Cala Bona
Una serie di minuscole cale e insenature, ora sabbiose, ora in ciottoli, racchiuse e nascoste da scogli e rocce piatte e rosate, sulle quali potrai adagiarti comodamente e prendere il sole. Cala Bona deriva il nome dalla felice posizione ‘protetta’, da sempre calmo e sicuro riparo per le piccole imbarcazioni. È uno dei gioielli costieri di Alghero, distante meno di un chilometro a sud dal centro storico, lungo la provinciale panoramica verso Bosa, vicino a uno dei punti panoramici più suggestivi della riviera, il colle di Balaguer.
La sabbia delle calette è scura a grani grossi mista a ciottoli, il mare è limpido e trasparente e si colora di luccichii verdi e celesti grazie ai riflessi solari sul fondale profondo e roccioso. È una località molto frequentata da appassionati di pesca sportiva, sia con la canna che subacquea. In tempi non lontani, era usata come cava di arenaria. Sulla destra della spiaggia si trova una cavità chiamata Grotta di Costa, con una spiaggetta appartata. Nelle immediate vicinanze sono presenti vari alberghi e un punto ristoro.
Lungo la Riviera del Corallo, potrai visitare e goderti tante altre perle: sempre sulla strada per Bosa incontrerai Cala Burantin e la spiaggia della Speranza. In città potrai rilassarti al Lido, spiaggia cittadina e la più estesa di Alghero e nelle vicine dune di sabbia bianca di Maria Pia, che ospitano ginepri secolari. Proseguendo verso e oltre la borgata di Fertilia, c’è la deliziosa insenatura di Punta Negra. Poi più a nord, i due gioielli algheresi, Bombarde e Lazzaretto. Nella baia di Porto Conte troverai la splendida, placida e ampia spiaggia di Mugoni. E ancora la deliziosa Cala Dragunara e Porticciolo.
Nughedu San Nicolò
Si adagia a quasi 600 metri d’altitudine nella lunga e stretta valle in cui scorre il riu Molinu, inserito in un dolce territorio collinare, con alcuni significativi rilievi attorno. Nughedu San Nicolò è un piccolo paese di circa 800 abitanti del Monteacuto, parte orientale del Logudoro, il cui toponimo è un’unione (a posteriori) del nome originario nughedu, dal latino nocetum (noceto), chiaro riferimento ai boschi di noci che sino a inizio XX secolo ricoprivano il suo territorio, al nome del santo patrono, cui è dedicata una bella parrocchiale che conserva un dipinto murale di Aligi Sassu. L’associazione toponomastica si rese necessaria per distinguerlo da un centro omonimo dell’Oristanese (Nughedu Santa Vittoria). Produzione casearia e lavorazione artigianale di legno, pelle e ferro sono le risorse principali del paesino.
Nughedu fece parte prima del giudicato di Torres, poi di quello d’Arborea, infine del regno catalano-aragonese. Sull’impianto medioevale è sorto il grazioso abitato attuale con strade strette lungo le quali si allineano palazzotti di pregio di fine XIX e inizio XX secolo, con eleganti decorazioni a incorniciare porte e finestre. Il centro del paese è piazza Marconi, spazio quadrangolare, bordato da eleganti palazzine e impreziosito dalla presenza di una fontana ottocentesca. Interessanti anche le singolari abitazioni, all’ingresso del paese, nel fondo valle: sono state ricavate nelle spaccature della roccia e chiuse con facciate in conci di pietra. Sul paese vegliano dall’alto la seicentesca chiesa di san Sebastiano, che sorge nella periferia ovest, e conserva il simulacro di san’Espedito e un bel altare ligneo del XVIII secolo con tre nicchie che contengono le statue della Madonna, di Cristo e san Sebastiano, e le trecentesche chiese campestri di sant’Antonio abate e di san Pietro. In occasione dei festeggiamenti in onore dei santi Pietro e Paolo, a fine giugno, si svolge la sagra de sas panafittas, tipico piatto a base di pane: la spianata viene immersa nel brodo di pecora o manzo, scolata e condita con pomodoro, carne e formaggio.
