Monti d'à Rena
Una duna alta dieci metri, che sembra un candido e soffice monte, dal cui versante sinistro la distesa di sabbia degrada dolcemente sino a immergersi nel mare cristallino dalle tonalità tra azzurro e verde smeraldo. È il paesaggio che ti attende nella spiaggia Monti d’Arena, nella parte settentrionale dell’isola della Maddalena, racchiusa fra le punte Abbatoggia e Marginetto, poco prima di arrivare al villaggio turistico di Punta Cannone.
Il nome deriva, appunto, dal caratteristico ‘monte’ di sabbia chiara e fine circondata da una fitta macchia mediterranea. Il fondale è basso e sabbioso e affiorano qua e là piccoli scogli di granito, il vero protagonista della zona. Sgretolato in piccoli granelli e modellato dal maestrale, forma i grandi depositi di sabbia che rendono unica Monti d’Arena.
La spiaggia è caratterizza anche da un piccolo stagno alle sue spalle, dove vivono specie animali tipiche delle aree mediterranee. Inoltre, è dotata di punto di ristoro, ampio parcheggio e collegamenti autobus. Potrai noleggiare pedalò e imbarcazioni. Grazie al vento costante, è meta apprezzata dagli amanti del windsurf..
Nelle vicinanze, nella parte nord della Maddalena, non perdere occasione per goderti altre due spiagge con caratteristiche simili, Bassa Trinita e Cala Lunga, fatte di rocce modellate dal vento e soffici dune. Tutto il perimetro costiero dell’isola ti affascinerà con scogliere, insenature e calette. Nel versante opposto, a sud-ovest, troverai i colori scintillanti di Punta Tegge. E risalendo lungo la costa occidentale le baie nascoste di Cala Francese. A oriente, poco oltre l’istmo che collega La Maddalena a Caprera, dove le attrazioni naturalistiche e culturali sono molteplici, troverai l’incantevole scenario di Spalmatore. Dalla Maddalena, inoltre, potrai partire alla scoperta delle altre isole del parco nazionale: Santo Stefano, Budelli, Razzoli, Santa Maria e Spargi.
Tuttavista
Sulla sua cima, a oltre 800 metri d’altezza, svetta la statua bronzea del Cristo, opera dell’artista madrileno Pedro Angel Terron Manrique. La scultura è alta dodici metri ed è una riproduzione della statua lignea del santissimo Crocifisso ospitata nell’omonima chiesa di Galtellì. Grazie alla simbolica presenza, il Tuttavista, è meta di pellegrinaggi per chi intenda meditare in un luogo isolato a contatto con la natura, lungo un affascinante cammino che scala le sue pendici.
Il monte si erge in Baronìa, nei territori di Galtellì, Onifai e Orosei. I suoi fianchi sono delimitati dalla valle alluvionale del fiume Cedrino. Dalla sommità osserverai un panorama a 360 gradi sul territorio circostante: a sud Dorgali con il monte Irveri, a occidente il Cedrino, Galtellì, Loculi e Irgoli, a nord-ovest la lunga catena del monte Albo, a oriente il golfo di Orosei. Percorrendo la panoramica che sale sulle pendici, lungo i tornanti farai varie soste per osservare panorami mozzafiato: il nome del monte è una garanzia. Una sosta è d’obbligo a quota 635 metri: troverai un monumento naturale, sa Preda istampada (la pietra forata), una parete rocciosa con un foro di 40 metri di diametro creato da vento e piogge, praticamente una finestra su vallata sottostante e Supramonte. Potrai anche cimentarti in percorsi di trekking, per esempio in quello che risale il monte dalla zona di Taraculi.
La roccia calcarea del Tuttavista presenta una morfologia aspra, con grotte e cavità carsiche dove sono stati rinvenuti reperti di fauna fossile e specie endemiche vissute tra due milioni e diecimila anni fa. Boschi di leccio, ginepri, lentischi, euforbia e ben 32 entità di orchidea selvatica - rari endemismi che potrai fotografare lungo i sentieri - colorano la montagna. La vegetazione è popolata da cinghiali, donnole, martore, volpi e varie specie di uccelli: corvi imperiali, gheppi, pernici e poiane. L’oasi naturalistica è ideale anche per gli amanti del free climbing: ci sono varie pareti attrezzate per l’arrampicata con percorsi di media e alta difficoltà.
