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Bici e natura, in sella nei parchi

Senso di libertà, andatura cadenzata, clima mite, scenari incantevoli, strade poco trafficate, a tratti deserte, silenzi che amplificano i suoni della natura. È la Sardegna in sella: gli amanti della vacanza in bici vivranno percorsi a contatto diretto con paesaggio e comunità di una terra antichissima, per lunghi tratti incontaminata, a volte aspra e selvaggia. Le strade si integrano con luoghi ricchi di bellezze naturalistiche e attrazioni archeologiche e culturali e soddisfano le esigenze di chi unisce passione per bici e natura a ‘sete’ di conoscenza. Le due ruote sono mezzo e filo conduttore. Puoi scoprire l’area attorno a cui soggiorni con percorsi ad anello oppure fare un tour a tappe con soggiorni itineranti: ogni giorno una località diversa. Con bici da strada o in mountain bike (per gli amanti del fuoristrada), sulla costa o nell’entroterra, preferibilmente in primavera o autunno, percorsi di varia difficoltà, dal ciclista esperto all’amatore.

S'Enna 'e s'Arca

Al confine settentrionale della Costa Verde, nel territorio di Arbus, i lunghissimi arenili di sabbia fine e dorata lasciano spazio a insenature nascoste, modellate dal vento e dal mare, con fondali mozzafiato. Qui, dove gli scogli si fondono con lingue di sabbia creando piscine naturali, splende s’Enna ‘e s’Arca, deliziosa cala rocciosa confinante a nord col poligono militare di Capo Frasca, mentre a sud iniziano i tratti sabbiosi, a partire dalla splendida is Arenas s’Acqua ‘e s’Ollastu (le sabbie dell’acqua e dell’olivastro), comunemente nota come Sabbie d’oro di Pistis. Mentre sullo sfondo della baia si staglia la guglia basaltica di punta s’Achivioni, testimonianza di attività vulcaniche di milioni di anni fa. Per circa 60 anni, s’Enna ‘e ‘s’Arca è stata interdetta all’accesso di residenti e visitatori, oggi, oltre all’insenatura, sono accessibili anche la cosiddetta ‘spiaggetta della Nato’, una piccola distesa di sabbia che spezza la continuità della scogliera, e un porticciolo all’interno della base militare.

La costa, rocciosa e frastagliata, è caratterizzata da basalti e arenarie lavorati da flutti marini, salsedine e venti in forme fantasiose e pittoresche. Le acque sono limpidissime con tonalità verde smeraldo, blu intenso e cobalto. I fondali, resi ancora più belli dall’alternanza delle rocce, sono habitat di tantissimi pesci, paradiso dello snorkeling e della pesca subacquea: sarà facile imbattersi in enormi ricciole, saraghi, orate, spigole, dentici, tracine, donzelle pavonine e tanti altri. Un’infinità di prelibati ricci marini popolano gli scogli. Fuori dall’acqua il paesaggio è lunare, i toni scuri, tra rossastro e bruno, regalano un fascino particolare alla cala. Attorno domina la profumata macchia mediterranea.

Arenaria e basalto locali erano usati un tempo come materiale di costruzione, oggi sono motivo di interesse per geologi e visitatori. In particolare l’arenaria è stata una risorsa già nell’Antichità, come testimonia una cava punico-romana che vedrai all’ingresso di Pistis, villaggio turistico sorto negli anni Ottanta del XX secolo. Le estrazioni hanno reso il paesaggio ancora più particolare con regolari incisioni fatte dall’uomo che si avvicendano a quelle irregolari della natura. L’area è stata di interesse strategico da epoca preistorica all’età contemporanea: vi sono dislocati nuraghi e torri d’avvistamento. Con l’arenaria della cava gli spagnoli, a fine XVI secolo, eressero la torre di Flumentorgiu, che svetta a Torre dei Corsari. Mentre un faro della Marina militare domina Capo Frasca.