Il territorio è ricco di testimonianze prenuragiche e nuragiche. Fu abitato fin dal Neolitico, come indicano varie sepolture a domus de Janas, in particolare la necropoli di sos Furrighesos, in territorio di Anela, ma vicine a Nughedu: 18 tombe ipogeiche costruite tra Neolitico finale e Bronzo antico. La maggior parte delle domus presenta decorazioni, tra cui protomi taurine a rilievo e festoni dipinti o graffiti. Una ha il portello d’ingresso inquadrato da una stele analoga a quelle delle tombe di Giganti, ma scolpita nella roccia. Alle successive fasi dell’età del Bronzo risalgono numerose tracce di popolazioni nuragiche.
Florinas
Si adagia lungo la valle di Codrongianos, in un’area prevalentemente collinare. Florinas è un paese di mille e 500 abitanti tra Logudoro e Sassarese. L’etimologia del nome è legata al latino Figulinas, nome del monte che la protegge e toponimo che si riferiva alla presenza di un centro specializzato nella lavorazione della ceramica. Oggi Figulinas Festival è l’appuntamento culturale di maggior richiamo del paese, una suggestiva e importante rassegna folkloristica internazionale che ogni agosto riunisce gruppi folk da tutto il mondo.
Florinas è da sempre crocevia di passaggio tra nord ed sud dell’Isola, confermato dal ritrovamento di terrecotte di età classica. Il territorio è un vero e proprio parco archeologico disseminato di testimonianze che attestano la frequentazione a partire da età prenuragica e nuragica: una decina di domus de Janas, circa trenta nuraghi e una tomba di Giganti. Ad essi si aggiungono necropoli romane di tarda età imperiale. Alcuni siti sono particolarmente significativi: la tomba di Campu Lontanu, della prima età del Bronzo, presenta, nella facciata principale, una stele centinata alta quasi 4 metri, sulla cui sommità erano originariamente posti tre piccoli betili. All’età del Bronzo risale anche il ben conservato nuraghe Corvos. Di epoca precedente, da non perdere la necropoli di Pedras Serradas, formata da cinque tombe a domus de Janas, scavate nella roccia calcarea. Il sito domina la piccola valle di s’Elighe Entosu che dà il nome a un altro sepolcreto preistorico vicino. Molto interessanti anche i quattro ipogei della necropoli neolitica di s’Abbadia.
Nel centro storico ammirerai quattro chiese: santa Croce, san Francesco, del Rosario e, soprattutto, santa Maria dell’Assunta, realizzata intorno al XVIII secolo, su un impianto forse più antico. L’aula ha pianta rettangolare e copertura a botte. Sui lati alcune cappelle voltate a crociera custodiscono pregevoli altari lignei. A Florinas si svolgono tre tradizionali feste religiose: in onore della Madonna di Pompei (maggio), di sant’Antonio (giugno) e di san Francesco d’Assisi (ottobre). Oltre a Figulinas Festival, un altro evento arricchisce il calendario culturale: Florinas in Giallo. Durante il festival letterario dedicato ad appassionanti racconti giallo noir, si svolgono incontri con autori e tavole rotonde, reading e letture animate, concerti.
Giave
Issato sulla sommità di un altopiano basaltico, Giave è un piccolo borgo di meno di 600 abitanti del Meilogu, sub-regione del Logudoro. Il suo territorio è delimitato da altipiano di Campeda a sud, Monteacuto a est e Sassarese a nord. I romani colonizzarono l’area creando qui la biforcazione della strada che univa Caralis a Turris da una parte e a Olbia dall’altra. Il centro storico conserva tratti di borgo tardo-medioevale: al centro spicca il campanile della parrocchiale di Sant’Andrea, fondata nel XVI secolo e ristrutturata nel 1788, arricchita poi da un portale in bronzo. Atre chiese sono Santa Croce, dove ammirerai un antico altare in legno, San Sisto, in posizione panoramica, e dei santi Cosma e Damiano, meta di pellegrinaggio. Attraverso le pinnettas, tipiche capanne di pietra con copertura in legno a cono, rifugi dei pastori, potrai percorrere itinerari alla riscoperta della cultura pastorale.
