Stagno di Cabras
In questo eccezionale ambiente palustre all’interno della splendida penisola del Sinis proverai la singolare sensazione di continuità fra terra e mare. Lo stagno di Cabras, uno dei più grandi d’Europa, è l'insieme alle aree umide di Mistras, Pauli ‘e Sali e Sal’e Porcus (che rientra nel territorio di Putzu Idu), che insieme compongono un sito di interesse internazionale, secondo la convenzione di Ramsar. Suddiviso in due bacini per un totale di 2200 ettari, lo stagno lambisce Cabras e occupa un quinto del suo territorio, con una particolarissima forma di ‘papera’, se osservato dall’alto, che la natura (forse non a caso) gli ha impresso. Le lagune sono il tratto dominante, il fattore che identifica questo lembo dell’Oristanese e ha segnato vita ed economia delle sue genti. Un patrimonio oggi accuratamente tutelato: i 40 chilometri di costa dove si affaccia Cabras rientrano nell’area marina protetta del Sinis, dove splendide spiagge di quarzo si alternano ad alte falesie.
La pesca tradizionale è sostentamento e risorsa culturale. Si pratica su is fassonis, barche di erba palustre intrecciata - usata anche per i cesti artigianali - testimoni di un’attività plurisecolare in acque ricche di anguille, cefali, mormore, orate e spigole. La storica peschiera di Mar’e Pontis, col suo ittiturismo, è simbolo di un’area ideale per pescaturismo ed escursioni a vela, contornata da campagne e colline da perlustrare in mountain bike. È luogo ideale per appassionati di birdwatching: qui nidificano germano reale, fistione turco e fenicottero rosa. Tra i canneti si muovono cavaliere d’Italia, falco di palude, gallinella d’acqua e pollo sultano. Nelle rocce costiere volano falco pellegrino, gabbiano reale e corso.
L’uomo ha abitato da sempre questa ricca terra. Non perderti il sito di Tharros e, nel museo di Cabras, i Giganti di Mont’e Prama, enormi statue di pietra risalenti all’VIII secolo a.C., la scoperta archeologica più straordinaria del XX secolo nel Mediterraneo. Perla delle tradizioni locali è l’ipogeo di san Salvatore, meta da cinque secoli della Corsa degli Scalzi, una delle feste sarde più suggestive. La cucina rimanda alle tradizioni: dalle uova dei cefali si ricava la bottarga, l’oro di Cabras. La produzione vitivinicola risale sino a età nuragica, il massimo esponente è la vernaccia.
Omodeo
Il più importante invaso dell’Isola, per lungo tempo in passato il più grande d’Europa, è attualmente un’attrazione turistica ricca di storia e fascino. Il lago Omodeo si estende per quasi 30 chilometri quadrati, appartenenti a undici Comuni della provincia di Oristano, nel territorio storico del Barigadu. È formato dallo sbarramento del Tirso: dal 1924 sino a fine XX secolo il fiume fu chiuso tramite la ‘storica’ diga di santa Chiara. Uno sbarramento progettato da Angelo Omodeo per regolare il corso del fiume, produrre energia e irrigare, realizzato in cinque anni da 16 mila operai e inaugurato da Vittorio Emanuele III. Nel 1941, in piena guerra mondiale, la diga fu attaccata con siluri da aerei britannici. Fu sostituita da una nuova, alta cento metri e lunga 582, intitolata a Eleonora d’Arborea, costruita in 15 anni e inaugurata nel 1997. La nuova costruzione sommerse in parte il precedente sbarramento.
La vallata ricoperta d’acqua custodisce un tesoro archeologico: insediamenti nuragici e quello pre-nuragico di Serra Linta stanno sott’acqua insieme a una foresta tropicale fossile, antica circa 20 milioni di anni, e al suggestivo paesino di Zuri. Il villaggio, sacrificato con la costruzione della diga, è stato ricostruito a monte, insieme alla chiesa romanica dedicata a san Pietro apostolo (del 1291), smontata e riedificata concio per concio (1923). Prima che venisse realizzata la nuova diga, nei periodi di secca riaffioravano le testimonianze delle popolazioni che abitarono il medio Tirso. Capita anche oggi: di recente è completamente riemersa la villa del capocentrale, diventata meta turistica. Casa e nuraghi affiorano con un colore uniforme al terreno per il limo che vi si deposita, dando la sensazione di un mondo cristallizzato e incantato.
