Scano di Montiferro
Si arrampica a quasi 400 metri d’altezza sul versante settentrionale del Montiferru, circondato da uliveti e boschi secolari di lecci, querce e corbezzoli e punteggiato da sorgenti famose per effetti benefici. Scano di Montiferro è un paese di mille e 500 abitanti tra Oristano e Bosa, a mezzora d’auto dalla costa occidentale, basato sulla coltivazione di viti e ulivi, da cui deriva un pregiato (e pluripremiato) olio d’oliva. Altra attività rinomata è la produzione di miele. Il borgo, di lingua logudorese, ha radicate usanze: su cuncordu, canto che accompagna da secoli i riti della Settimana santa, balli tradizionali e feste come fuochi di sant’Antonio abate, carnevale iscanesu, in cui è protagonista la maschera arcaica de s’Ainu Orriadore, sa festa ‘e totta ‘idda (ogni quattro anni) e sa festa manna per san Pietro apostolo, a fine giugno.
Al patrono è dedicata la chiesa parrocchiale del XVIII secolo, dove è conservato l’antico simulacro ligneo del santo. In centro spuntano anche il campanile quattrocentesco della Madonna del Rosario e la facciata seicentesca di San Niccolò. Tra le chiese campestri, suggestive sono Santa Croce e San Giorgio, poste su due colline ‘a far da guardia’ al paese, la più nota è la chiesa di sant’Antioco, patrono della Sardegna, a sei chilometri dal paese. Costruita nel 1636, è affiancata dagli alloggi per i devoti durante novene e feste del santo, la cui statua è accompagnata in processione due volte, una settimana dopo Pasqua e a fine agosto. La chiesa accoglie folle di pellegrini anche dai paesi vicini. Il santo dà nome anche alle vicine sorgenti di sant’Antioco, che alimentano gli acquedotti della zona e azionano i mulini del rio Mannu. Vicino al paese sorge la via dei mulini, unica nell’Isola, che ha dato vita dal Medioevo a un’attività paleoindustriale. Dei 16 mulini originari, oggi ne vedrai sette, a ruota orizzontale e a ruota verticale. Vicino al paese sono imperdibili anche la cascata del bosco s’Istrampu de Alere e il parco degli uccelli, museo naturalistico popolato da asinelli, cavallini della Giara, daini, emù, mufloni e sorvolato da fenicotteri, gru, ibis, pappagalli e pavoni. Ampie vasche ospitano cigni e oche. Emozionante è la visita al santuario di santa Barbara, a due chilometri dal paese, tra le rocce e accanto a domus de Janas e nuraghe Abbaudi, edificio in blocchi di arenaria, la cui unica torre si conserva per 16 filari, alta nove metri. Attorno resti di villaggio. Uno dei più imponenti nuraghi del Montiferru è il Nuracale, costituito da una torre centrale, alta undici metri, e un quadrato di cortine murarie e torri angolari intorno. In zona ammirerai anche le tombe di Giganti di Pedras doladas. Sono le tre maggiori espressioni della civiltà nuragica, che ha disseminato tracce di 50 insediamenti in un territorio frequentato già dal Neolitico e abitato poi in epoca punico-romana.
Gonnoscodina
Adagiato su un pendio collinare molto fertile, Gonnoscodina è un paesino di origine medioevale di 500 abitanti dell’alta Marmilla, attorniato da rilievi e attraversato dal rio Mogoro. La radice gonnos (comune a vari paesi sardi) significa, appunto, ‘collina’, mentre la parte finale codina ‘roccia’. L’attività principale è, chiaramente, l’agricoltura, cui è associata la lavorazione artigianale di legno e ceramica. All’ingresso del paese ti apparirà la grande ed elegante cupola della chiesa di san Daniele (della prima metà del XIX secolo), simbolo del paese: all’interno, a pianta centrale, ospita un magnifico altare in marmo pario. Attorno un bellissimo parco ammantato di macchia mediterranea. All’interno del centro storico ammirerai un antico ponte di datazione incerta e la parrocchiale di san Sebastiano, costruita in stile ionico a croce greca nel XVII secolo (al posto dell’antica parrocchiale di san Bartolomeo), che custodisce una reliquia della santa Croce e un calice antico di grande pregio. Il patrono è celebrato il 20 gennaio con un caratteristico falò acceso nella notte. Mentre san Daniele è festeggiato tre volte: a inizio maggio, a metà e metà novembre. A fine agosto la festa di san Bartolomeo nella suggestiva cornice del parco che circonda i ruderi della chiesetta a lui dedicata.