Terra di vulcani spenti, l’insolito paesaggio attorno a Giave si distingue per il monumento naturale protetto dei crateri vulcanici del Meilogu, piccole alture di derivazione lavica, aguzze, arrotondate o tagliate da tavolati pianeggianti. Il monte Annaru-Pòddighe, nel territorio giavese, alto quasi 500 metri, è il più caratteristico di cinque crateri solitari: da esso è effusa la lava che ha dato origine all’ampio tavolato a nord-est del borgo, Campu Giavesu. È meta ideale per escursioni: sia in autunno e inverno quando nel cratere si forma un piccolo lago, sia nei mesi caldi quando scenderai nelle pareti all’interno del cratere . A sud del monte ammirerai lo spettacolo de sa Pedra Mendarza, antico condotto vulcanico, riaffiorato grazie all’erosione. Il monolite vulcanico raggiunge i 100 metri d’altezza e sulle sue pendici nidificano corvi e astori. Vicino al cratere, sarai a pochi passi dalla piana di Cabu Abbas, meglio nota come Valle dei Nuraghi: una delle aree a più alta densità di domus de Janas e nuraghi. Ci rientra anche il territorio di Giave, intensamente abitato sin dalla preistoria. Il nuraghe Oes è senza dubbio la più famosa testimonianza, una delle più importanti della Sardegna. L’insolita architettura della torre principale, alta 11 metri e mezzo e con 16 metri di diametro, contiene un’unica camera a tholos suddivisa in tre ambienti da solai lignei. La torre è al centro di un vasto insediamento che include un bastione provvisto di due torri, un cortile, un’area sacra con temenos e tempietto a megaron e, intorno, un villaggio.
Mura e bastioni di Alghero
Uno dei pochi centri in Italia ad aver conservato quasi intatte mura e torri che da sempre la cingono. Oggi i suoi bastioni, dedicati ai grandi navigatori, Colombo, Pigafetta, Magellano e Marco Polo, sono diventati una suggestiva passeggiata. Alghero fu eretta fra 1102 e 1112 dalla famiglia Doria e le sue prime fortificazioni risalgono a pochi decenni dopo. A fine XIII secolo ci fu un ampliamento, mentre, durante il dominio aragonese, nessuna modifica sostanziale: rimase il tracciato genovese con 26 torri. Così sino al XVI secolo quando il circuito murario fu ricostruito: completata la parte fronte mare, rimase incompiuta quella a terra. Dal 1867 Alghero fu esclusa dal novero delle città strategiche: iniziò lo smantellamento. Ma di ciò che è stato, tutto (o quasi) è giunto sino a noi: le mura lato mare e otto torri cittadine cinquecentesche (più 11 lungo la costa).
La torre di Porta Terra era la Porta Rejal, ingresso della città arrivando da Sassari. La torre di san Giovanni era quella ‘di mezzo’, mentre quella di Sulis è nota per la cruenta battaglia notturna tra 5 e 6 maggio 1412: pochi algheresi si opposero alle truppe di Guglielmo III di Narbona. Il nome deriva da un tribuno cagliaritano protagonista delle agitazioni di fine XVIII secolo, condannato e qui imprigionato per oltre vent’anni. Nel perimetro urbano rientrano anche le torri di san Giacomo, della Polveriera (l’arsenale) e di sant’Elmo, intitolata a Erasmo (Elm in catalano), santo navigatore. All’interno, in bassorilievo, lo stemma della Corona d’Aragona. Infine la Garitta Reale, avamposto di guardia all’estremità dei bastioni Marco Polo, e la torre della Maddalena con scolatoi sporgenti per lanciare sui nemici olio e acqua bollente, detta anche di Garibaldi, che approdò qui nel 1855. A sud, lungo la panoramica per Bosa, troviamo altre due torri, mentre a nord, tra il parco di Porto Conte e Capo Caccia, ben sei: la più suggestiva quella della Pegna, costruita su un promontorio dai pescatori di corallo. Altre tre sono a Porto Ferro.
