21 e 22 agosto, con due eventi molto sentiti dalla comunità, il palio de su pannu – drappo di broccato o damasco, un tempo premio della corsa - e la sagra dei prodotti tipici. Protagonisti sono pane siamannese, uva, formaggi e ricotta, tipici di un borgo basato su allevamento e coltivazione di cereali, frutteti, oliveti e vitigni. Durante la sagra le massaie cucinano i ravioli secondo ricette tradizionali e li offrono in degustazione. I festeggiamenti religiosi si ripetono il 12 e 13 dicembre con falò e processione. Da visitare, su una collina a circa due chilometri dal paese, la chiesetta di San Giovanni, forse costruita nel XVI secolo e poi oggetto di vari restauri. Il santo è festeggiato a fine giugno con cena, musica e balli tradizionali. Accanto sorge il nuraghe omonimo, il più importante dei nove che cingono l’abitato e che precedettero di vari secoli prima il passaggio punico, poi la cospicua ‘romanizzazione’. Gli altri nuraghi sono Auredda, Concu, Crogana, Curreli, monte Qua Sigu, Paba de Soli, Pajolu, Pitzu Cau e Santa Vittoria.
Il Grighine sfiora i 700 metri e domina il fertile territorio di Siamanna, solcato da vallate e attraversato dal fiume Mannu. Il monte è un’isola paleozoica nata 500 milioni di anni fa. Sulle pendici affiorano rocce basaltiche e granitiche erose dal vento, alternate a macchia mediterranea, a tratti impenetrabile, con ‘sprazzi’ di lecci secolari e sughere, come a sa Cora e is ottus e a su Sruesciu Nieddu. Nei secoli scorsi rifugio di banditi, oggi il monte ospita un imponente parco eolico.
Gonnosnò
È adagiato a circa 200 metri d’altitudine ai piedi dell’altopiano della Giara, all’interno di un contesto naturalistico di elevato pregio ambientale. Come indica il toponimo (gonnos, alture), Gonnosnò, paesino di quasi 800 abitanti dell’alta Marmilla, è al centro di un territorio collinare che comprende anche la frazione di Figu, detta così presumibilmente per l’abbondanza di alberi di fico. Nel 1947 il Comune era Figu-Gonnosnò, dal 1964 ha assunto l’attuale denominazione. Paese e borgata sono citati nei libri di storia sarda perché i primi dove è stato fondato un monte granatico (1678) . Non a caso, l’economia è agro-pastorale anche se anche l’artigianato riveste un importante ruolo.
Tra le eccellenze artistiche del paese c’è la parrocchiale di Sant’Elena imperatrice, con un campanile del 1645, coperto da una cupoletta, sino agli Settanta del XX secolo rivestita da 800 tegolini colorati (poi rimossi). All’interno, due cappelle risalenti al 1690: della Madonna del Rosario e di san Basilio, dove vedrai un altare ligneo impreziosito da intagli e dorature. Il fonte battesimale è del XVII secolo e l’altare maggiore del XIX secolo con paliotto di marmo policromo del 1700. La patrona è festeggiata a metà agosto. La chiesa di Figu è dedicata alla Natività di Maria vergine: è in cima a una collina dal 1624. La porta maggiore è sormontata da un architrave sagomato e fregiato. L’interno è a navata unica con copertura lignea. Custodisce tre antichissime statue: Resurrezione, Vergine del rosario e sant’Antonio Abate, in onore del quale si accendono i fuochi a metà gennaio. Le altre celebrazioni sono per san Sebastiano (20 gennaio), san Salvatore (martedì dopo Pasquetta), san Bernardino da Siena e san Priamo (a metà e fine maggio) e santa Vitalia (inizio ottobre).
Il territorio di Gonnosnò è ricco di testimonianze nuragiche: il tempio a pozzo di san Salvatore, costruito con blocchi in pietra lavorati, a circa 300 metri dalla fonte, le quattro tombe di Giganti di is Lapideddas e una decina di nuraghi monotorre, disseminati sul territorio. Il più interessante è il nuraghe Nieddiu, su uno sperone sporgente della Giara, forse poderoso strumento di difesa. La struttura è in massi di basalto sbozzati e disposti con cura. La torre ha diametro di 11 metri ed è alta attualmente tre.