L’Omodeo fa parte dei siti comunitari di interesse paesaggistico e ambientale. Alla storia di un luogo magico, infatti, si accompagna la bellezza naturalistica. Il lago è circondato da altopiani basaltici, aspre montagne e vegetazione avvolgente: lecci e macchia mediterranea, e anche roverelle, salici, pioppi e olmi. Esplorando le acque in canoa o kayak e le rive in trekking o rilassanti passeggiate, osserverai il volo di falco pellegrino e ghiandaia, varie specie di anatre e aironi, tartarughe e testuggini.
S'Ena Arrubia
È una porzione dell’enorme territorio paludoso a sud di Oristano bonificato tra 1934 e 1937. S’Ena Arrubia, incastonato fra pineta costiera e lunghissima e sabbiosa spiaggia della Marina di Arborea, è ‘il relitto’ del grande stagno salato di Sassu, in origine suddiviso in 200 piccole e grandi aree palustri ed esteso più di tremila ettari. Oggi lo stagno arborense comprende un decimo di quell’enorme estensione ed è divenuto un bacino indipendente, salvatosi dal prosciugamento e alimentato da canali artificiali di acqua dolce. Lo scarico a mare avviene tramite saracinesche poste vicino al borgo di pescatori di Marceddì, dominato dalla cinquecentesca Torrevecchia. Qui una cooperativa regolamenta l’attività nelle acque dello stagno e ogni anno cattura molti quintali di anguille, carpe, muggini e spigole, che arrivano sui tavoli dei ristoranti locali e di tutta l’Isola.
L’abbondanza ittica, unita alla bassa profondità (da mezzo metro a uno e mezzo), sono un’attrazione per numerose specie di uccelli palustri. Alcuni, molto rari, nidificano sulle sue sponde: airone rosso, fistione turco e martin pescatore. Trovano il loro habitat ideale, tra flora paludosa (spartina, giunco, salicornia) e acque azzurre dello stagno, anche folaghe, gabbiani e polli sultani. E, nel paradiso del birdwatching, non mancano i colori affascinanti e i movimenti leggiadri dei fenicotteri rosa che ci fanno tappa durante le migrazioni tra Africa ed Europa. Tutte le assidue presenze di volatili hanno fatto sì che s’Ena Arrubia diventasse oasi di protezione faunistica riconosciuta dalla Convenzione di Ramsar (1977) e sito di interesse comunitario. In prossimità della zona paludosa, tra pineta e spiaggia, c’è la possibilità di fare camping a contatto con la natura.
Il centro abitato di Arborea dista circa sei chilometri dalla laguna. Sorto negli anni Trenta del XX secolo in seguito alla bonifica del Sassu, ha una tipica struttura perfettamente regolare: viali alberati rettilinei e paralleli e case a due piani in stile liberty e neogotico, circondate dal verde. È uno dei maggiori centri di attività e produzione agropastorale e ortofrutticola della Sardegna.
Gonnosfanadiga
Si adagia ai piedi del granitico monte Linas, in un parco naturale multiforme e incontaminato, che comprende anche il massiccio calcareo del Marganai, l’altopiano di Oridda e la rigogliosa foresta di Montimannu. Gonnosfanadiga, paese di quasi settemila abitanti, sorge in una delle terre emerse più antiche d’Europa (300 milioni di anni fa): cime selvagge, profonde gole e pareti scoscese. Tra i picchi di granito rosa e grigio del Linas, solcati da torrenti e cascate, verdeggiano boschi di lecci, sugherete, tassi e macchia mediterranea, habitat di specie rare, come cervo sardo e aquila reale. Una rete di sentieri vi si addentra: farai escursioni a piedi, in mountain bike e a cavallo. Il paesaggio montuoso si associa a ricchi giacimenti, sfruttati dall’Antichità fino agli anni Sessanta del XX secolo. Restano affascinanti architetture industriali, varie miniere dismesse, tra cui in particolare quella di molibdenite di Perd’e Pibera, oggi bellissimo parco.