Cala dell'Argentiera
Un villaggio fantasma accanto a montagne di scorie argentate e affascinanti ruderi di un’epopea mineraria ormai lontana, oggi innovativo museo a cielo aperto. Ma anche scogliere a strapiombo su acque limpide, spettacolari calette e candide distese sabbiose, luoghi dove alternare relax in spiaggia a esplorazioni escursionistiche. È lo scenario dell’Argentiera, frazione di Sassari - da cui dista 43 chilometri (lungo prima la statale 291 e poi provinciale 18) - un tempo florida borgata e principale distretto estrattivo del nord Sardegna, grazie a ricchi giacimenti di zinco e piombo argentifero, noti sin dall’Antichità. Oggi è uno dei siti di archeologia industriale più suggestivi d’Europa, parte integrante del parco geominerario della Sardegna, nonché una placida località di mare, a metà strada tra Alghero, Stintino e Porto Torres, mai affollata, neppure in piena estate. Poche famiglie di contadini abitano tutto l’anno la borgata.
I ruderi della vecchia miniera si affacciano sul mare turchese. Attorno si susseguono ripide pareti rocciose e promontori ricoperti da fitta macchia mediterranea, che delimitano baie di selvaggia bellezza, accessibili dal mare o via terra lungo irti sentieri nella natura incontaminata, ideali per il trekking. Scenari spettacolari, set della scena iniziale de ‘La scogliera dei desideri’, con Betty Taylor e Richard Burton (1968). L’alta costiera è interrotta da tre insenature sabbiose: a Porto Palmas, vicino allo scoglio Businco e la cala dell’Argentiera, un tempo usata come carico minerali, imbarcati e trasportati poi sui battelli. La cala è formata da due spiagge a semicerchio, separate da una piccola scogliera. La sabbia è compatta, a grani medi, di un colore ambrato chiaro, quasi grigio per via delle polveri minerali. La maggiore delle spiagge dà quasi sulla piazza principale del borgo, teatro a fine luglio di un festival letterario. La più piccola si trova a sud, detta Cala Onano, dominata da un villaggio di minatori nato a inizio XX secolo e dal fabbricato della laveria in legno pitch-pine del 1936, oggi uno dei più singolari monumenti minerari. Il fondale della baia è basso e sabbioso in riva, fatto di tavolati rocciosi più a largo: spiccano speroni con anfratti e cavità, habitat di una gran varietà di forme di vita e meta di appassionati di snorkeling. Qui potrai noleggiare attrezzature balneari, pedalò e canoe. Non mancano punto ristoro e ampio parcheggio, adatto anche ai camper. Vicino ristoranti e bar.
Dalla borgata partono due strade sterrate che portano al capo e alla punta dell’Argentiera. A sud, percorsi due chilometri, incontrerai Porto Palmas, unico approdo nel raggio di qualche miglio. La spiaggia è una spettacolare mezzaluna di sabbia bianca in mezzo a rocce scure, con ai lati basse scogliere che la proteggono da vento e correnti. A nord dell’Argentiera lo sterrato percorribile con fuoristrada procede parallelamente alla scogliera per alcuni chilometri: ammirerai uno levigato di roccia lavica, modellato da acqua e vento, che assume tratti di paesaggio lunare e circoscrive calette con punti panoramici. La strada, ora asfaltata, prosegue sino alla selvaggia spiaggia di Lampianu, vicina al villaggio Nurra in disuso, e arriva a punta de Lu Nibaru, di fronte allo scoglio Businco.
L’attività estrattiva dell’Argentiera durò esattamente un secolo a partire dal 1867. La miniera passò di mano in mano da una società alla’altra, con alterne vicende, il massimo dello sviluppo tra fine XIX e primi decenni del XX secolo. Una significativa e suggestiva eredità di recente in fase di valorizzazione, iniziata con la rigenerazione ambientale e la riqualificazione urbana della borgata, e proseguita nel 2019 con la realizzazione dell’Open MAR, innovativo museo a cielo aperto, incontro di memoria storica, arte e nuove tecnologie.