Mogorella
Sorge ai piedi del suggestivo monte Grighine, in un’area rigogliosa dominata dal parco del monte Arci e ricoperta da macchia mediterranea (cisti, corbezzoli, lecci, lentischi, mirto), roverelle e sughere, habitat di numerose specie animali. Mogorella è un piccolissimo centro di circa 450 abitanti dell’alta Marmilla, in provincia di Oristano, il cui toponimo, attestato ufficialmente nel 1546, indica una ‘piccola collina’. Il patrono del paesino è san Lorenzo, festeggiato due volte all’anno: il 20 maggio, con una processione accompagnata da gruppi folkloristici e cavalieri; in concomitanza con la sagra della pecora, che viene degustata insieme al vino locale; e a metà agosto con riti religiosi e manifestazioni civili.
Il suo territorio fu abitato sin dalla preistoria: sono ben sette le testimonianze nuragiche, sua grande attrazione. Di notevole importanza il protonuraghe Friarosu, che sorge su un pianoro calcareo alto 400 metri, vicino all’ingresso al paese. Ha struttura ‘a corridoio’, di cui rimangono sette filari di pietra per un’altezza di cinque metri. Rappresenta, specie nell’architettura dei due vani interni di forma sub-ellittica, l’‘anello di congiunzione’ tra arcaica tipologia nuragica e quella più evoluta a tholos (falsa cupola). Risale a un periodo compreso fra Bronzo antico e medio, come confermano i numerosi reperti ceramici rinvenuti: piatti, tegami, scodelle con orlo, ciotole emisferiche e carenate, olle a bocca ristretta, tutti materiali della cultura di Bonnanaro, in uso sia nei protonuraghi che nei nuraghi a tholos. Altra importante eredità preistorica è il nuraghe Mannu, quello meglio conservato. Vicini fra loro sono i nuraghi Bau Tentu, costituito da due strutture circolari unite da corridoio, e Luas, in origine costituito da tre ambienti sovrapposti collegati da una scala. Del nuraghe Cuccuru, a un chilometro dal centro abitato, resta un tratto delle mura perimetrali. L’Aresti, il Pastoris e il Ruina Tassa sono di tipo monotorre, così come il nuraghe Fenugu, attorno a cui presumibilmente sorgeva un grande villaggio. Il ritrovamento di una preziosa e rara scultura bronzea, il Gladiatore di Mogorella, oggi esposta al museo archeologico nazionale di Cagliari, dimostra che l’area fu occupata in epoca romana. La statuetta di quasi otto centimetri raffigura un secutor, che era opposto al reziario e doveva sfuggire alle sue temibili armi. Il capo è coperto da un elmo, la mano destra sollevata impugnava una spada (di cui resta l’elsa), la sinistra stringeva uno scudo, oggi perduto.
San Vero Milis
Si distende all’estremità nord-occidentale del Campidano, a ridosso dei rilievi del Montiferru e a un quarto d’ora dal mare. San Vero Milis è un centro agricolo di circa duemila e 500 abitanti, famoso per arte dell’intreccio, con realizzazione di cestini e canestri di giunco, coltivazione di mandarini e produzione della vernaccia, con un distintivo profumo di mandorle. È noto anche per la sua meravigliosa costa e, agli amanti dei gatti, per la colonia felina di su Pallosu. La cerealicoltura è da sempre l’attività principale: il centro fu granaio di Cartagine prima e di Roma poi. Ad essa sono collegati pane e pasta fatti in casa. Altre tradizioni sono su Carru ‘e is padda, il carnevale sanverese, la Settimana Santa, con momento culminante nel Triduo sacro (giovedì, venerdì e sabato santi), e abiti tipici, maschile e femminile. A novembre va in scena la rassegna dei vini novelli. Nel centro spicca la parrocchiale di santa Sofia, risalente al 1604, che presenta in facciata un rosone ‘gotico’ in trachite rossa e tre ingressi in stile rinascimentali, all’interno altari e simulacri barocchi. Da non perdere anche la chiesa di san Michele arcangelo.
