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Nuraghe Santu Miali

Le sue mura hanno visto succedersi genti nuragiche, puniche, romane e altomedievali, rendendolo uno dei pochi siti sardi dell’età del Bronzo ‘vissuti’ senza soluzione di continuità per più di quindici secoli. Il nuraghe Santu Miali sorge in territorio di Pompu, piccolo centro agricolo dell’alta Marmilla ai piedi del monte Arci, ed è stato oggetto negli anni di numerose campagne di scavo, che hanno fatto luce sulla sua straordinaria longevità. L’edificio rientra nella tipologia delle fortezze nuragiche a struttura complessa, costituito da una torre centrale e un bastione quadrilobato con cortile interno. La sua edificazione è datata tra XIV e XII secolo a. C. Il materiale di costruzione è l’arenaria, che conferisce al Santu Miali il suo caratteristico colore giallo.

Attorno al nuraghe noterai le tracce di una decina di capanne a pianta circolare, appartenenti al villaggio, e di due ulteriori strutture di forma identica ma di dimensioni notevoli, disposte sui lati nord ed est del nuraghe. Tutti gli edifici sono circondati da un antemurale. Nel tratto sud della cortina muraria risalta la tecnica costruttiva in opera isodoma, con blocchi perfettamente squadrati e uso, in alcuni punti, di conci d’angolo a forma di ‘L’.

Il cortile, nei secoli successivi, divenne un'area sacra: lo testimoniano i numerosi e sorprendenti ritrovamenti avvenuti durante gli scavi. In particolare le lucerne presentano simboli riferibili a diversi culti e religioni: forse era celebrata Cerere, dea delle messi. Ma alcune riportano anche la croce con la P, relativa al cristianesimo, e il simbolo della Menorah, che rimanda invece a riti giudaici. Santu Miali rappresenterebbe quindi un importante esempio di contaminazione e tolleranza religiosa. Tracce risalenti alla frequentazione altomedievale sono state rinvenute anche nelle capanne circostanti il nuraghe, mentre nelle vicinanze si trova una tomba scavata nella roccia calcarea, detta su Laccu de su meli, resti di necropoli e abitati, tutti risalenti a epoca romana.

I ricchi giacimenti di ossidiana del monte Arci sono stati sfruttati fin dalle popolazioni prenuragiche, che hanno lasciato tracce di officine e stazioni di lavorazione nell’intera area. I dintorni di Santu Miali contano tre officine finora identificate, ma ulteriori testimonianze provengono dalla località di Prabanta, al confine con il territorio di Morgongiori. Qui potrai visitare l’omonimo complesso archeologico, dove sono presenti un menhir di tre metri e mezzo, su Furconi, e due domus de Janas, sa Sala e su Forru de Luxia Arrabiosa. Poco lontano, tra Pompu, Morgongiori e Siris, si erge anche il nuraghe a tre torri su Sensu.

Marganai

È una delle zone verdi più ricche e affascinanti del sud dell’Isola, da visitare seguendo percorsi suggestivi. La foresta demaniale del Marganai, nel Sulcis, occupa 3650 ettari del territorio di Domusnovas, Fluminimaggiore e Iglesias e fa parte del parco che riunisce anche monte Linas e Montimannu. Nonostante l’intensivo sfruttamento umano ha mantenuto intatta la sua bellezza paesaggistica.

Il massiccio montuoso, fatto di rocce calcaree e scistose tra le più antiche in Italia, ha cime tormentate, che vanno da duecento a mille metri, ricoperte da rigogliosi boschi di lecci, originari, e pini, piantati con il rimboschimento. Accanto una fitta macchia mediterranea: olivastro, lentischio e corbezzolo.

Tra il verde degli alberi e lo scroscio dei ruscelli - Sarmentus, sa Duchessa e Oridda - che scorrono a fianco ai sentieri, noterai specie quali cinghiale, gatto selvatico, lepre e volpe. In alcune aree sono stati reintrodotti cervo sardo e muflone. La foresta, inoltre, è sorvolata da falco pellegrino e, più di rado, dall’aquila reale. D’estate, si trasforma in un’oasi rinfrescante in cui potrai trascorrere giornate rilassanti passeggiando all’ombra, ammirando i panorami delle valli su cui la foresta si adagia oppure avventurandoti in escursioni organizzate di trekking o a cavallo.