Nuraghe Appiu
Un crollo ne aveva celato le forme e protetto i segreti, ma a seguito dei lavori di restauro e consolidamento, il nuraghe Appiu ha rivelato la sua – almeno allo stato attuale – unicità: il cortile, ovvero lo spazio che intercorre tra torre centrale (o mastio) e bastione, è coperto. L’unica, piccola apertura è nella parte alta, destinata a far filtrare la luce e, probabilmente, a permettere la fuoriuscita del fumo quando si accendevano i focolari. Chissà, però, che tale fortezza non nasconda ulteriori sorprese, dato che molti ambienti restano ancora da indagare.
Il nuraghe sorge nelle campagne di Villanova Monteleone, rivolto verso il mare, ai piedi del monte Cuccu, precisamente sulla sommità di un altopiano, detto Chentu Mannas che domina la fascia costiera tra le aree protette di Capo Marargiu e di Capo Caccia. L’edificio è quadrilobato, con cortine rettilinee che si raccordano alle torri angolari mediante conci lavorati con precisione a forma di ‘L’. L’accesso principale ti condurrà al cortile coperto, dal quale diverse aperture conducono al mastio e alle torri laterali. La torre centrale è alta 15 metri, e potrai osservare le coperture a tholos di due camere sovrapposte. Oltre all’Appiu, il complesso comprende un villaggio di 200 capanne, un altro nuraghe ma monotorre, una tomba di Giganti, due piccoli dolmen e, poco distante, un recinto megalitico con un tempio a megaron. Le capanne finora studiate mostrano uno schema a isolati, intorno a un cortile centrale. Gli ambienti dovevano rispondere a varie destinazioni d’uso, in quanto appaiono strutturati in molteplici aree interne separate da lastroni e con nicchie, mentre i focolari erano posti lateralmente. Anche i materiali rinvenuti durante gli scavi dimostrano le varie attività svolte e la vitalità dell’insediamento: macine, pietre per affilare, mortai, schegge di selce e ossidiana, falcetti in bronzo, vasi askoidi, tegami, fusi e pesi da telaio. La loro conformazione porta a datare l’insediamento agli inizi dell’età del Ferro, tra il X e IX secolo a.C. Oltre che abitazioni, le capanne erano con tutta probabilità anche magazzini e laboratori artigianali.
Il monotorre è chiamato Punta ‘e su Crabile e presenta una camera unica con altezza residua di tre metri e mezzo. Di fronte stanno i due dolmen. Tra i due nuraghi, dentro un boschetto di sugherete, si erge la tomba di Giganti: noterai il corpo tombale rettangolare absidato e uno dei bracci dell’esedra semicircolare. Il parco archeologico è immerso nel verde di querce e lecci, attorno le montagne si affacciano quasi a precipizio sul mare. Potrai proseguire il tour archeologico nel territorio di Villanova Monteleone facendo un ulteriore salto indietro nel tempo, nella necropoli di Puttu Codinu, dove ammirerai nove ipogei funerari nelle cui pareti sono scolpiti simboli sacri e decorazioni arcaiche.