Una grande varietà di ambienti caratterizza il territorio: dalle campagne coltivate alle dune di sabbia finissima del deserto costiero di Is Arenas, dalle alte falesie calcaree di capo Mannu e di su Tingiosu, paradiso dei surfisti, a vari stagni, tra cui Sale ‘e Porcus, oasi protetta Lipu, frequentata anche dai fenicotteri rosa, luogo ideale per gli appassionati di birdwatching. Dall’erosione calcarea sono nate alcune delle più incantevoli calette e spiagge della penisola del Sinis. A circa venti chilometri dal paese, incontrerai i suoi ‘gioielli’: s’Arena Scoada dall’aspetto oceanico-tropicale, che si apre di fronte all’isola di Mal di Ventre, la splendida e riparata Putzu Idu con sabbia di quarzo candida e soffice, la piccola e deliziosa Mandriola, la stupenda e multicolore sa Mesa Longa, un’autentica piscina incastonata tra le falesie, l’oasi di pace dei felini di su Pallosu, una delle perle del Sinis, l’ampia e lunga sa Rocca Tunda, con sabbia dorata e morbida, e le calette di ciottoli di Scal’e Sali. Oltre c’è la baia di Is Arenas. Sul litorale sono appostate varie torri, tra cui delle Saline, di Scala ‘e Sali e sa Mora, costruite dagli aragonesi in difesa dalle incursioni barbaresche. La presenza umana nel territorio è attesta sin dal IV-III millennio a.C. da tre necropoli a domus de Janas, tra cui quelle di Serra is aràus, con camera ‘a forno’ e un ingresso a pozzetto. All’ età del Bronzo risalgono circa trenta nuraghi, tra cui s’Urachi, uno dei maggiori della Sardegna: sinora nell’antemurale sono state individuate sette torri.
Museo del giocattolo tradizionale della Sardegna
Una collezione specchio autentico dell’anima popolare, nonché singolare recupero di memoria storica e cultura manifatturiera dell’antica società agropastorale sarda. Nato da un lavoro di ricerca elaborato nel triennio 1993-96 dalle scuole medie di Ales, centro principale della Marmilla arrampicato sulle pendici del parco del monte Arci, inaugurato nel 2002 e riaperto nel 2013 dopo lavori di restauro, il museo del giocattolo tradizionale della Sardegna è una realtà unica nel panorama museale regionale. Ripropone la cultura del giocattolo di un tempo che ha animato nonni e genitori durante l’infanzia, esponendo giocattoli costruiti artigianalmente, realizzati ‘in casa’ con abilità e maestria, usando materiali che l’ambiente offriva. La sede è Zeppara, piccola frazione distante circa un chilometro dal paese natale di uno degli intellettuali e politici più influenti del Novecento europeo, Antonio Gramsci, una suggestiva borgata che ha conservato l’originaria struttura architettonica agropastorale ed è interamente circondato dalla campagna.
Oggi la struttura museale custodisce una rappresentativa e varia raccolta di giocattoli dal genuino carattere popolare, realizzati con i comuni materiali naturali.
La collezione, organizzata per sezioni tematiche, ricostruisce fedelmente i giocattoli. Alcuni imitano armi, tipo fucili di canna e fionda, altri mezzi di trasporto, come i ‘classici’ carretti di asfodelo, poi ci sono bambole realizzate con stracci, rafia, zucche, giocattoli da usare in movimento, come i cavalli di canna, o che richiedono abilità nel lancio, come trottole e girandole, alcuni usati per la produzione di suoni, fischi e rumori, altri in ricorrenze festive, infine trappole e altri passatempi. Sono originalissimi, frutto della creatività popolare oppure appartenenti a una cultura arcaica: avrai un’idea chiara di come si svolgesse il gioco nella società agropastorale sarda. L’allestimento valorizza i giocattoli grazie a supporti espositivi essenziali, costruiti con materiali locali, come le canne intrecciate, che contribuiscono a creare un'atmosfera magica e originale. Il percorso espositivo è supportato da testi esplicativi, per documentare le informazioni socio-culturali di ciascun giocattolo mentre un’area laboratorio consente la loro prova diretta.
Il museo è una notevole risorsa culturale, meta soprattutto di tantissime scolaresche, specie delle scuole primarie. La prospettiva è la realizzazione del progetto ‘Zeppara paese dei balocchi’, una vera e propria borgata-museo. Attorno ci sono tante altre famose realtà museali, con cui la struttura collabora: ad Ales - forse la più piccola sede vescovile d’Italia - il museo del tesoro della maestosa cattedrale di San Pietro, cattedrale (costruita nel 1686) e l’esposizione permanente di cinematografia, a Pau il museo dell’ossidiana e tantissime testimonianze nuragiche, a Barumini, Morgongiori e Villanovaforru.