San Pietro extra muros - Bosa
Dalle case colorate del borgo di Bosa, percorrendo un chilometro lungo il Temo, giungerai nella località Calamedia, sito abitato fin da epoca fenicio-punica: qua sorge l’ex cattedrale di san Pietro, la chiesa romanica più antica dell’Isola. Le sue pareti di trachite rossa si ergono vicino alla riva del fiume, sulla sponda opposta al colle di Serravalle dominato dal castello dei Malaspina, al cui interno troverai un’altra perla di architettura religiosa: Nostra Signora di Regnos Altos. San Pietro è detta extra muros perché si trova fuori dalle mura del castello, di cui è più vecchia di mezzo secolo. Attorno sorgeva il nucleo originario della città, abitato sino a tutto il Cinquecento. Quando poi, sulle pendici del colle, fu completato il rione sa Costa, la popolazione si trasferì. Una migrazione di due secoli: Bosa vetus scomparve.
Il santuario è frutto di un lungo processo. La parte più antica è di metà XI secolo, attestato dall’epigrafe di consacrazione che riporta l’anno MLXIII, mentre al secolo successivo risalgono tribuna con nuova abside, torre campanaria (alta 24 metri e incompiuta) e muri perimetrali. Le esondazioni del Temo compromisero alcune parti, ricostruite a metà XX secolo: il complesso riprese l’aspetto medievale. Oggi ammirerai una chiesa che, perso il titolo di cattedrale, ha mantenuto intatto il fascino. La facciata (del XIII secolo) è decorata da ampie arcate e archetti intrecciati. In cima noterai un’edicola sorretta da colonnine, avvolte da un serpente intrecciato. Un’arcata incornicia il portale, sopra il quale ti colpirà un architrave scolpito con finte logge e sei archetti che ospitano bassorilievi raffiguranti, in composizione gerarchica, la Madonna col Bambino nell’edicola centrale maggiore, a fianco Albero della Vita e santo vescovo (forse Costantino de Castra che consacrò l’edificio), sul lato destro san Pietro e a sinistra san Paolo, con vesti dagli elaborati drappeggi. Il vescovo è nell’edicola minore ma gli si fa occupare un posto accanto alla Vergine. L’abside è divisa in cinque sezioni da lesene che sostengono mensole che a loro volta sorreggono archetti. In tre di esse osserverai monofore che contribuiscono a illuminare l’interno, composto da tre navate: la mediana coperta da capriate lignee, quelle laterali voltate a crociera. Ad esse accederai da nove archi a tutto sesto per lato, sorretti da pilastri quadrangolari. Nel primo a destra troverai un fonte battesimale in calcare bianco.
S'Ena e Thomes
Vedrai spuntare la sua enorme stele, una lastra di granito alta quasi quattro metri, nella valle del rio Isalle, alla fine di un sentiero di mezzo chilometro avvolto da macchia mediterranea. La tomba dei giganti di s’Ena ‘e Thomes è il monumento funerario nuragico più importante dell’Isola: si presenta maestosa, simile a come doveva essere migliaia di anni fa. Risalente al Bronzo Antico (1800-1600 a.C.), si trova nel territorio di Dorgali, a sei chilometri dal villaggio nuragico di Serra Orrios e a circa 17 dal centro abitato, lungo la strada per Lula.