Da Gonnoscodina raggiungerai facilmente luoghi dove la natura ha dato il meglio di sé: la Giara di Gesturi, oasi ambientale senza pari, famosa per i cavallini selvaggi, la Giara di Siddi, dove la roccia basaltica ha creato nel tempo singolari fessurazioni verticali dai caldi colori rossastri, e le pendici del suggestivo monte Arci con angoli incontaminati e giacimenti di ossidiana, sfruttati sin dalla preistoria. A proposito di tempi antichi, la fertilità del terreno ha contribuito all’abitazione del territorio di Gonnoscodina fin da età nuragica: la massima testimonianza è il nuraghe Nurazzolu. La zona fu poi frequentata dai romani, alla cui epoca risalgono una piccola necropoli e un deposito monetario nelle campagna vicine al paese.
Nureci
Si adagia sulle pendici del monte Maiore, ai confini settentrionali della Marmilla, circondato da ampie vallate, sorgenti, pareti rocciose e originali formazioni granitiche. Nureci è un grazioso borgo di circa 400 abitanti, per i quali attività agricola, allevamento e lavorazione artigianale della pietra sono le risorse principali. Il paese fece parte della curatoria di Part’e Valenza nel giudicato d’Arborea. L’odierno abitato risale al secondo XV secolo: gli abitanti di Genadas lasciarono il villaggio a causa degli assalti dei briganti e si stabilirono nell’attuale Nureci. Accanto alla chiesetta campestre della Madonna d’Itria ci sono i ruderi dell’antica villa. Il martedì dopo Pentecoste vi si svolgono festeggiamenti di origine bizantina. La struttura urbana ha conservato tratti antichi: spiccano edifici di inizio XIX secolo, tra cui il palazzo baronale dei Touffani, e case ‘a corte’ con architravi, balconi e bei portali, elementi caratterizzanti di Nureci. Piazze e vie del centro storico sono in ciottolato, abbellite da fontane e murales, e si articolano attorno alla seicentesca chiesa di Santa Barbara. La festa della protettrice dei minatori è a inizio dicembre. Tra le celebrazioni religiose, durante le quali gusterai la cucina di tradizione agropastorale, anche quelle per Santa Rita a fine maggio, San Giacomo e Sant’Anna a fine luglio, sant’Ignazio da Laconi a metà ottobre e, soprattutto, i fuochi di San Sebastiano a gennaio, rito arcaico e propiziatorio. A metà agosto c’è Mamma Blues Festival, rassegna internazionale di blues e jazz.
I paesaggi attorno al borgo offrono sorprese suggestive: monumenti granitici e calcarei, boschi e specie rare. A rappresentare l’ambiente naturale, nel centro sociale del paese, è stato istituito il museo permanente della natura. Il patrimonio geologico-paleontologico di Nureci ha un ruolo di primo piano in ambito mediterraneo: a Genna Manna-Muru ‘e Cubeddu affiorano rocce sedimentarie marine del Miocene. Nello stesso centro sono esposti anche fossili e reperti archeologici di un territorio abitato dal Neolitico, come dimostrano le industrie litiche. A Murtas è stata rinvenuta una struttura riconducibile a un recinto megalitico. Dell’età del Bronzo sono 14 nuraghi, fra cui l’Attori, arroccato sul verdeggiante versante nord della Giara, e il Giuerri Mannu, dove è stato rinvenuto un piede di tripode prenuragico. All’uscita del paese, sul ciglio di uno strapiombo che lo sovrasta, si erge la misterioso Corona ‘e su Crobu (macigno del corvo), possente cinta muraria - di altezza residua di tre metri - con all’interno strutture minori, risalente forse alla dominazione punica. Il masso granitico posto in posizione baricentrica dentro le mura identificherebbe le fattezze stilizzate della Dea mater, divinità comune di tutti i popoli mediterranei. I siti di Turri Piccinnu e Pranu Ollastu, hanno restituito frammenti ceramici di età romana repubblicana.