Gonnosfanadiga è la città dell’olio d’oliva. Le altre produzioni d’eccellenza sono olive da mensa e pane tipico, carni e insaccati, miele e dolci, ortaggi e frutta. Degusterai i piatti della cucina campidanese durante la sagra del pane a ottobre e delle olive a novembre. Famosi anche i manufatti di legno, sughero, ceramica, tessuti, ma soprattutto la bravura dei maestri coltellinai di Gonnos. Tra gli edifici di culto spicca la parrocchiale di santa Barbara, edificata in età giudicale in luogo della più antica chiesa di sant’Antonio abate, di cui si conserva la campana (1388) e una cappella laterale con volta a crociera. Di grande importanza storica è la chiesa di santa Severa, il cui impianto corrisponde con l’arrivo dei sacerdoti evangelizzatori greci nell’Isola (VI secolo) o forse addirittura al periodo paleocristiano (IV-V secolo). Si erge su una collina a poche centinaia di metri dal centro abitato sull’area di una necropoli romana. Ha pianta a croce latina con ambienti voltati a botte. Prima di quelle bizantine, non mancano testimonianze romane: monete, armi, resti di fortificazioni e accampamenti, tombe e quattro cimiteri. Mentre le prime tracce umane nel territorio risalgono a circa 7000 anni fa: una decina di insediamenti del Neolitico antico. In località Pal’e Pardu restano ruderi di un protonuraghe. Di età nuragica la testimonianza principale è la tomba di Giganti di san Cosimo, tra le maggiori costruzioni megalitiche in Sardegna, con esedra semicircolare di 26 metri, dove si apre l’ingresso alla camera tombale, lunga venti metri.
Asuni
Si adagia alle pendici del colle di san Giovanni, tra le gole del fiume Imbessu e del riu Maiori, a cavallo fra alta Marmilla e Sarcidano. Il territorio di Asuni, piccolo centro di meno di 400 abitanti che fa parte della Brabaxanna (‘porta della Barbagia’), è caratterizzato dai luoghi incantevoli della valle del Misturadroxiu-Maiori, risalenti al Paleozoico. Sembrano quadri dipinti: osserverai boschi rigogliosi di sughere e lecci, pareti scoscese, valli ombrose che costeggiano i corsi d’acqua e grotte disseminate ovunque, in particolare su Stampu de Muscione Mannu, nella località di Costa Ualla. Spuntano anche cave e miniere (Piscina Porcus e Molinu de jossu) da cui si estraeva un tempo un rinomato marmo.
Il nome del paese può derivare dal latino agaso, ‘stalliere’, o dal logudorese asone (asuni in campidanese), che vuol dire custode del branco, a conferma dell’origine agropastorale. Il centro storico è caratterizzato da stradine strette, dove si aprono le tipiche lollas (cortili) accessibili da antichi portali ad arco. Pur facendo parte del Comune di Samugheo, sono strettamente legate ad Asuni le rovine del castello di Medusa, all’interno del quale, secondo la leggenda si aggirerebbe il fantasma della regina omonima. La fortezza, la cui prima testimonianza è del 1189, sorge a picco sulla gola formata dal riu Aratisi, interamente scavato nel marmo. Fu costruita in epoca bizantina con funzione di controllo e protezione dai barbaricini, che penetravano in Marmilla per saccheggiare. Oggi è completamente immerso nella fitta vegetazione.
Le prime testimonianze umane nei campi di Asuni risalgono al Neolitico: troverai menhir e domus de Janas a Carupixidu, sa Rutta, Ebras noas, s’Utture is Xorrus e soprattutto, nella periferia del paese, la necropoli di Budragas. All’età del Bronzo risalgono tre nuraghi: Casteddu, Oru e San Giovanni.
Mal di Ventre
In origine era Malu Entu, oggi è Mal di Ventre. Forse un’errata traduzione o interpretazione. Il nome le fu attribuito per i persistenti venti, maestrale su tutti, che rendono spesso pericolosa la navigazione dalle sue parti. Eppure, resti di un nuraghe, altri ruderi e pozze per la raccolta di acque dimostrano che l’isola fu abitata. Raggiungibile dai porti del golfo di Oristano, dista cinque miglia da Capo Mannu e fa parte dell’area marina della penisola del Sinis, nel territorio di Cabras, in cui rientra anche il vicino scoglio Catalano.