Avvertirai un’impressione di arcaicità e monumentalità. La stele granitica con bordi levigati pesa sette tonnellate e sta al centro di un’esedra, ossia un semicerchio di lastroni di pietra, infissi ‘a coltello’ nel terreno, a forma di corna taurine, con dimensioni decrescenti dal centro verso le estremità. L'esedra delimita l’area sacra, dove erano officiati ancestrali riti funerari. Nella stele è scavata una porticina simbolica, l’accesso agli Inferi, così piccola da essere inaccessibile ai vivi. Alle spalle, quasi intatto, c’è il corridoio funerario a dolmen, lungo 11 metri, con copertura a piattabanda: le lastre di pietra sono disposte orizzontalmente lungo le pareti. L’orientamento della camera mortuaria, insolito rispetto a quello ‘orientale’ di molte altre tombe nuragiche, è verso sud. È così anche nelle sepolture di Goronna (Paulilatino) e Baddu Pirastru (Thiesi). Secondo leggenda, le tombe dei giganti erano usate da esseri enormi: le dimensioni ciclopiche chiariscono l’origine del nome. In realtà, erano sepolture collettive. Anche s’Ena ‘e Thomes conferma che per i nuragici la morte non fa distinzioni: negli scavi sono stati rinvenuti scarni corredi funerari, che non evidenziano disparità sociali. Rimane il dubbio tra fossa comune o riservata a una sola classe (aristocratica). Sono considerati, inoltre, luoghi di emanazione energetica: ricercatori, spiritualisti e curiosi le visitano alla ricerca di guarigioni fisiche o rigenerazioni spirituali. Nell’antico rituale, diffuso anche nella cultura greca, si cadeva in un sonno-trance, entrando in contatto con la divinità.
Monastir
Il nome deriverebbe da muristenes, antichi alloggi per fedeli e viandanti, o dalla parola catalana per monastero, non a caso sino a fine XX secolo, vicino alla parrocchiale di san Pietro apostolo, sorgeva un edificio noto come domu de is paras, ‘casa dei frati’. Monastir si adagia nella fertile pianura del Campidano, in mezzo due collinette di origine vulcanica, i monti Zara e Olladiri, che interrompono l’andamento pianeggiante delle campagne, solcate dai rii Mannu e Flumineddu. Centro di quattromila e 500 abitanti, a venti chilometri da Cagliari, ha vocazione agricola: coltivazioni di agrumi, pesche e patate ricoprono il suo territorio.
L’attuale abitato sorse nel Medioevo attorno a una comunità di monaci camaldolesi. Fece parte del giudicato di Calari, per un breve periodo di quello di Arborea, poi divenne possedimento pisano. Emblema dell’epoca sono i resti del castello di Baratuli, in cima all’Olladiri, costruito a metà XII secolo dai giudici di Cagliari, passato agli arborensi e distrutto dai pisani a inizio XIV. Il centro storico si sviluppa attorno alla parrocchiale di san Pietro, patrono del paese, il cui impianto gotico-aragonese risale a inizio XVI secolo. Molto più antica è la chiesa di santa Lucia (seconda metà del XIII secolo), in stile romanico. A fine agosto si celebra la festa in onore della santa: è il momento più sentito dalla comunità monastirese con processioni di andata e rientro tra parrocchiale e chiesetta campestre, accompagnate da fedeli, cavalieri, carri trainati da buoi, gruppi in costume e suonatori di launeddas. La prima celebrazione dell’anno sono i fuochi di sant’Antonio abate (17 gennaio) cui è dedicata una chiesa gotica del XIV secolo. Segue, pochi giorni dopo, su foghidoni per san Sebastiano, cui è intitolato un santuario del XV secolo. In un paese estremamente devoto spiccano altri edifici di culto: la chiesa di san Giacomo, la più antica (XII secolo), abbellita da un campanile a cuspide, e quella della beata Vergine Maria (o ‘della Madonnina’).
Monastir vanta un notevole patrimonio archeologico. Le testimonianze più datate sono nelle colline: a Is Aruttas una necropoli a domus de Janas (3200-2800 a.C.), sull’Olladiri resti di capanne prenuragiche e nuragiche, sullo Zara le domus de Janas dette is Ogus de Monti e la scalinata monumentale di 60 gradini ricavati nella roccia, che portano all’acropoli. In cima alla collina vedrai l’area sacra nuragica, due altari e due pozzi destinati al culto delle acque, alla base della scalinata un edificio circolare del IX secolo a.C., adibito a varie attività, tra cui la vinificazione. In zona anche il nuraghe su Cuccumeu e il villaggio di Mitza Morta.