Con la piana di Sant’Antonio di Santadi e il promontorio di Capo Frasca, s’Ena e s’Arca forma una penisola che chiude a sud il golfo di Oristano e segna l’inizio della Costa Verde. La prima spiaggia è le Sabbie d’Oro di Pistis: quasi due chilometri di imponenti dune di sabbia fine, ‘mosse’ dal maestrale, che da una parte degradano nel mare cristallino, dall’altra penetrano l’entroterra fino a farsi avvolgere dalla macchia mediterranea: cisti, corbezzoli, olivastri e ginepri contorti, uno divenuto dimora dal poeta Tziu Efisiu Sanna. Le dune arrivano fino a Torre dei Corsari, la cui distesa di sabbia è un altro magnifico ‘piccolo Sahara’. Il paesaggio spettacolare e selvaggio della costa arburese prosegue anche a Funtanazza, Portu Maga e Marina di Arbus, e nelle due ‘perle’ incontrastate della Costa Verde, il ‘deserto’ di Piscinas e la spiaggia ‘parlante’ di Scivu.

Dove ti porta il sole

Segui il percorso del sole coast to coast, dalle incantevoli baie della costa orientale alle incontaminate spiagge della Costa Verde nel Medio Campidano e del Sulcis-Iglesiente, passando attraverso l’affascinante cuore verde della Barbagia. All’alba, mentre ancora brillano le ultime stelle, a nuoto o in canoa, vai incontro al sole che si alza sull’orizzonte di uno degli infiniti gioielli della costa orientale, dal Golfo Aranci a San Teodoro, dal golfo di Orosei al Sarrabus.

Usciamo, a riveder le stelle

Poche luci artificiali e aria pulita, il cielo sopra la Sardegna è al riparo da inquinamento ambientale e luminoso, libero di offrire il meglio di sé e mostrare, nel buio della notte, luna e costellazioni, pianeti e meteore. Sarà tempo di cieli notturni che non temeranno restrizioni, un immenso planetario dove stare a tu per tu con le prime stelle che appaiono al crepuscolo, solitarie e cariche di energia, o in compagnia delle ‘superlune’ al loro massimo perigeo, il punto più vicino alla Terra. Si potranno vedere costellazioni e galassie lontanissime e in ogni stagione ci saranno sciami di stelle cadenti, le più belle ad agosto, che regalano romantiche notti da passare con il naso all’insù. Chi non manca mai all’appuntamento è la via lattea, la puoi contemplare dai solitari osservatori a cielo aperto dell’Isola, è un fiume in piena di luce astrale che riempie il cuore dopo un buio inverno.

Nuraghe Cuccurada

Un ancestrale viaggio nel tempo, uno spettacolare scenario ai confini tra Oristanese e Medio Campidano, un’aria di mistero sprigionata da cinquemila anni di storia stratificati in un solo luogo. Il parco archeologico di Cuccurada è arroccato sul ciglio meridionale del tavolato di sa Struvina, immerso nella natura mediterranea, a pochi passi da Mogoro, centro rinomato per manifattura tessile e produzione vitivinicola. Da lassù, dove accanto alle imponenti vestigia del passato vanno in scena spettacoli e mostre, dominerai un suggestivo panorama: dalla valle del rio Mogoro al mare della Costa Verde, attraverso Campidano e i monti Arci, Arcuentu e Linas. Il vasto complesso preistorico e protostorico è ben visibile dalla statale 131: svolterai al bivio per Mogoro (Km 62,5) e lo raggiungerai dopo appena due chilometri. Alla sua scoperta sarai accompagnato dalle guide del parco, la cui sede ospita centro informazioni e sala didattica ed espositiva.

La prima indagine sul sito fu del ‘padre’ dell’archeologia sarda, Giovanni Lilliu, a metà XX secolo. Poi è stato disseppellito da ben dodici campagne di scavo a partire dal 1994 e tuttora in corso, che hanno portato alla luce monumentali testimonianze di una frequentazione plurimillenaria: un muraglia megalitica, una struttura ciclopica a pianta ellittica (Cuccurada A), un nuraghe dalla struttura complessa e inconsueta (Cuccurada B) - così originale da distinguerlo da tutti gli altri - e i resti di capanne nuragiche che si sovrappongono a un più antico insediamento eneolitico (seconda metà del III millennio a.C.), riferibile alla cultura di Monte Claro. I caratteri dell’insediamento sono singolari soprattutto per questa sovrapposizione di varie culture: alcuni sporadici ritrovamenti sono ancora più antichi, attribuiti alla cultura di San Michele di Ozieri del Neolitico finale (3200-2800 a.C.) e attestanti contatti con il villaggio di Puisteris, sull’altra riva del rio Mogoro.