Villacidro
Un tempo ‘paese di montagna’, celebre per l’aria salubre, oggi moderna cittadina che conserva tradizioni agropastorali e produce eccellenti olio d’oliva, vini, da cui deriva una pregiata acquavite, e ciliegie, cui è dedicata a giugno una celebre sagra. Villacidro, grande centro del Medio Campidano di 14 mila abitanti, sorge laddove la pianura cede il passo ai contrafforti del monte Linas. La sua ricchezza sono le bellezze naturali: valli di Coxinas e Villascema, boschi rigogliosi, tra cui la foresta di Montimannu, paesaggi dolomitici, prati d’asfodelo e colline con macchia mediterranea. Il territorio è percorso da torrenti che formano spettacolari cascate. La più nota, meta di villeggiatura del poeta D'Annunzio, è sa Spendula, una ‘lama’ d’acqua che fende la roccia tra oleandri e lecci, compiendo tre salti consecutivi. Nei sentieri del complesso monte Linas-altopiano di Oridda-Marganai, parco dove fare escursioni di trekking, in bici e a cavallo, lo spettacolo prosegue con le cascate del rio Linas, Piscina Irgas, che si immerge dopo un salto di 45 metri, e Muru Mannu (nel territorio di Gonnosfanadiga), la più imponente dell’Isola (alta 70 metri).
Villacidro è ancorata ai valori del passato, celebrati dallo scrittore Giuseppe Dessì, il suo cittadino più illustre, cui è dedicato il parco culturale Dessì all’interno del monte Linas: i paesaggi sono quelli esaltati dalle opere del vincitore del premio Strega (1972). A proposito di cultura non perderti il museo d’arte sacra, quello farmaceutico sa Potecarìa, e quello archeologico Villa Leni, un tempo monte granatico. Espone testimonianze di un territorio abitato dal Neolitico, poi nelle età del Rame e del Bronzo (il villaggio nuragico di Cottega e vari nuraghi) e in epoca romana (una necropoli e resti di due terme), quando forse sorse il primo centro abitato di villa citra, ‘villa al di qua del fiume’. In città e campagne, tra gli edifici di culto, spiccano la chiesa di san Sisinnio (XVII secolo), immersa tra oliveti secolari, e la parrocchiale di santa Barbara, di origine cinquecentesca. Del suo originario impianto gotico-catalano si conservano campanile e capilla mayor con volta stellare, non interessati dalla ristrutturazione di fine XVII secolo, che diede un aspetto neoclassico alla chiesa. Nel corso del 1700 si arricchì di arredi prestigiosi, come l’altare maggiore. Da visitare anche il lavatoio pubblico, inaugurato nel 1893: una copertura sorretta da colonne in ghisa protegge 36 vasche rivestite in trachite. Il centro abitato si anima in vari appuntamenti, tra cui a metà gennaio i fuochi di sant’Antonio abate e per Halloween la festa de is Animeddas (o Mortu mortu): Villacidro è noto tradizionalmente come il ‘paese delle streghe’.
Masullas
Viuzze e case in pietra arenaria a vista, proveniente delle vicine cave, si ‘addossano’ sul pendio di una collina, in mezzo alle vallate dell’alta Marmilla. Masullas è un paesino di circa mille abitanti, che fa parte dei borghi autentici d’Italia e occupa una suggestiva porzione del parco del monte Arci, che comprende il bosco di Taraxi, la parete rocciosa su Columbariu e il parco dell’ossidiana di Conca ‘e Cannas, il maggior giacimento sardo di ‘oro nero’ preistorico, dal VI millennio a.C. attrazione per tutti i popoli del Mediterraneo che giungevano nell’Isola ad approvvigionarsene. Il giacimento è nascosto nelle viscere del vulcano spento, ricoperto da lecci, roverelle e macchia mediterranea. L’Arci è ideale per escursioni: ammirerai sa Perda Sperrada, blocco lapideo con spaccatura perfetta, e il sito prenuragico dei menhir di sa Pedra isposa. Troverai anche i resti di dodici nuraghi, tra cui nuraghe su Para.