Museo del costume tradizionale e della lavorazione del lino
Al suo interno ripercorrerai il ‘viaggio’ compiuto dal lino, a partire dalla sua coltivazione, passando per le varie fasi di lavorazione fino alla realizzazione dei tessuti e al confezionamento di meravigliosi abiti tradizionali. Il museo del costume tradizionale e della lavorazione del lino si trova a Busachi, paese della regione storica del Barigadu, che vanta una radicata tradizione relativa ai costumi: è uno dei pochi luoghi della Sardegna dove si continua a indossarlo nella vita quotidiana. L’esposizione trova posto nei locali della chiesa sconsacrata di san Domenico, risalente al XVI secolo, un tempo parte di un monastero domenicano, non a caso, è nota localmente come su cunventu.
La qualità del lino busachese era celebre fin dal XIX secolo, come riportato in testimonianze di autori quali Alberto Della Marmora e Vittorio Angius. Fino alla diffusione del cotone e dei tessuti industriali, l’economia del borgo si fondava principalmente sul commercio di tessuti e abiti di lino, realizzati dalle donne del borgo. Oggi tale arte sopravvive in poche abitazioni, dove sono confezionati oggetti e manufatti, come i fazzoletti portati al capo dalle anziane del paese. Visitando il museo ammirerai gli abiti, maschili e femminili, usati nelle varie fasi della vita, dai momenti più importanti – cerimoniali e festivi - a quelli quotidiani, passando per gli abiti che si indossavano durante i periodi di lutto e i costumi di neonati, fanciulli e adolescenti. In un’apposita sezione del museo, ricavata nella cappella laterale e nella sacrestia, approfondirai la conoscenza sul processo produttivo del lino, dal fiore al manufatto finito.
In mostra sono, inoltre, gli strumenti necessari alla lavorazione: aratri, mazze e gramole per battitura e sfibratura degli steli, pettini, fusi, orditoi e telai. A conclusione del percorso sono esposti manufatti realizzati interamente in lino locale, con suggestivi ricami. Il museo è attivo nell'organizzazione di progetti e laboratori, il fine è tramandare conoscenze e abilità manuali, per mantenere vivo il patrimonio culturale legato alla lavorazione del lino. Potrai ‘immergerti’ pienamente nelle tradizioni busachesi visitando il museo nelle giornate in cui si svolge la sagra de su succu, il piatto tradizionale del borgo, a base di sottili fettucce di pasta essiccata, cotta nel brodo di carni miste e condita con casu axedu, formaggio secco e zafferano. Alla sagra è associata la celebrazione dell’antico matrimonio busachese, preceduta dalla cerimonia de su presente: un corteo di donne in abiti tradizionali sfila per le vie del paese, portando nei cesti pane, dolci e la pasta per preparare il piatto tipico, degustato al termine della cerimonia tra musiche e balli.
Siris
Si distende in una verde vallata ai piedi del parco del monte Arci, sovrastato da una piccola giara Tanca Manna, su cui si erge un affascinante nuraghe, e circondato da un fitto bosco di lecci, roverelle, querce da sughero e macchia mediterranea. Siris è un paesino di 220 abitanti dell’Oristanese, Comune autonomo dal 1961, dopo essere stato accorpato nel 1927 a Masullas e Pompu. Il suo nome potrebbe derivare dal greco xiris, ‘iride’, fiore diffuso nel suo territorio. La sua economia è basata su attività agricola allevamento: da eccellenti pascoli derivano saporiti formaggi, che potrai degustare nella sagra dei latticini in primavera. I sapori dell’autunno li scoprirai nella sagra delle mele cotogne, tipiche del territorio, a novembre: protagonisti i frutti autunnali e prelibatezze locali.
Il centro storico si articola in viuzze strette e tortuose, su cui si affacciano tradizionali case campidanesi con portali in pietra. In centro ammirerai la parrocchiale di san Sebastiano, in periferia la chiesa di san Vincenzo, riconsacrata nel 2000 dopo un lungo abbandono e un accurato restauro. Intorno vedrai ruderi di epoca romana. I due santi sono celebrati a gennaio a pochi giorni di distanza. San Vincenzo è festeggiato anche a inizio settembre nella piazza a lui dedicata, dove si erge un olivo secolare. La statua del santo, il primo novembre, in occasione de s’Inserru viene riportata dalla sua chiesa alla parrocchiale.