Il nuraghe è una ‘fortezza’ imperniata su un primitivo edificio ‘a corridoio’ (o protonuraghe) del Bronzo antico e medio (XX-XIV a.C.), che, mezzo millennio dopo, nel Bronzo recente (XIV-XIII a.C.), fu inglobato in un bastione a quattro torri perimetrali, raccordate da mura rettilinee. La più imponente è la torre D. Al loro interno è racchiuso un vasto cortile, dove si aprono gli accessi ai vani interni. Il nucleo protonuragico ha pianta reniforme, ingressi trasversali, una grande scalinata e due cellette ellittiche contrapposte, una con copertura a tholos (falsa cupola) intatta. Il bastione polilobato è rafforzato da un poderoso rifascio murario.

Gli scavi del cortile centrale hanno svelato un unicum nel mondo nuragico, ossia capanne erette all’interno delle mura, coeve di quelle sorte all’esterno, risalenti forse al Bronzo finale, ma costruite su strutture precedenti con conci caduti dagli spalti del nuraghe. Vicino al complesso, sull’estremo versante sud del pianoro, osserverai una struttura prenuragica a pianta ellittica, dotata di un angusto ingresso architravato. L’intero insediamento era ‘protetto’, inoltre, una poderosa muraglia megalitica, eretta a sud-ovest delle abitazioni, che risalirebbe a fine III millennio a.C. e di cui oggi restano circa otto metri, alti quasi tre.

I numerosi reperti rinvenuti negli scavi documentano una vita del complesso nuragico tra Bronzo medio e recente con sporadica frequentazione sino a inizio età del Ferro (VIII a.C.). Parte dei materiali è custodita nel museo archeologico di Cagliari, parte sarà ospitata nel seicentesco convento del Carmine di Mogoro, dove è in allestimento un museo archeologico: ammirerai ceramiche (scodelle, ciotole e tegami), reperti litici testimoni di attività agricole e caccia, fusaiole che attestano la filatura. Il reperto più particolare è un piccolo ‘bottone’ ornamentale in bronzo, raffigurante una dinamica scena di caccia.

Dopo la sua parziale distruzione, il sito è stato riusato in epoca storica, verosimilmente destinato a culti pagani, cristiani e giudaici, come testimonia un deposito di età tardo-romana, al cui interno sono stati rivenuti spilloni in osso, tantissimi crani di animali sacrificati, monete, lucerne cristiane e con simboli ebraici, nonché una stipe votiva del IV secolo d.C.

Mercatini, presepi e delizie, ecco il Natale in Sardegna

Sfavillanti decorazioni artistiche, villaggi di bancarelle colorate, profumi e sapori di dolci tradizionali, classiche sinfonie natalizie. È l’avvolgente atmosfera che caratterizza tanti centri storici di città, paesi e borghi sardi a Natale. Casette artigianali, specialità gastronomiche, colori e melodie animano i mercatini del Sulcis-Iglesiente, a Iglesias e Carbonia, il 'Villaggio del Gusto' natalizio a Sant’Antioco e quello di Babbo Natale a Tratalias, nel quale le case medievali diventano i laboratori degli elfi. Nell’Oristanese troverai eventi e mercatini a Marrubiu – che con Paschixedda Marrubiesa fa rivivere il Natale degli anni Venti e Trenta -, NarboliaTerralba con l'undicesima edizione de ‘Le vie del Natale’ e in piazza Othoca a Santa Giusta, animata dal ‘Natale in Laguna’. Mentre, a Oristano le casette di legno del mercatino sono ospitate in piazza Manno. Il clima natalizio nel Medio Campidano si respira a Senorbì, dove risplendono le decine di migliaia di luci della ‘casa di Natale’, a Serrenti, a Samassi e a Serramanna, che ripropone le Passilladas de Paschixedda. Quasi omonimo l’evento di Esterzili, nella Barbagia di Seulo: Donus de Paschixedda è il tradizionale mercatino nel ‘paese dei presepi’. La neve contribuisce all’atmosfera in Barbagia e in Baronia, con appuntamenti a Dorgali, Sarule, Irgoli, Posada e a Siniscola.