Tra le attrazioni imperdibili del Marganai, ci sono il giardino botanico Linasia, che presenta l’immenso patrimonio floristico della foresta, e la grotta di san Giovanni, una delle più lunghe gallerie naturali d’Europa. È un grandioso monumento, unico esempio in Italia di cavità attraversata da una strada carrozzabile, parallela al rio Sa Duchessa, sotto un’alta parete calcarea dove sono stati rinvenuti numerosi resti archeologici. Nel 2010 è stato realizzato anche il Giardino delle farfalle, un affascinante viaggio nel mondo dei lepidotteri, molto suggestivo per appassionati e famiglie con bambini.

Punta Foghe

L’attività vulcanica del massiccio del Montiferru ha fornito la materia prima, creando l’altopiano. Le onde del mare e la corrente del rio Mannu, che qui sfocia, ne hanno modellato i tratti. Punta Foghe è lo spettacolare risultato di millenni di paziente opera erosiva della natura: l’altopiano termina a strapiombo sul mare, creando un’imponente falesia rocciosa, con isolotti e calette a impreziosirne l’aspetto. A rendere unico lo scenario ci pensa anche il fiume, che prima di sfociare in mare ‘sterza’ verso sud, non riuscendo a erodere il basalto della scogliera. Tra l’ultimo tratto fluviale e il mare si deposita un fondo di ciottoli, che in parte emerge creando una caratteristica barriera.

Potrai raggiungere la caletta principale – nei pressi della foce - seguendo il sentiero che parte ai piedi della torre Foghe, edificio di avvistamento spagnolo costruito a fine XVI secolo e dismesso a metà XIX. Realizzata in conci di basalto e vulcanite rossa, è alta circa dieci metri e presenta un camera circolare voltata a cupola, con un caminetto, mentre all’esterno una scala ricavata nella muratura permette l’accesso alla terrazza. Da qui la tua vista spazierà su un panorama suggestivo che si estende dalle altre torri spagnole erette sopra le cale s’Ischia ruggia e Columbargia e gli scenografici faraglioni di Corona Niedda. Alle spalle ammirerai la macchia mediterranea, formata da ginepri, lentischi e fichi d’india, che degrada verso le scogliere. Il mare davanti alla falesia è cristallino, con tonalità che vanno dal verde all’azzurro, perfetto per immersioni, pesca subacquea e snorkeling. In spiaggia ti sorprenderà il paesaggio fluviale che sfuma nel litorale roccioso, con ciottoli scuri e aspri scogli di basalto, circondato da canneti e frequentato da rapaci e uccelli marini, come avvoltoi, cormorani, falchi pellegrini e della regina.

La costa centro-occidentale della Sardegna offre ulteriori scenari imperdibili: a sud di punta Foghe, nel territorio di Cuglieri, ammirerai dalla barca l’incantevole cascata di Cabu Nieddu, un salto di quaranta metri direttamente in mare con pochissimi eguali al mondo. Nella borgata di Santa Caterina di Pittinuri ti attenderanno l’arco calcareo di s'Archittu e la vicina spiaggia color ocra con riflessi dorati. A nord potrai rilassarti nell’ampia distesa di sabbia variopinta a Porto Alabe, nella marina di Tresnuraghes

Is Arutas

Uno scenario abbagliante, del tutto particolare. Centinaia di metri di finissimi e tondeggianti granelli di quarzo, declinati in un’escalation di colori: bianco candido, rosa delicato e tutte le tonalità di verde. La distesa luccicante s’immerge nel mare limpido dalle sfumature cangianti, dal verde smeraldo all’azzurro, passando per il turchese. Intorno un paesaggio selvaggio. Is Arutas è la spiaggia più celebre dell’area marina della penisola del Sinis, nota come ‘spiaggia dei chicchi di riso’ per forma e consistenza dei granelli. È il gioiello del territorio di Cabras, il cui abitato dista circa 14 chilometri, una spiaggia immancabile nel tuo viaggio in Sardegna, spesso inserita ai vertici delle classifiche internazionali: gli esperti di Vanity Fair Travellers la scelsero nel 2013 tra le più belle al mondo.