Il rio Mannu ha da sempre favorito a Masullas l’attività agricola. Nato in epoca romana - come confermano le necropoli di Mitza Salida e di sa Roia de sa lua - il centro era passaggio verso l’interno: i viandanti sostavano nei masones (rifugi). Altre ipotesi fanno derivare il nome da masiullas (piccole case) o mansio (fattoria). Di certo il paese nacque dalla fusione di due villaggi sviluppatisi attorno alle chiesette medioevali tardo-romaniche di Santa Lucia (celebrata a metà dicembre) e San Leonardo (festeggiato a metà novembre), la più antica, eretta nel XIII secolo su un impianto precedente. Con la costruzione della parrocchiale della Madonna delle Grazie, i due rioni si unirono. La chiesa fu rifatta a fine XVII secolo con copertura lignea e nuova facciata. Durante il restauro è stato portato alla luce un fonte battesimale paleocristiano (VI-VII d.C.). Conserva anche un retablo ligneo (1676). In onore della patrona, si svolge a inizio luglio la festa de sa Gloriosa, con processione di abiti tradizionali, cavalieri, traccas e melodie delle launeddas.
Testimonianza dei monaci è il seicentesco convento di San Francesco, collegato a una chiesa che custodisce una collezione di statue lignee e sculture (XV-XIX secolo) di cappuccini e gesuiti. Oggi l’ex convento ospita il GeoMuseo, intitolato a Stefano Incani, mostra di stupendi minerali e di 1800 fossili, che racconta l’evoluzione geologica della Marmilla. Da non perdere il museo I Cavalieri delle colline, storia dell’aristocrazia feudale attraverso opere d’arte, armi, costumi, documenti e libri antichi. Per celebrare il frutto simbolo del borgo, a inizio novembre c’è la sagra del melograno, con degustazioni di marmellata, liquori e prelibatezze della cucina locale: paste (crogoristas e tallutzas), carni arrosto o in umido (con carciofi e patate), dolci alle mandorle (amarettus e gueffus). A maggio nella sagra del pollo ruspante, lo assaggerai preparato secondo tradizionale ricetta.
Pau
Si adagia a 300 metri d’altezza sul versante occidentale del monte Arci, il più grande giacimento sardo di ossidiana, che lo incornicia coi suoi boschi e interrompe bruscamente una scenografia fatta di morbidi rilievi collinari, fra cui su Ventosu. Pau è un piccolo paese, di poco più di 300 abitanti, dell’alta Marmilla, territorio fertile e ricco di corsi d’acqua, dove si coltivano cereali, legumi, frutteti e vigneti. L’origine è forse romana, come testimoniano ritrovamenti di embrici, vasi, monete e tracce di antiche costruzioni in varie località, tra cui sa Telluri. Il nome stesso deriverebbe dal latino pagus (villaggio). Alla preistoria risalgono tre nuraghi, uno monotorre, su Castiu o Spadua, e due complessi, nelle località Arruinas e punta su Nuraxi. Oggi il borgo è articolato in una rete di strade su cui si affacciano antiche case in pietra. Al centro la parrocchiale di San Giorgio martire, in campagna la chiesetta di Santa Prisca martire, celebrata a inizio settembre.
Il territorio montano di Pau fa parte del parco del monte Arci, coperto da un ‘abito verde’ che riveste i suoi condotti vulcanici culminanti in tre punte simili a un treppiede. Nel massiccio ci sono almeno tre colate distinte di ossidiana da cui derivano una decina di siti di raccolta e un centinaio di centri di lavorazione. Il minerale, raro nel Mediterraneo e usato per costruire armi e utensili, è stato a partire dal VI millennio a.C. grande attrazione per popoli che giungevano in questa parte nell’Isola ad approvvigionarsene. Il generale Alberto La Marmora nel suo ‘Itinerario’ (XIX secolo), affermò di non aver visto altrove tale quantità di pietra nera e lucente. Alcuni giacimenti e insediamenti ricadono nel territorio di Pau, in particolare la vasta area di estrazione e trasformazione del canale di Sennixeddu, che ha restituito grandi concentrazioni di ossidiana e prodotti di scheggiatura. A poche centinaia di metri, a su Forru de Sinzurreddus, forse c’era un insediamento prenuragico.