Gesturi
Paesaggio incantevole fermo nel tempo, eredità nuragica e intensa devozione. Ecco le caratteristiche di Gesturi, il paese più a nord della Marmilla, con oltre mille abitanti. Il suo territorio occupa in parte la Giara (sa Jara Manna), altopiano alto 600 metri, un tempo imponente vulcano, oggi incontaminata oasi senza eguali nel Mediterraneo. Vegetazione e animali vivono in simbiosi: un ‘museo naturale’ con una densa coltre di specie botaniche, fiori e piante rare che si adattano a clima e territorio. A irrorarle, is paulis, enormi pozze d’acqua profonde anche quattro metri. Attorno si alternano valli dominate da macchia mediterranea e colline coltivate a uliveti e vigneti, da cui derivano olio e vino di ottima qualità. Mentre lungo i costoni scoscesi dell’altopiano appaiono boschi di querce e pioppi che lasciano spazio a distese di sugherete sopra il tavolato, quasi tutte ‘storte’, inclinate dalla forza del vento.
La selvaggia bellezza è abitata da anatre, beccacce, ghiandaie, lepri e, soprattutto, dai cavallini della Giara, una specie protetta, la cui origine è avvolta nel mistero, di circa 500 esemplari che vivono in piccoli gruppi. Sull’altopiano svettano rilievi rocciosi e interrompono l’andamento pianeggiante. Qui camminerai attraverso i segni che l’uomo ha lasciato in 3500 anni, compreso il ‘padre di tutti i nuraghi’, il protonuraghe Bruncu Madugui. I siti archeologici sono trenta, tra cui menhir e domus de Janas di sa Ucca ‘e su paui, tombe di Giganti e nuraghi di Pranu ‘e Mendula, villaggi punici e romani di Tana e Tupp’e Turri.
Gesturi è meta di pellegrinaggio grazie a fra Nicola (1882-1958), beatificato da Giovanni Paolo II e vissuto in una modesta casa del paesino, oggi adibita a museo. Da qui percorrerai un itinerario lungo vie strette e dimore con portali e verande archivoltate, chiese del centro storico e santuari campestri. La devozione è espressa da sei edifici di culto: al centro vedrai svettare il campanile alto 30 metri della parrocchiale di Santa Teresa d’Avila (1607), festeggiata a metà ottobre. In periferia si trova la chiesa di santa Barbara, la più antica (1473), appena fuori dall’abitato, la Madonna del Rosario (XVII secolo), sede de is cunfrarius biancus, confraternita che durante la Settimana Santa si occupa della Madonna. La cura del Cristo è compito della confratelli del santo Sepolcro, che risiedono nella chiesetta di Santa Maria Egiziaca, particolare per architettura e per le ‘statue abbigliate’. A quattro chilometri dal paese, immersa in un bosco di alberi secolari, si trova la chiesa della Madonna d’Itria (1620), i cui festeggiamenti, forse di origine bizantina, iniziano il giorno di Pentecoste. Ad esse si abbina la laica sagra della pecora. La festività più sentita è per fra Nicola: due giorni di intense celebrazioni.
Cavalcata sarda, la festa della bellezza
I cantanti a tenore alternano il loro ritmo al calpestio dei cavalli. Cavalieri e amazzoni omaggiano spettatori e Autorità offrendo pani, dolci e primizie. Zoccoli a ritmo di trotto esplodono in ardite pariglie: sfrecciano i cavalieri di Padria e i sartiglieri di Oristano. I Mamuthones e gli Issohadores di Mamoiada e i Boes e Merdules di Ottana catturano sguardi e obiettivi fotografici con le loro maschere intrise di fascino e mistero. Le launeddas del Sarrabus fanno da contorno a corteo e serata conclusiva. Sono suoni e colori, musiche e danze, gioielli e costumi della Cavalcata sarda di Sassari, dove ogni anno - tradizionalmente nella penultima domenica di maggio - si incontrano le peculiarità identitarie di tutte le comunità isolane. Uno spettacolo indimenticabile per ricchezza e maestosità, una festa che dà vita al più grande evento laico della Sardegna, giunto nel 2025 alla 74^ edizione.