La raggiungerai passando per San Salvatore di Sinis, luogo sacro sin dalla preistoria, che deve il nome a un santuario eretto su un ipogeo paleocristiano. La borgata cabrarese fu scenario di film western degli anni Settanta del XX secolo, oggi ci troverai parcheggio, chiosco-bar e area campeggio. Le (ex) capanne dei pescatori sono divenute ristorantini a contorno dell’arenile. Nel villaggio darai un tocco alternativo alla vacanza: a inizio settembre è meta della suggestiva Corsa degli Scalzi.

Is Arutas si estende fra due speroni rocciosi: la punta omonima a sud e su Bardoni a nord. Porta con te smartphone o macchina fotografica: dalle due estremità scatterai splendide foto. E non dimenticare la maschera subacquea: il fondale è profondo già a pochi metri dalla riva e la sua limpidezza è uno spot per lo snorkeling. L’immediata profondità delle acque e il maestrale che batte sul litorale occidentale rende il lido meta di wind e kite surfisti, anche d’inverno, come gran parte del golfo di Oristano. Il nome significa ‘le grotte’, forse riferito alle vicine cave di arenaria di epoca romana. Tutto il litorale, del resto, è contornato di rocce arenarie, infondendo la sensazione di un deserto. A impreziosire il panorama contribuisce la prospiciente isola di Mal di Ventre, un’oasi naturalistica dalla forma inconsueta dove nidificano le tartarughe marine e nei cui abissi si celano relitti di ogni epoca, tra cui uno del I secolo d.C.

Forse dall’erosione, in centinaia di milioni di anni, del granito porfirico dell’isolotto – in origine un monte, quando il livello del mare era più basso dell’attuale - deriva la genesi di is Arutas e delle due spiagge ‘gemelle’ vicine: a nord Mari Ermi, a sud Maimoni, anch’esse fatte di minuscoli frammenti di quarzo misti a sabbia chiara. Per salvaguardare le tre meraviglie, prima di lasciare gli arenili, ricorda di lasciare ogni singolo granello sul posto. Mari Ermi si estende per due chilometri e mezzo, da is Arutas a Porto Suedda. Accanto ci sono le falesie calcaree de su Tingiosu che racchiudono splendide calette. Alle spalle la spiaggia è protetta da alte dune e da uno stagno, habitat dei fenicotteri rosa. Di dimensioni simili è Maimoni, il cui nome deriva dal dio sardo e fenicio dell’acqua e della pioggia. La raggiungerai passando per Tharros, dove potrai abbinare al mare un’affascinante visita archeologica: fu villaggio nuragico, colonia fenicia, porto cartaginese, urbs romana, capoluogo bizantino e, infine, capitale del giudicato d’Arborea.

Il Sinis è un lembo di Sardegna, per ampi tratti ancora incontaminato, che dà la sensazione di continuità fra terra e mare, cornice naturale per immersioni, pescaturismo, vela e altre attività sportive durante tutto l’anno. Nei 30 chilometri di costa dell’area protetta, oltre che le tre spiagge di granelli quarzosi, troverai le dune di candida e morbida sabbia di San Giovanni di Sinis. La spiaggia si estende nell’estremo sud della penisola, fra Tharros e Funtana Meiga. Accanto sorge un villaggio, un tempo borgo di pescatori, oggi rinomata località balneare. Spostandosi dalla costa nell’immediato entroterra ecco lo stagno di Cabras e la laguna di Mistras, punti di sosta per amanti del birdwatching. Il Sinis è anche culla di civiltà antiche: nel centro di Cabras, è imperdibile il Civico museo archeologico che custodisce parte della maggiore scoperta archeologica di fine XX secolo nel Mediterraneo: le statue di pietra dei Giganti di Mont’e Prama, simbolo dell’Isola.