Sentieri tra lecci, roverelle e macchia mediterranea, popolati da cervi e daini (reintrodotti) e sorvolati da rari rapaci, ti permetteranno di scoprire gli aspetti più nascosti del massiccio dell’Arci. Famoso è il sentiero corvino (nero), ripido e con grandi cumuli di ossidiana. Potrai intraprendere il percorso, accompagnato da guide, direttamente dal museo dell’ossidiana, in periferia del paese. All’interno di un luogo unico nel suo genere, dove sono esposte riproduzioni di antichi utensili e le opere dello scultore Karmine Piras, scoprirai la storia plurimillenaria dell’‘oro nero’ preistorico. Nel centro storico, visiterai laboratori dedicati alla creazione di gioielli di ossidiana e metalli preziosi e ammirerai le sculture contemporanee ricavate da grandi blocchi scuri, in particolare due nella piazza del municipio.
Turri
Sorge nel cuore nella parte pianeggiante della Marmilla, tra la Giara di Gesturi e quella di Siddi. Da Turri ammirerai panorami variegati: in primavera il verde colore dei campi coltivati, in estate il colore intenso della terra. Il centro condivide con San Gavino Monreale il primato nella produzione dello zafferano, l’oro rosso sardo. Il paese, popolato da poco più di 400 abitanti, è costituito da un centro storico con tipiche case a corte, circondate da alti muri, con davanti ampi cortili e alle spalle piccoli orti familiari. Solitamente si affacciano sulle vie con grandi portali, alcuni risalenti sino all’Ottocento, più spesso del XX secolo.
Potrai visitare per tappe il paese, attraverso la seicentesca chiesa di san Sebastiano, di fronte alla quale sorge una costruzione risalente al secondo Ottocento, sede del monte Granatico, antico palazzo per la raccolta del grano. L’edificio ha un pregevole aspetto signorile con decorazioni palladiane sopra l’architrave delle finestre, che dimostrano l’arte classicheggiante dell’autore. Da visitare anche il suggestivo parco degli ulivi e il cimitero monumentale di sant’Elia. A settembre si svolge una singolare manifestazione: la mostra degli spaventapasseri.
Attorno al centro abitato si distende un territorio abitato sin dalla preistoria come testimoniato dai numerosi nuraghi della zona: quelli a unica torre di Bruncu Monti Ari, Turriga, Sirissi e i due nuraghi complessi di Cabonu e su Senzu.
Siapiccia
La sua antica storia è parallela a quella della vicina Siamanna, al quale fu legata sino al 1975, prima che divenissero due Comuni autonomi. Siapiccia nacque come presidio lungo una strada romana, la via (in campidanese s’ia) che da Usellus portava a Forum Traiani (Fordongianus), lungo le falde occidentali del monte Arci. Trae la seconda parte del nome (piccia, piccola) dal fatto che forse si trattasse di una via minore o secondaria rispetto alla strada manna (grande) dove nacque Siamanna. Il paesino di meno di 400 abitanti sorge ai margini della pianura del Campidano di Oristano, da cui dista 18 chilometri, con le pendici occidentali del monte Grighine, alle porte del territorio storico del Barigadu. È un’area ricca di affioramenti di quarzite, un tempo usata per ricavarne materiale tintorio, e di sorgenti termali: le più note sono sa Mitza de s’acqua callenti (dell’acqua calda), con proprietà salutari, e la fonte di s’Arrogana, da cui scaturisce acqua microbiologicamente pura. Il monte caratterizza il paesaggio con rocce erose dal tempo e macchia mediterranea, a tratti impenetrabile.
Le attività economiche prevalenti sono allevamento e agricoltura, in particolare produzione di grano e orzo. Nel punto più alto, nonchè centro del paese, si erge la parrocchiale di San Nicolò di Bari, consacrata nel 1605. All’interno si conserva un bell’altare in marmo raffigurante il santo patrono, festeggiato il 6 dicembre. Poco più di un mese dopo si svolgono altri festeggiamenti religiosi: l’8 gennaio in onore della Madonna del Rimedio e il 16-17 i fuochi di Sant’Antonio abate.
Il territorio di Siapiccia fu abitato da epoche molto più remote di quella romana, sicuramente durante il periodo fenicio e punico, di cui rimangono numerose sepolture e graffiti, e precedentemente anche nel Neolitico e nell’età del Bronzo, come confermano testimonianza sparse, specie alcuni ruderi di nuraghi. Durante il Medioevo il paese era inizialmente sotto l’autorità del giudicato d’Arborea, poi fu incluso nel marchesato di Oristano.