Potrai avventurarti nelle rigogliose colline circostanti e visitare il monte Arci, che rientra in parte nel territorio di Siris. I rilievi, costituiti da rocce trachitiche, presentano pareti a picco e cavità. La grotta più interessante è accanto all’incantevole sorgente di Riu Bingias. Oltre a bellezze naturali, conoscerai la storia di una zona abitata sin dal Neolitico, come testimoniano alcune domus de Janas, e densamente popolata nell’età del Bronzo. Lo confermano i nuraghi Pranu forru, su Sensu e Porcilis, che ha restituito, oltre all’ossidiana, ‘oro nero’ preistorico del monte Arci, anche tombe, ceramiche e monete romane, così come le località di Pradu fenu, Funtana sassa e Santu Lussurgiu. Il monumento archeologico più famoso è il nuraghe de Inus, noto anche Pranu Nuracci e posto sul margine sud-orientale della giara: da un’altezza di 440 metri, sovrasta l’abitato, distante tre chilometri. La posizione dominante sulla vallata sottolinea la funzione di controllo. L’area archeologica comprende i ruderi di un nuraghe complesso in basalto, con torre centrale e attorno tre torri raccordate da cortine, e i resti di un villaggio, sede di insediamento già in età prenuragica.
Ardauli
Piccolo borgo del Barigadu, regione storica in provincia di Oristano, Ardauli sorge su una pianoro trachitico detto Culunzu Pertuntu, la ‘roccia bucata’, secondo una leggenda, usata dai marinai come ormeggio, quando il mare arrivava sino all’attuale vallata, bagnata dal rio Canale, sulla quale si affaccia il centro abitato. La profonda valle corre fino alle rive meridionali del lago Omodeo, caratterizzata da una vegetazione incontaminata e da numerose rocce modellate dagli agenti atmosferici: è habitat di molte specie animali: lepri, volpi, donnole, gatti selvatici, cervi, cinghiali e martore.
Il territorio di Ardauli, particolarmente fertile, mostra tracce di attività agricole svolte in passato: scoverai antichi mulini ad acqua, macine in pietra, spiazzi adibiti a lavorazione del grano e vasconi per la pigiatura dell’uva.
In paese, merita una visita la chiesa parrocchiale di Santa Maria della Guardia, realizzata nei primi decenni del XVII secolo in stile gotico-catalano. La struttura, con un’unica aula mononavata, presenta quattro cappelle in ogni lato. La facciata, decorata con un grande rosone e affiancata da una torre campanaria realizzata intorno al Settecento, presenta elementi ‘classici’: portale d'ingresso e decorazioni. Anche all’interno si fondono vari stili: ne sono esempio le cornici dentellate di ispirazione rinascimentale e le semicolonne del presbiterio, di origine barocca. Non perderti anche la visita alla chiesetta campestre di San Quirico, affacciata sulle rive dell’Omodeo, a circa 400 metri di altitudine, realizzata intorno al 1100 e circondata da alcune cumbessias, tradizionali abitazioni appartenenti alle famiglie del paese e adibite a ospitarle durante la festa del santo, che richiamano una tradizione originaria addirittura dell’età nuragica.
Soddì
Dalle sue sparute abitazioni, che si stagliano a 250 metri d’altezza, avrai una splendida visuale sullo scenario incantevole dell’Omodeo, il lago artificiale maggiore d’Italia e sito di interesse paesaggistico e ambientale comunitario. Soddì è un piccolissimo paese del territorio storico del Barigadu, a circa 40 chilometri da Oristano, abitato da poco più di cento residenti. È Comune autonomo dal 1979, dopo esser stato frazione di Ghilarza e nel Medioevo, sotto il giudicato d’Arborea, uno dei centri più importanti della curatoria del Guilcer.
Potrai fare emozionanti passeggiate vicino alle rive del lago, avventurarti nello specchio d’acqua con canoe e kayak oppure perlustrare questo luogo magico con un battello turistico: osserverai falco pellegrino e varie specie di anatre, aironi e testuggini. Nei periodi di secca riaffiorano testimonianze del passato con un colore uniforme per il limo che vi si deposita, dando la sensazione di un mondo incantato. Potrai ammirare le emergenze archeologiche lungo le rive o sommerse attraverso agevoli percorsi escursionistici che partono dal paese e consentono la visita a vari siti nuragici, tra cui Aurù, Corona, Pajolu, sant’Anastasia e, in particolare al bellissimo nuraghe Crastu. Sul territorio ammirerai anche altre testimonianze preistoriche , come domus de Janas e tombe di Giganti, e resti di epoca punico-romana: urne cinerarie, ceramiche e monete.