Milis

È noto per la tradizione agrumicola, specie gli aranceti, impiantati dai monaci camaldolesi che lo ‘colonizzarono’ dal XIII secolo costruendovi le chiese di San Paolo, San Giorgio di Calcaria e San Pietro in Vincoli. Milis è un importante centro agricolo di oltre 1500 abitanti, che si distende in una valle ricca di corsi d’acqua, a ridosso della catena del Montiferru, e dà nome alla parte settentrionale del Campidano di Oristano. Il toponimo si fa risalire a miles (soldato): forse durante la dominazione romana fu insediamento militare. Tracce preistoriche sono nei resti di vari nuraghi: Cobulas e Tronza, sulle rive del riu Mannu, sono ben conservati.

In un territorio verdeggiante, reso fertile dall’abbondanza d’acqua, oltre alla arance, cui è dedicata la sagra degli agrumi a febbraio, sono prodotte altre eccellenze: cereali, miele e la rinomata vernaccia. L’evento clou è la rassegna dei vini novelli della Sardegna, a novembre, con manifestazioni gastronomiche e culturali. In tema di degustazioni, a metà marzo, durante la festa di San Giuseppe, c’è la sagra dei ceci. Ad agosto si svolge il festival di danza e musica etnica ‘La Vega’.

Al centro del paese si ergono la cinquecentesca parrocchiale di San Sebastiano, di forme gotico-aragonesi, e, di fronte, il palazzo Boyl, costruito dai marchesi Boyl (imparentati coi Savoia) a inizio Ottocento inglobando una casa signorile del XIV secolo. Fu residenza estiva di personaggi illustri come i re Carlo Felice e Carlo Alberto, Grazia Deledda, Gabriele D’Annunzio e, nel 1838, Honoré de Balzac. È un pregevole esempio di neoclassicismo piemontese: galleria d’ingresso e facciata color rosso pompeiano sono gli aspetti più appariscenti. Oggi ospita il museo del costume e del gioiello sardo, mostra etnografica di stoffe, abiti e ornamenti che ripercorrono due secoli di storia. Nello stesso palazzo e in casa Murru potrai ammirare gli antichi strumenti agricoli. Di grande interesse è anche l’ottocentesca villa Pernis. A breve distanza dall’abitato, fra gli agrumeti, ti colpirà la spettacolare facciata ‘bicroma’ - con alternanza di calcare chiaro e basalto scuro - della chiesa di San Paolo, costruita fra 1140 e 1220, pregevole esempio di architettura romanica. All’interno custodisce dipinti di scuola catalana, altare barocco e sculture lignee. Nella chiesa c’è il cimitero di guerra con le spoglie di soldati e civili morti nella seconda guerra mondiale, quando Milis ospitò un aeroporto militare detto ‘invisibile’ perché nascosto dagli aranceti. Nella chiesa di Santa Vittoria, che custodisce un imponente altare ligneo del XVII secolo, sono state rinvenute tombe del VI-VII. La famiglia Boyl donò al santuario una lettiga su cui è esposta la statua di Gesù durante s’Icravamentu, suggestivo rito della Settimana Santa.

Laguna di Marceddì

Un pittoresco villaggio di pescatori sorge nella parte più meridionale del golfo di Oristano, in posizione estremamente riparata, affacciato su un’ampia laguna di fronte al promontorio di Capo Frasca. Le caratteristiche abitazioni del borgo di Marceddì, rientrante nel territorio di Terralba, si estendono tra stradine sterrate sino a una piccola e caratteristica pineta davanti alla laguna salmastra, originata dall’insenatura marina. La parte più interna della laguna, separata da un piccolo sbarramento, prende il nome di stagno di San Giovanni. Qui si immettono i corsi d’acqua rio Mogoro e rio Mannu che ne addolciscono le acque. Sul lungomare del villaggio si trovano un porticciolo e la chiesa dedicata alla Madonna di Bonaria, teatro – nella seconda metà di agosto - di una festa durante la quale si svolge un'emozionante processione in mare. Il simulacro viaggia lungo le vie dello stagno a bordo di un peschereccio ricco di addobbi, seguito da altre barche con gruppi di fedeli. Turisti e visitatori partecipano poi a banchetti a base di pesce nei tradizionali statzusu.