Nuraghe Lugherras

Il nome deriva dalle migliaia di lucerne votive ritrovate nella sua torre principale, che in epoca punico-romana fu adattata a santuario di Demetra e Kore, dee della fecondità. Il nuraghe Lugherras, uno dei più suggestivi dei ben 110 censiti nel territorio di Paulilatino, sorge sul ciglio di un pianoro, tra bagolari e querce, a circa sei chilometri dal paese, raggiungibile dalla provinciale 11 in direzione Bonarcado. Un tempo fortezza strategica a otto torri, a difesa per millenni delle popolazioni protostoriche, oggi è uno dei complessi nuragici più imponenti e meglio conservati della Sardegna centrale. Ed è stato uno dei primi esplorati, già nel 1906, quando iniziarono gli scavi dell’archeologo Antonio Taramelli, che ebbero anche l’effetto di distogliere le mire dei cercatori di tesori. Mentre le ultime indagini sono degli anni tra 2006 e 2012.

La ‘reggia’ di Lugherras è un nuraghe polilobato, costituito da tre sezioni erette in periodi diversi. In origine era monotorre, con una torre centrale (mastio) realizzata probabilmente nel corso dell’età del Bronzo recente (XIV-XII secolo a.C.); attorno al mastio, tra Bronzo finale e inizio età del Ferro (XII-IX a.C.), fu costruito un bastione con tre torri angolari, raccordate da sinuose cortine murarie, che racchiudono un cortile; una quarta torretta fu aggiunta come rinforzo, modificando lo planimetria, detta ‘a tancato’. In una terza fase, in piena età del Ferro, l’intero complesso fu ‘protetto’ da un antemurale pentagonale con quattro torri, collegate da cortine rettilinee, oggi in parte crollate, in parte interrate e ricoperte da vegetazione.

Il mastio si eleva su due piani, costruito con grandi blocchi di basalto appena sbozzati e disposti in filari orizzontali. La pianta è circolare, con diametro di tredici metri e mezzo; l’accesso è sormontato da un poderoso architrave con finestrella di scarico. Varcato l’ingresso, incontrerai un corridoio che conduce alla camera al pianterreno: è intatta, alta nove metri e coperta a tholos (falsa cupola), con due ampie nicchie laterali. Nella parete destra del corridoio si apre un’altra nicchia, sulla sinistra, il vano scala, di cui restano pochi gradini. In origine saliva a spirale sino all’andito del primo piano (oggi crollato) e poi alla camera, illuminata da un finestrone che si affaccia sul cortile. Restano anche tracce di un’altra rampa che portava a un secondo piano.

Al bastione quadrilobato accederai da un ingresso architravato sulla cortina orientale. Al centro si trova il cortile a mezzaluna, un tempo lastricato, ora circondato da pareti leggermente aggettanti, alte sino a dieci metri. Dal cortile accederai, oltre che al mastio, alle tre torri laterali, tramite lunghi corridoi coperti. La torre sud-orientale presenta una camera a pianta ellittica: dalle sue pareti partiva una scala che conduceva a una camera al primo piano e (forse) agli spalti del bastione. Poco prima dell’ingresso alla torre nord-est si apre un pozzo profondo dieci metri.

Intorno al complesso, all’interno dell’antemurale, si trovano i resti di un villaggio di capanne circolari. A circa 500 metri, sorge la tomba di Giganti di Vidili Piras, caratterizzata da una rara stele quadrangolare. Il sito fu abitato dai nuragici sino a fine VI-inizio V secolo a.C., quando cadde in mano dei cartaginesi: la cella superiore del mastio fu adibita a tempio per il culto di Demetra e Kore, corrispettivo in età classica dei culti della Dea Madre, attestati in Sardegna sin dal Neolitico. Durante la successiva dominazione romana furono aggiunti un altare e una mensa, mentre la camera inferiore divenne deposito delle offerte votive. Al suo interno fu rinvenuto, oltre a reperti del Bronzo recente e finale, un ricco patrimonio votivo: migliaia di lucerne in terracotta di figura femminile e di kernophoroi, ossia manufatti in ceramica raffiguranti un capo femminile con sopra un vaso sacro (IV-III a.C.), e poi bruciaprofumi, monete puniche e romane, busti di Demetra (II a.C.), resti ossei. Dal pozzo del cortile provengono numerosi reperti, anche dell’età del Ferro: vasi, tegami, scodelle, brocche e ciotole in ceramica, armi in ferro, bronzetti e oggetti in pietra.