Esterzili
Guardando dal paese verso l’alto osserverai la cima di un monte isolato e suggestivo, spostando lo sguardo verso valle, resterai affascinato dalla varietà di paesaggi. Esterzili è un piccolo paese di circa 650 abitanti che si adagia a 700 metri d’altitudine sulle pendici del monte santa Vittoria, la cui vetta supera quota 1200. Da lassù, al termine della scalata, ammirerai un panorama che domina Sarrabus, Gerrei e Sarcidano e arriva sino al Campidano e al mare d’Ogliastra.
Esterzili dal punto di vista amministrativo ricade nel sud Sardegna ma è considerato parte della Barbagia di Seulo. Il centro storico conserva intatto il fascino di case caratterizzate dai murales. Paese e campagne sono punteggiati da edifici di culto. Al centro c’è la nuova (1972) parrocchiale dedicata a Sant’Ignazio da Laconi. Al suo interno spiccano una pala d’altare raffigurante il Cristo crocefisso, una statua della Madonna del Rosario (XVII secolo) e un gruppo scultoreo del XVIII secolo. La chiesa di San Michele (del XV secolo), dedicata al patrono, in stile gotico-aragonese, sorge nella periferia nord. La raffinata facciata ospita un portone intarsiato ed è affiancata da un campanile a vela. La chiesa di Sant’Antonio da Padova (del XVII secolo) si trova su un colle all’estremità nord-occidentale del paese. Vicina, all’interno del parco omonimo, ecco la seicentesca chiesa campestre di San Sebastiano. Tra le feste da non perdere, a metà agosto, la sagra de su frigadòri (pane di cipolle cotto al forno) e de is cocoèddas (prelibatezze con ripieno di patate). Ai sapori della cucina si aggiunge folk, musica e spettacoli.
Il territorio di Esterzili fu abitato sin dalla preistoria. Sono stati censiti 77 siti archeologici: domus de Janas, nuraghi, templi, tombe di Giganti e bronzetti. Il più importante è il tempio nuragico sa Domu de Orgia, inerpicato a mille metri d’altitudine. È il tempio con tipologia a megaron più importante dell’Isola, risalente alla seconda metà del II millennio a.C.: è composto da due camere precedute da un vestibolo e racchiuso da un recinto sacro. Dai suoi scavi sono emersi vari bronzetti. La maggiore testimonianza di età romana, una delle principali rinvenute in Sardegna, è la Tavola di Esterzili, una lastra di bronzo recante un’iscrizione in latino che descrive la controversia fra popoli della zona, i Patulcenses Campani e i Gallilensi.
Palazzo degli Scolopi
Lungo l’asse che attraversa il centro storico di Oristano, dalla torre di Mariano alla porta Mari, sorge piazza Eleonora d’Arborea, una delle più famose della città, arricchita da edifici civili di pregio e di culto. Attorno alla statua della giudicessa, ammirerai la chiesa di san Francesco d’Assisi, il palazzo Corrias Carta e, all’angolo con corso Umberto I, il palazzo degli Scolopi. Al suo posto, attesta lo storico Angius, sorgeva una sinagoga, ‘giustificata’ dalla presenza di una nutrita colonia di ebrei, che durante la dominazione spagnola fu costretta a lasciare l’Isola.
Altre notizie sul complesso risalgono al 1536-40, tratte dai verbali delle riunioni consiliari, che qui si tenevano in quegli anni. La struttura diventò poi sede del convento gesuita: gli Scolopi, nel 1682, ci aprirono un istituto, finanziati da un ricco mercante. Le scuole Pie occupavano il piano inferiore del convento e rimasero attive fino al 1886, anno di soppressione degli ordini religiosi, sostituite dal regio ginnasio. Oggi è di nuovo sede del municipio oristanese: ospita l’aula consiliare, contrassegnata da un portale d’ingresso in arenaria, e uffici amministrativi.