Laguna e stagno furono un tempo antichi approdi del fiorente insediamento fenicio-punico di Neapolis, oggi sono habitat di uccelli acquatici che nidificano sulle sponde ricoperte di vegetazione lacustre: airone rosso, folaga, germano reale e pollo sultano saranno piacevoli incontri tra i canneti. Tra mare, laguna e stagno, la pesca è di gran lunga l’attività principale: non perderti le prelibatezze locali grazie a ristoranti e ittiturismo vicini, dove troverai frutti di mare e abbondanza e varietà di pescato: mormore, muggini, orate, saraghi, spigole, triglie.

Costa e laguna si fondono con l’archeologia, in un angolo di Sardegna che da sempre è stato crocevia di popoli. A confermarlo il florido sito di Neapolis, un tempo importante ‘mercato’ mediterraneo, fondato dai fenici e poi divenuto colonia cartaginese (VI secolo a.C.), i cui resti sono tuttora visibili. Inoltre, a pochi chilometri, potrai visitare l’antica città di Tharros, sito archeologico che racconta tutte d’un fiato preistoria e storia della Sardegna.

Marceddì ha vissuto anche un passato vicino e più cruento: fu teatro di incursioni da parte di pirati. La Torre Vecchia spagnola (XVI-XVII secolo) nacque per proteggerlo dagli attacchi: oggi rientra tra i ‘luoghi del cuore FAI’ ed è stata oggetto di restauri per evitarne il crollo. Dirigendoti a sud, dalla laguna potrai raggiungere facilmente la Costa Verde e le sue perle – in ordine di apparizione Pistis, Torre dei Corsari, Marina di Arbus, Piscinas e Scivu -, mentre verso nord le bellezze protette dell’area marina della penisola del Sinis: San Giovanni di Sinis, Maimoni, Is Arutas e Mari Ermi.

Museo dell'Ossidiana

È l’unica struttura museale monotematica in Europa, dedicata all’‘oro nero’ dell’Antichità, che in Sardegna affiora esclusivamente nei giacimenti del parco del monte Arci, meta sin dal VI millennio a.C. di tutti i popoli del Mediterraneo, che giungevano in questa parte dell’Isola per approvvigionarsene. Nel museo dell’ossidiana, all’ingresso di Pau, piccolo paese dell’alta Marmilla, vivrai un’immersione multisensoriale tra caratteristiche e prerogative dello scuro e prezioso minerale vetroso, scoprendone evoluzione, reperti e tecniche di lavorazione, messe in atto da abili artigiani preistorici per produrre armi e utensili. Conoscerai la società e la cultura della prima forma di produzione ‘di massa’ specializzata, nonché i risvolti nel presente grazie all’esposizione, nel loggiato del museo, di manufatti, talvolta ispirati alla preistoria, realizzati da artisti contemporanei, come le opere di Karmine Piras e dei fratelli Atzori. Nel loggiato ammirerai anche minerali e fossili e, nelle piazze del borgo, sculture in ossidiana di grandezza da guinness dei primati.