Dal piccolo borgo di Soddì il panorama abbraccia anche le montagne e gli altopiani basaltici circostanti, ricoperti di lecci, roverelle e macchia mediterranea, nonchè la famosa foresta fossile pietrificata di Montigu Abile, risalente al Miocene, con palmizi e baobab, distrutta circa 25 milioni di anni fa da una pioggia di lapilli eruttata da vicini vulcani, oggi sommersa dalle acque dell’Omodeo e che riaffiora nei periodi di siccità. Parte dei tronchi fossili sono esposti davanti alla chiesetta campestre di santa Maria Maddalena (celebrata a fine luglio). La foresta rientra interamente nel territorio di Soddì, mentre molto vicini, ma nel territorio di Ghilarza, è la chiesa di san Pietro di Zuri, smontata concio per concio e ricostruita in un punto più alto in seguito alla realizzazione del’invaso (1923), così come il borgo di Zuri.
In un centro basato essenzialmente sull’allevamento, di grande interesse è la parrocchiale dello Spirito santo, la cui celebrazione è a metà ottobre. Altra festa religiosa è per sant’Isidoro a fine aprile, mentre due interessanti manifestazioni socio-culturali sono la sagra de su Cazau, tra aprile e maggio, e sos Donos de su Lagu a dicembre.
Nurachi
Si distende accanto alla statale 292, litoranea panoramica nord occidentale che ti accompagnerà sino alle incantevoli spiagge dell’area marina della penisola del Sinis e nei boschi secolari del Montiferru. Nurachi è un centro di origine antichissima del Campidano di Oristano, da cui dista meno di dieci chilometri, popolato da mille e 700 abitanti. Il suo territorio si estende sino allo stagno di Cabras, con aree di interesse naturalistico come Mare ‘e pauli, inserita nella convenzione di Ramsar, e il parco di Pischeredda, con una torre spagnola: qui ammirerai specie rare tra cui fenicotteri e gallinelle d’acqua. Sono luoghi ricchi di vegetazione palustre, tra cui su fenu, materia prima de is fassonis, piccole imbarcazioni di origini antiche usate dai pescatori dello stagno. La pesca è una delle risorse, seppure sono prevalenti le attività agricole: coltivazioni di cereali, agrumeti e vigneti, da cui giunge la vernaccia, pregiato vino bianco.
Il nome del paese è passato attraverso una lunga evoluzione intorno alla radice nur (pietra), tipica di molti toponimi sardi. Il centro storico è caratterizzato da case campidanesi, costruite con mattoni di terra cruda (ladiri), con corte e locali attorno. Potrai conoscere le tradizioni di Nurachi nel museo etnografico, dedicato a Peppetto Pau, scrittore e studioso di spicco della Novecento sardo. Allestito in un'antica casa padronale, in quattro sale multimediali rappresenta ambiente naturale delle zone umide, architettura tradizionale, musica (in particolare le launeddas, arcaico strumento a canne) e cibo. Al centro del paese spicca la seicentesca parrocchiale di san Giovanni Battista, costruita su una preesistente chiesetta romanica del VI secolo, venuta alla luce sotto il pavimento. L’antico edificio presenta un’unica navata absidata e due ambienti ai lati del presbiterio, uno era adibito a battistero: vi è stata trovata una vasca circolare rivestita di intonaco bianco. Intorno alla chiesa si estendeva una necropoli databile al VI-VII secolo.
Il territorio, abitato fin dalla preistoria, presenta insediamenti neolitici come i villaggi Mare e Pauli, Paule e Fenu, Cuccuru e Mari e Gribaia, dove sono state rinvenute frecce e accette in ossidiana, piccole statue in marmo e terracotta, altri materiali fittili e litici. La frequentazione proseguì nell’età del Bronzo: lo provano i resti del nuraghe Nuraci de Pische, dal quale il paese ha preso nome. Frammenti ceramici svelano il passaggio fenicio nelle località is Ollaius e sa Manenzia. Molto più vistose le tracce romane: Nurachi era importante stazione lungo la strada da Tharros a Cornus. Sono state ritrovate lucerne, anfore, monete, macine nonché un cippo funerario che presenta una raffigurazione di strumenti lustrali.
Zeddiani
Sorge su un fertile terreno caratterizzato da campi coltivati a cereali e vigneti. Zeddiani è un piccolo centro di mille e 100 abitanti del Campidano di Oristano, da cui dista dieci chilometri, noto per gli ottimi prodotti agricoli e per i manufatti artigianali, specie tessili. Tra le produzione spiccano quelle vitivinicole, come la famosa vernaccia, vino dolce e profumato, e gli ortaggi, in particolare i pomodori, ai quali è dedicata la sagra del pomodoro a metà agosto, occasione per degustare pietanze tipiche.