Il complesso fu ristrutturato a partire dal 1830 a opera di Fra’ Antonio Cano. L’architetto e scultore sassarese caratterizzò la lunga e alta facciata con elementi classici. Intervenne anche sul monumento più ricco, l’ex chiesa di san Vincenzo, oggi aula consiliare: della sua opera rimangono quattro statue degli evangelisti, collocate in nicchie sulle pareti perimetrali. Durante il periodo fascista l’ambiente fu adibito ad aula di tribunale e le nicchie murate per occultare i simboli di pietà non adatti alla nuova funzione. Le mani, che venivano fuori dal muro, furono mutilate. Altro caratteristica decorazione è il balcone in ferro battuto che si affaccia sull’aula. Da qui, percorrendo un corridoio cadenzato da archi, giungerai alla sala giudicale che custodisce due grandi dipinti di Antonio Benini, ‘Matrimonio di donna Eleonora’ e ‘Proclamazione della Carta de Logu’, e la corona in bronzo donata dalle donne veneziane a Oristano in onore di Eleonora (1884). Di metà XIX secolo è un altro intervento, di Gaetano Cima, autore degli altri due edifici neoclassici della piazza (palazzo Corrias Carta e chiesa di san Francesco). L’architetto cagliaritano tentò di impostare, sul precedente, uno severo prospetto di matrice purista: tentativo di cui restano rigore geometrico e ricerca di una regola compositiva.
Palazzo Corrias Carta
La sua inconfondibile facciata neoclassica dalle tonalità accese si erge in piazza Eleonora d’Arborea, una delle più belle e famose di Oristano, al centro della quale spicca la statua della giudicessa. Il palazzo Corrias Carta domina il lato orientale della piazza, all’innesto con corso Umberto I, col suo stile elegante e rigoroso, perfettamente intonato col carattere nobiliare dell’edificio. Fu fatto costruire da Giuseppe Corrias come dimora familiare poco oltre la metà del XIX secolo, su progetto di Gaetano Cima, autore anche della neoclassica chiesa di San Francesco d’Assisi. Se in essa il celebre architetto cagliaritano ha lasciato la testimonianza più valida dell’architettura religiosa dell’Ottocento oristanese, il palazzo rappresenta, sul lato opposto della piazza, il massimo esempio nell’edilizia civile. Le due costruzioni sono accomunate da repertorio morfologico neoclassico e da grande attenzione per il loro inserimento nel contesto urbanistico.
L’opera, completata nel 1874, presenta un decoro tipico dei palazzi signorili dell’epoca e conferma semplicità e attitudine pratica del Cima. È composta da due corpi edilizi raccordati da un elemento circolare. Il disegno delle linee genera un prospetto equilibrato e unitario in cui sapientemente si inserisce l’angolo arrotondato che ammorbidisce e separa le due parti dell’edificio. Il volume cilindrico ha anche una valenza urbanistica, diventando cerniera e continuità fra gli spazi cittadini su cui si affacciano. L’eleganza esterna è accompagnata all’interno da preziosi affreschi e particolari decorazioni realizzate da Giovanni Dancardi e Davide Dechiffer, nonché da arredi classici originali risalenti a un periodo fra fine XIX e inizio XX secolo.
Piazza Eleonora è sede di altri importanti edifici storici oristanesi, come il palazzo degli Scolopi, anch’esso in stile neoclassico, un tempo convento gesuita oggi sede del consiglio comunale. La piazza è ogni anno passaggio di uno degli eventi più famosi della Sardegna: sa Sartiglia. Vicino scoprirai altri monumenti ed edifici storici, come la cattedrale di Santa Maria Assunta (il duomo), e la torre di Mariano, la più maestosa eredità delle antiche fortificazioni medioevali della città.