Percorso museale e laboratori didattici si basano su fruizione diretta, sperimentazione attiva e coinvolgimento emozionale. All’interno delle sale espositive sarai accompagnato da cartografie, fotografie, schede, supporti audiovisivi interattivi e, soprattutto, dalla percezione ‘autogestita’, visiva e tattile, con video proiettati sulle pareti e suoni diffusi nelle sale, che evocano le sonorità della lavorazione. L’escursione nel parco dell’ossidiana, nel versante orientale del monte Arci, completerà la tua esperienza facendoti apprezzare, lungo sentieri suggestivi, paesaggi con rigogliosi boschi e affioramenti della preziosa roccia vulcanica che fanno da cornice alle officine di lavorazione. Il minerale fu di straordinaria importanza per la preistoria sarda: gli oggetti prodotti nel massiccio dell’Arci sono stati ritrovati in insediamenti neolitici sardi, dell’Italia settentrionale e della Francia meridionale. Nel complesso vulcanico sono note almeno tre colate ossidianiche e nel territorio di Pau noduli di ossidiana e prodotti di scheggiatura si estendono per una superficie di oltre 20 ettari. I centri di lavorazione erano a Sennixeddu, Fustiolau e su Campu Serrau. Nel sentiero de sa Perda Crobina di Sennixeddu passeggerai (con un trekking di un’ora e mezza) poggiando i piedi su migliaia di frammenti. La località ospitava una delle più vaste officine ed è ricca di scarti di scheggiatura. L’ossidiana veniva sbozzata e lavorata, poi trasportata nei villaggi vicini, un probabile coevo insediamento abitativo neolitico è stato individuato 350 metri più a est. Il generale Alberto La Marmora nel suo ‘Itinerario’ (XIX secolo), affermò di non aver visto altrove tale quantità di pietra nera e lucente: “Il viaggiatore ha qualche volta l’impressione di camminare sui cocci di una vecchia fabbrica di bottiglie nere”. I primi indizi sullo sfruttamento sistematico della risorsa da parte di ‘scheggiatori’ specialisti risalgono al Neolitico recente (II metà del V millennio a.C.), quando fu installata la grande officina di Conca ‘e Cannas. La produzione si è protratta (con intervalli) per oltre tremila anni, fino all’età del Bronzo.

Piscinas - Costa Verde

Una meravigliosa oasi lontana da tutto: imponenti e sinuose dune di sabbia fine, calda e dorata, alte fino a 60 metri, modellate dal maestrale, si estendono dall’entroterra per vari chilometri sino a tuffarsi nel mare azzurro, sconfinato e lucente. Piscinas, ‘gioiello’ della Costa Verde - nel territorio di Arbus –, è simile a un dipinto orientale, un paesaggio che lascia senza fiato, una spiaggia imperdibile nella tua vacanza nell’Isola, inserita tra le più belle del mondo da National Geographic. Dopo aver percorso sentieri sterrati e sabbiosi, vedrai aprirsi all’improvviso la sua immensa e profonda distesa dorata, lunga sette chilometri. All’orizzonte azzurro del mare e del cielo si fondono, mentre le dune di sabbia brillante, dichiarate patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, si mescolano ai colori della macchia mediterranea. La vegetazione cresce rigogliosa: ginepri secolari dai rami contorti, lentischi e olivastri che formano piccoli boschetti e, in primavera, violacciocca, giglio di mare e papavero della sabbia. Qui, ogni tanto, si aggira il cervo sardo, mentre sulla riva depongono le uova le tartarughe marine.

Le sue dimensioni permettono sempre un tranquillo isolamento. Non a caso, un ampio tratto (800 metri) è divenuto ufficialmente dal 2018 la spiaggia naturista più grande in Europa. In più, i centri abitati sono molto lontani e le strutture ricettive sono poche: un campeggio e un albergo a ridosso delle dune. Nell’arenile troverai due panoramici chioschi-ristorante e potrai noleggiare attrezzatura balneare, canoe, pattini e gommoni. L’area di sosta è attrezzata anche per i camper.

Il fondale limpido è quasi subito profondo, con una conformazione a gradini: da un minimo di due-tre metri arriva presto a decine di metri. In immersione esplorerai il sito dove ‘riposa’ da tre secoli, a 200 metri dalla riva, il relitto di una nave inglese. Le foci di due torrenti attirano vicino alla riva pesci in caccia di muggini. Per gli appassionati di pesca surf casting sarà un piacere sapere che mormore, ombrine e orate ne popolano le acque. Il mare selvaggio della Costa Verde raramente è calmo, sempre da rispettare. Il vento costante alza onde lunghe e alte, rendendolo meta di surfisti: windsurf, kite e surf da tavola sono praticati qui anche d’inverno.