Il territorio di Paulilatino è tra quelli a maggiore densità nuragica, celebre per uno dei capolavori architettonici dell’età del Bronzo, il santuario di Santa Cristina, centro civile e religioso delle tribù nuragiche. Anche nel centro abitato ammirerai testimonianze del passato: il nuraghe monotorre Putzu Pili, nell’ex scuola dell’infanzia, e sas Zanas, domu de Janas scavata nella roccia basaltica in località su Forraghe.

Il fascino misterioso del Carnevale in Sardegna

Una volta spenti gli spettacolari falò in onore di Sant’Antonio abate e di San Sebastiano, l’atmosfera di festa e stordente euforia prosegue a febbraio (sino a inizio marzo) col Carnevale, anzi coi carnevali di Sardegna. Su Carrasegare ha tanti volti: ogni comunità lo celebra secondo propri codici, vocazioni e particolarità. I fuochi di Sant’Antonio ne segnano l’inizio con la prima uscita delle maschere tradizionali, la fine arriva col mercoledì delle Ceneri, la cui celebrazione più affascinante è a Ovodda. I primi eventi del 2025 animano un popolo che rivive ogni inverno rituali tramandati da secoli. Sacro e profano, passione e identità, ritmi cadenzati e slanci inebrianti, come a Gavoi, con il suono festaiolo dei tumbarinos (suonatori di tamburi). In tutti i paesi, da nord a sud dell’Isola, durante la festa, si assaporano le prelibatezze tipiche carnevalesche: fave e lardo, pistiddu e coccone, zeppole e buon vino.

Perdas fittas tra terra e cielo

Luoghi avvolti da leggende e suggestioni, un mondo ancestrale che parla attraverso enormi pietre. È l’atmosfera che respirerai a Pranu Mutteddu di Goni e Bir’e Concas di Sorgono, nel cuore verde dell’Isola, dove si concentrano centinaia di menhir: solitari, a coppie, a circolo o in lunghi filari simboleggianti percorsi cultuali, forse orientati in base a fenomeni celesti. Magia, sacralità e potenza magnetica, come nella famosa Stonehenge, ma qui i menhir sono più antichi e numerosi.

Infisse ‘a coltello’ nel suolo, le perdas fittas (pietre conficcate, in sardo) s’innalzano verso il cielo circondate da un paesaggio fiabesco: boschi di querce secolari, prati di ciclamini e orchidee selvatiche, cespugli di lavanda e mirto che profumano l’aria. Anche il cielo fa la sua parte, il sole filtra tra la natura vigorosa e fa brillare di una luce soffusa le enormi pietre dalla forma allungata e affusolata. Sono rifugi dell’anima, luoghi sensoriali che accendono la fantasia: è tutto reale o è una fiaba raccontata dalla natura?

Scenografie sotto cieli di stelle

‘Le isole del cinema’ è un circuito di quattro festival dedicati alla settima arte, che vanno in scena nelle isole minori della Sardegna. La sede storica è l’isola Tavolara, dove a metà luglio si celebra la 34esima edizione di Una notte in Italia, incentrato su regia e creatività. Dal 1991 a oggi il meglio del cinema italiano ha camminato sull’unico red carpet bagnato direttamente dal mare, nell’incantevole scenario dell’area protetta di Capo Coda Cavallo. L’incontro tra pubblico, artisti e addetti ai lavori avviene già a bordo delle barche che raggiungono l’isola partendo da Porto San Paolo. Apertura martedì 16 luglio, alla Peschiera di San Teodoro. Due giorni dopo il festival si sposta nella piazzetta a mare di Porto San Paolo, mentre da venerdì 19 fino alla serata conclusiva di domenica gli spettacoli vanno in scena nell’immensa sala sotto le stelle di Tavolara, la montagna di granito che spunta dal mare.