Sedini
Alcune sue antiche case sono ricavate nel calcare di un altopiano, che si eleva a 350 metri d’altezza, tra dolci colline e il mare del golfo dell’Asinara. Sedini è un borgo di mille e 300 abitanti dell’Anglona, che custodisce particolarità naturali, cultura tradizionale ed eredità preistoriche, specie la domus La Rocca, ‘la cattedrale delle domus de Janas’, uno dei più singolari monumenti prenuragici dell’Isola, che si trova nella strada principale del paese! È un’enorme roccia sul ciglio del vallone di Baldana che ospita un ipogeo funerario del IV-III millennio a.C. Il sito ha avuto una straordinaria continuità d’uso lunga cinquemila anni, dal Neolitico al XIX secolo. Le trasformazioni nel corso dei secoli, specie nel Medioevo, l’hanno resa parte ‘viva’ del paese: è stata cava per produrre mattoni, prigione, ricovero per animali, negozio e abitazione. Attualmente ospita il museo delle tradizioni etnografiche dell’Anglona, che racconta cultura agropastorale, vita delle comunità locali, storia e archeologia, a partire della tomba neolitica, che costituisce il livello più antico della Rocca: sei celle di dimensioni e forma varie, di cui due fuse in un unico ambiente. L’altopiano dove sorge il paese è costellato di grotte abitate nella preistoria: Li Conchi, Li Caadaggi e La Pilchina. Affascinante è la Fossa de la Loriga, dentro il colle Lu Padru: stalattiti e stalagmiti impreziosiscono le sue sale alte dieci metri. Vicino si erge il nuraghe Lu Padru, ‘bianco’ perché eretto con massi calcarei. Conserva intatta la camera interna.
Il centro storico del paese presenta scalinate e sottopassaggi, unico nel suo genere grazie all’effetto scenografico di case costruite a ridosso e sopra i banchi di roccia, talvolta sfruttandone le cavità. Prelibati sono i prodotti agroalimentari (carni, formaggi, miele e vino) e la tradizione gastronomica, incentrata su pani e dolci (ozzaddini, origlietti, frijoli e cozzuli di pilhtiddhu). La bella parrocchiale di sant’Andrea - patrono celebrato a fine novembre – risale al 1517 con restauri tra XVIII e XIX secolo. Custodisce una copia della ‘Trasfigurazione’ di Raffaello, opera di Andrea Lusso (1597). Lo stile degli interni varia dal tardogotico al rinascimentale.
Intorno al borgo, ammirerai panorami mozzafiato, specie nella vallata del rio Silanis, ricca di sorgenti, strapiombi, mulini e chiese medioevali, fra cui i ruderi di san Nicola di Silanis. La chiesa, fondata su un ex monastero benedettino, si trova nel villaggio (abbandonato) di Speluncas, costruita in conci calcarei prima del 1122 per volontà della famiglia Zori - nobili appartenenti alla cerchia del giudicato di Torres – e risalta per perfezione e purezza architettonica. Altro monumento imperdibile è la chiesa di san Pancrazio di Nursi, isolata su un’altura, ricavata nell’unico ambiente superstite di un monastero del XII secolo. Nelle murature si alternano cantoni in calcare e in pietra vulcanica.
San Lorenzo - Silanus
Semplice solo in apparenza, con navata unica, tipiche decorazioni romaniche e campanile a vela. In realtà, conserva antichissime pitture e curiose decorazioni, oltre a simboli religiosi provenienti da una tomba nuragica. La chiesa di San Lorenzo si erge su una collinetta alla periferia nord-occidentale di Silanus, circondata da un cortile alberato. Fu fatta costruire intorno al 1150, probabilmente dai monaci cistercensi dell’abbazia di Santa Maria di Corte di Sindia.
L’edificio è a navata unica con pianta rettangolare e abside semicircolare orientata a est. All’interno si conservano tracce di affreschi realizzati intorno alla prima metà del XIII secolo, con immagini di santi e vescovi. Spicca la raffigurazione di San Cristoforo con le gambe immerse in un fiume. Ti sorprenderanno anche le figure animali, vegetali e con visi umani che compaiono negli archetti pensili che corrono sul perimetro della chiesa. In facciata, osserverai un portale sormontato da un architrave con arco di scarico a sesto acuto. Il prospetto è ripartito orizzontalmente da una cornice che delimita il frontone. Al di sopra si innesta il campanile a vela con due luci, mentre tra le paraste angolari si innesta una serie di archetti a doppia ghiera, poggianti su mensole scolpite con diversi motivi. Nella sesta, noterai la testa di un toro. La copertura è a capriate, mentre l’illuminazione è data da monofore a feritoia sui fianchi e da una finestra cruciforme poco sopra l’abside.