Per raggiungere Piscinas, passando da Guspini o da Arbus, compirai un itinerario a ritroso nei secoli, impregnato di memorie dell’attività estrattiva, di cui è testimone il rio Piscinas che assume un colore rossastro scorrendoci in mezzo. Percorrerai la strada che da Ingurtosu scende a mare, attraverso la valle de is Animas. Il borgo, oggi fantasma e parte del parco geominerario della Sardegna, per oltre un secolo è stato centro direzionale delle miniere vicine, facenti capo al complesso di Montevecchio. In un’atmosfera da far west, incontrerai i resti degli insediamenti minerari: residenza del direttore e palazzina della direzione, chiesa e ospedale, ruderi di alloggi e di cantieri con pozzi, impianti e laverie. La strada scende ripida tra montagne di materiali di scarto, carrelli arrugginiti e vagoni abbandonati della ferrovia usata per il trasporto dei minerali fino all’attracco in spiaggia.

Le dune sono caratteristica di tutta la Costa Verde. Oltre che a Piscinas, vedrai altri ambienti ‘sahariani’ scolpiti da uno scultore d’eccezione, il maestrale, con la sua incessante azione. A Torre dei Corsari, poco più a nord, rimarrai abbagliato dalla mescolanza di dorato della sabbia, argento delle rocce, turchese e verde del mare e della vegetazione. Nelle Sabbie dOro di Pistis, la spiaggia più settentrionale della ‘costa’, i due chilometri di sabbia morbida sono contornati da ginepri, lentischi, olivastri. A Scivu, altro ‘gioiello’ del Mediterraneo, ammirerai tre chilometri di dune e mare turchese e sentirai un assordante silenzio, interrotto solo da risacca e versi dei gabbiani. La spiaggia è detta ‘parlante’ per via dell’eco che si sente camminandoci sopra. Altra immensa distesa sabbiosa, anch’essa di due chilometri, è la Marina di Arbus: la sua melodia di colori spesso induce a parlare di ‘Caraibi in Sardegna’. Tra ‘Torre’ e ‘Marina’ sono incastonate Portu Maga e Funtanazza, un tempo luogo di vacanza dei figli dei minatori. L’estremo limite meridionale della costa arburese è Capo Pecora, meta di pescatori sub.

Gonnostramatza

Nel 1388, la giudicessa Eleonora d’Arborea la scelse come sede per la stipula del trattato di pace con Pietro IV d’Aragona. Fino al XVII secolo, Gonnostramatza era il centro più popolato e importante della Marmilla, adagiato in una valle ricca di vigneti, oliveti e mandorli, e attraversato dal rio Mannu che la divide in due rioni, ‘grande’ e ‘piccolo’: tre ponti garantiscono il passaggio da uno all’altro. Il centro storico conserva antiche case con architettura tipica campidanese. Spicca la parrocchiale di San Michele, famosa perché ospita nell’abside il retablo dell’Annunziata di Lorenzo Cavaro del 1501, capostipite della famiglia di pittori cagliaritani che diede vita alla scuola di Stampace (XVI secolo). La grande tavola d’altare, proveniente dalla chiesa di San Paolo della frazione di Serzela (oggi borgo fantasma), si compone di tre parti superiori verticali e di due orizzontali, divise in vari settori ciascuna. Sono rappresentate scene della vita di Cristo, della Madonna, arcangeli e santi. La chiesa, costruita tra 1680 e 1715 su una preesistente in stile gotico-aragonese (attestata nel 1524), mantiene abside con volta a crociera e parte della sacrestia del vecchio edificio ed è frutto di un restauro del secondo Dopoguerra. La pianta è ad aula con tre cappelle per lato. L’alta facciata è ritmata da filari che creano un effetto di chiaroscuro. A fianco un campanile a canna quadrata, coperto da cupola con tessere colorate. La festa patronale con manifestazioni sacre e civili si svolge ad agosto. Altro edificio di culto, nella strada principale, è la chiesetta di Sant’Antonio. In campagna c’è la chiesa di San Paolo, un tempo parrocchiale di Serzela, risalente al XIII secolo e ricostruita nel XVII. In una lapide conservata nel santuario campestre è citata una tragica testimonianza della distruzione del vicino borgo di Uras da parte dei saraceni capitanati dal Barbarossa. A essa è legato in qualche modo un altro luogo di cultura: il museo Turcus e Morus, all’interno del restaurato monte granatico, dedicato alle incursioni barbaresche. Modellini di torri costiere e velieri, diorami con scene di battaglia e razzia, pannelli illustrano avvenimenti e protagonisti di quell'antica tragica guerra.