Intorno all’abitato di origine medioevale sono evidenti le testimonianze di insediamenti nuragici, in particolare i nuraghi Couau e Urigu. Nel corso dei secoli il paese ha cambiato più volte nome: Cellayani, Cellevane, Seleiani. Tutti hanno la matrice comune latina cellarium, ossia ‘magazzino’, luogo di deposito dei raccolti, soprattutto di grano. Nel centro storico di notevole pregio e interesse è la chiesa della Madonna delle grazie, fondata nel XIII secolo e ricostruita nel XVII. Spicca per la facciata in conci di arenaria chiara alternati a pezzi di basalto scuro che generano un elegante effetto bicromatico. Altrettanto pregiata, specie per gli arredi che custodisce, è la parrocchiale di San Pietro apostolo, risalente al XVII secolo. All’interno ammirerai un altare ligneo barocco in cui campeggia il simulacro della Madonna della Neve in legno policromato e dorato. La parrocchiale è meta finale della processione, momento culminante della festa di Sant’Apollonia, il 9 febbraio. Mentre il patrono San Pietro è celebrato a fine giugno, due settimane dopo la festa di Sant’Antonio da Padova. Zeddiani è molto legata alle tradizioni religiose: oltre alle celebrazioni per i suoi santi, ne sono testimonianza i riti della Settimana Santa, vissuta con grande partecipazione da tutta la comunità del paese.
Santa Barbara - Villacidro
È un’equilibrata sovrapposizione di forme architettoniche, nonché mirabile esempio di come l’arte sacra anche nell’Isola si sia adattata ai dettami della Controriforma. Nella parrocchiale di Santa Barbara, che si erge nella parte ‘a monte’, storica, di Villacidro, l’elemento di matrice ‘moderna’ europea si evidenzia nella scelta di impianto ad aula unica, coperture a botte, ordini evoluti e proporzionati e temi decorativi classici. Distinguerai varie fasi costruttive: la chiesa è stata modificata gradatamente creando stratificazioni stilistiche. Le prime certezze su di essa risalgono al XIII secolo (forse in stile romanico). Dopo la distruzione della villa medioevale a inizio 1400, durante la guerra tra aragonesi e giudicato d’Arborea, fu ristrutturata nel XVI secolo in stile gotico-aragonese a tre navate, senza transetto, con cappelle laterali voltate a crociera e tetto di legno sorretto da architravi. Dell’originario impianto cinquecentesco rimane la fastosa capilla mayor (presbiterio) con volta stellare costolonata, unico elemento non interessato dalla ristrutturazione commissionata nel 1670 al genovese Domenico Spotorno, lo stesso che intervenne in forme barocche su duomo di Cagliari e basilica di San Pietro di Ales. Il tempio, evoluto in forme tardo-manieriste e barocche, continuò a essere arricchito con accenti neoclassici nei secoli successivi. La facciata ha una superficie piana conclusa da un coronamento ‘a cappello di carabiniere’. Nel 1992 è stato aggiunto un portale bronzeo con raffigurazioni di Madonna, santi e alcuni luoghi simbolo cidresi, come la cascata sa Spendula. A fianco, un campanile a canna quadra, eretto nel 1639 e 1659 e ‘rivisitata’ un secolo dopo: è costituito da tre ordini sormontati da un tamburo ottagonale concluso da un cupolino rivestito in maiolica. L’interno è a pianta longitudinale, con navata unica voltata a botte e tre cappelle intercomunicanti per lato, coperte da cupole semisferiche. Altare maggiore ‘barocco’ in marmi policromi e balaustra sono capolavori settecenteschi di Giovanni Battista e Domenico Spazzi. Di gran valore è il paliotto adornato da un fine bassorilievo, raffigurante i santi Barbara, Pietro e Sisinnio. Dietro l’altare si trova un coro ligneo settecentesco. Risalgono al XVIII secolo anche pulpito, fonte battesimale e organo. Gli arredi marmorei delle cappelle sono in gran parte neoclassici. Tra i dipinti spiccano una tavola lignea seicentesca.
Santa Barbara spicca nel borgo antico di Villacidro, fatto di case in pietra. La cittadina si distende fra rigogliosi oliveti e frutteti ai piedi del parco del monte Linas, irrorato da corsi d’acqua e ricoperto di boschi, habitat di specie rare.