La chiesa si anima nella prima metà di agosto con la festa dedicata al santo titolare, preceduta da una novena durante la quale si recitano i gosos, struggenti canti devozionali. La processione è preceduta dalle bandelas, cavalieri con stendardi, a cui fa seguito una sfilata in abiti tradizionali con gruppi provenienti da tutta l’Isola. Non mancano musiche, balli e serate dedicate alla poesia.
Nel giardino attorno al santuario si trovano cinque betili. Per lungo tempo si è pensato che provenissero dalla tomba di Giganti di s’Abbaia, non lontano dal nuraghe Corbos; ora, invece, è opinione condivisa che l’origine sia da ricercare nella sepoltura nuragica di sa Pedra Longa. I betili presentano caratteri maschili e femminili, si pensa rappresentino divinità protettrici dei defunti.
Silanus è un museo archeologico a cielo aperto: nel suo territorio si contano una quindicina di tombe di Giganti, quasi trenta 30 nuraghi, domus de janas e il tempio a pozzo su Cherchizzu, uno dei più piccoli. Vicino, ecco l’affascinante complesso di Santa Sabina, con chiesa – di origini bizantine –di fronte all’omonimo nuraghe. Poco distanti due tombe di Giganti. Altra significativa testimonianza dell’età del Bronzo è il nuraghe Orolio (o Madrone). Si conserva solo il mastio, dove potrai ancora osservare la copertura a tholos delle camere, perfettamente conservata.
Lei
Incorniciato dalla catena montuosa del Marghine, con cime oltre i mille metri, sorge su un colle a 500 metri d’altitudine in un territorio rigoglioso, irrorato da sorgenti e corsi d’acqua e ammantato da boschi di castagni, lecci, roverelle, tassi e querce secolari. Lei, attestato per la prima volta nel condaghe di santa Maria di Bonarcado (XI secolo) come Lee, è un paesino di quasi 600 abitanti della provincia di Nuoro, che fa parte dei borghi autentici d’Italia. Il suo fascino è legato a scorci paesaggistici di rara bellezza, Primaghe e Nidu e Corbu, cime scelte come nidi da maestosi rapaci, Baita e parco di Zuncos con affascinanti sentieri di trekking nella natura incontaminata, singolarità dei monumenti preistorici e legame con la tradizione.
Fertilità e rigogliosità del territorio contribuiscono alla sua economia agricola, con produzioni cerealicole, di legumi, lino, canapa, alberi da frutto, vino e olive, da cui deriva un ottimo olio. Rinomato anche l’artigianato tessile, specie tappeti e lavorazione della lana. Lei si distingue anche per squisiti dolci (pirichittos, pabassinas, sebadas, sospiros e casalinas), pani, come carasau e zicchi, formaggi, carni e salumi. Li potrai assaporare nelle feste di sant’Isidoro (metà maggio) e di san Marco evangelista (24-25 aprile), caratterizzata dal pane cogones de santu Marcu e da processione sino al santuario campestre.
A poca distanza dal borgo, immerse nella natura, numerose testimonianze di un territorio abitato sin dal Neolitico: due domus de Janas nella località di su Ferrighesu e Muros, sei nuraghi e tre tombe di Giganti. Nel XIX secolo, in un ripostiglio votivo nuragico, sono stati rinvenuti frammenti in bronzo di accette, asce, pugnali, lance, armille e statuette. Ritrovati in tempi più recenti, da sa Tanchitta, arrivano due cuspidi e puntali bronzei, macinino in pietra e una moneta dell’imperatore Traiano, da Beraniles un bracciale bronzeo di epoca punica (oggi al museo G.A. Sanna di Sassari) e da Calafrighedu pezzi di giare romane. Oggetti e ceramiche di età medievale sono venuti alla luce in un boschetto all’ingresso del paese e vicino alla chiesa di san Michele arcangelo (del XIII secolo), in origine campestre, oggi in pieno centro abitato. Il piccolo edificio a navata unica coperta con tetto a due falde, ha un portale con arco a tutto sesto fatto di conci bicromi e, sul lato destro, un campaniletto a vela.