Nelle campagne non mancano le testimonianze preistoriche: nella tomba eneolitica di Bingia e Monti, è stato trovato un collier preistorico, il più antico monile d’oro ritrovato in Sardegna. Per la valorizzazione dei siti archeologici, Gonnostramatza fa parte con 19 Comuni e della Marmilla, del consorzio sa Corona Arrubia.

Parco archeologico di Iloi

Un altopiano accogliente e scenografico ha visto succedersi nel corso dei millenni varie civiltà a partire dal Neolitico. Dai suoi 270 metri d’altezza è verosimile che i popoli che lo abitarono il villaggio di Iloi - prenuragico, poi nuragico - controllassero il territorio, allora attraversato da numerosi fiumi, molto probabile che vi celebrassero misteriosi riti ed è certo che vi seppellissero i loro defunti, lasciando preziosissime tracce. Il sito, oggi parco archeologico, dista appena due chilometri da Sedilo e domina l’antica valle del fiume Tirso, con vista panoramica sulla sponda nord-occidentale del lago Omodeo.

A prendere la scena all’interno del parco è il nuraghe complesso, una struttura a tre torri, alla quale si addossa un corpo trapezoidale, che forse rappresenta il nucleo originale dell’impianto, tanto che si ipotizza si trattasse di un nuraghe a corridoio, datato tra fine Bronzo antico e inizio del medio. L’edificio trilobato, invece, è stato realizzato in più fasi, fino al Bronzo finale, e ha un andamento concavo-convesso. La torre orientale è quella meglio conservata: accedendo da un ingresso architravato osserverai una camera voltata a tholos, con una nicchia e la traccia di un passaggio ostruito sulla parete sinistra. Noterai anche un ampio tratto di cortina muraria che la collega alla torre nord, inaccessibile a causa dei crolli. Il mastio mantiene i primi filari di blocchi basaltici fino a due metri e mezzo di altezza.

Attorno al nuraghe osserverai numerose strutture circolari, sono i resti delle capanne del villaggio nuragico, che in origine si estendeva per circa due ettari. Alcune di esse avevano funzioni cultuali, altre erano disposte attorno a uno spazio aperto comune. I ‘cimiteri’ delle genti nuragiche di Iloi erano due tombe di Giganti, di una, non ancora indagata, si distingue il profilo del corridoio; l’altra è ben conservata e mostra il classico schema planimetrico: corpo centrale absidato, corridoio funerario coperto e prospetto a esedra, nella quale noterai un bancone-sedile interrotto da una piattaforma circolare vicino all’ingresso. Il pavimento del corridoio è rivestito con lastroni.

A circa 300 metri dai resti nuragici, scendendo di livello a mezza costa dell’altopiano, compaiono le tracce più evidenti dei popoli che li hanno preceduti: sono le 33 domus de janas che formano la necropoli di Ispiluncas, scavata nel tufo nel Neolitico finale. Le domus, divise in due raggruppamenti, sono in parte pluricellulari, in parte monocellulari. La ‘tomba 2’ è articolata in ben 13 ambienti e presenta tracce di pittura rossa. La ‘tomba 3’ presenta un ambiente centrale quadrangolare attorno al quale si dispongono i vani secondari. Entrambe le sepolture sono state impiegate fino all’alto Medioevo. Dal 2025, assieme ad altre 16, la necropoli è entrata a far parte dei siti sardi Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco.

Il parco di Iloi è la massima espressione archeologica del territorio di Sedilo, che è ricchissimo anche di spunti di interesse naturalistici: i dintorni dell’Omodeo sono ideali per escursioni di trekking, le sue acque perfette per la canoa. Altra grande attrazione, poco fuori dal centro abitato, è il santuario di San Costantino, teatro a inizio luglio della sfrenata giostra equestre dell’Ardia, attorniato dalle cumbessias, gli alloggi destinati all’accoglienza dei pellegrini.