Mal di Ventre è una distesa granitica pianeggiante, lunga due chilometri e mezzo e larga massimo uno. Nel punto più alto, appena 20 metri, sorge il faro che la domina. Il ‘tavolato’ di 85 ettari, coperto da steppa arida con sprazzi di macchia mediterranea, è popolato da conigli e tartarughe terrestri. Si narra della presenza di foche monache. L’isola è un passaggio strategico dove vari uccelli nidificano: il falco della regina, marangone dal ciuffo, berte e gabbiani.
La costa occidentale è un’aspra scogliera: spiccano Cala Maestra e Cala Ponente. Il versante orientale è guarnito di incantevoli cale con spiaggette di sabbia o di chicchi di quarzo, come Cala Valdaro, molto simile a Mari Ermi, che sta di fronte, una delle tre splendide ‘perle’ gemelle del Sinis, insieme a Is Arutas e Maimoni. Da non perdere sull’isola, anche Punta Libeccio e cala dei Pastori. I fondali sono ideali per le immersioni, habitat di crostacei (astici e aragoste), molluschi e un’infinità di pesci: barracuda, cernie, corvine, orate, saraghi. Spesso appaiono i delfini. Non a caso, il sito è di interesse comunitario e zona a tutela speciale.
L’imprevedibilità del mare ha prodotto nelle profondità vicine un cimitero di relitti: navi romane, spagnole, del XX secolo e tante barche. Nei Denti di Libeccio, a occidente, a 27 metri di profondità, una scoperta strabiliante: un relitto romano di 36 metri affondato tra 80 e 50 a.C. con duemila lingotti di piombo. A Cala dei Pastori c’è il relitto di un vaporetto, mentre a nord, nelle Formiche di Maestrale, ecco il Joyce, mercantile cagliaritano affondato nel 1973.
Riola Sardo
A pochi chilometri da scenografiche falesie e splendide spiagge della penisola del Sinis, si adagia sulle rive del rio Foghe, in una fertile piana contornata da lagune e abitata sin dalla preistoria, come testimoniano una decina di nuraghi (alcuni frequentati anche in epoca punica). Riola Sardo è un centro agricolo di poco più di duemila abitanti del Campidano di Oristano, famoso un tempo per coltivazioni cerealicole, oggi per produzioni di frutta, ortaggi e vini di pregio, in particolare la vernaccia. Mare, fiume e stagni di is Benas, Sale Porcus e Cabras da sempre alimentano anche la tradizione di pesca. Case campidanesi ‘a corte’, in mattoni di terra (ladiri), con portali in pietra e architravi in legno, caratterizzano il centro storico: spicca la seicentesca casa Carta, affascinante dimora aristocratica. Alle sue spalle sorge la parrocchiale di san Martino, ricostruita nel XVI secolo su un precedente impianto romanico. Noterai la sua facciata barocca al culmine di una scalinata, a fianco una torre campanaria ottagonale, coronata da una cupola rivestita da piastrelle multicolori. All’interno ammirerai un crocefisso cinquecentesco, due acquasantiere del XVII secolo e un coro ligneo decorato. Il patrono del paese è festeggiato l’11 novembre con tradizioni religiose e civili: nel corso della giornata potrai assaggiare i vini novelli nelle cantine. Le celebrazioni più sentite sono a fine luglio in onore di sant’Anna e san Gioacchino: la processione è accompagnata da corteo in abiti tradizionali e suono delle launeddas. In periferia vedrai i ruderi - fondo e una parete con due nicchie - della chiesa di Santa Corona, risalente forse al XII secolo. Da un’analisi di testi medioevali risulta come fosse stata costruita e appartenesse ai Templari. L’attribuzione è comprovata da numerosi simboli decorativi a loro riferibili, un tempo arredi della chiesa, poi riusati per decorare le facciate delle case. L’edificio fu ristrutturato nel XVII e misteriosamente abbandonato negli anni Trenta del XX secolo.
Nelle cave d’arenaria dismesse di su Cuccuru Mannu, vicine al paese, è nato il suggestivo parco dei Suoni, che a luglio e agosto, ospita i concerti jazz, pop e rock del circuito Grandi Eventi. È costituito da un insieme di percorsi sonorizzati, quasi tutti open air, tra cave e aree contigue, percorsi e ambienti che sembrano ‘sculture sonore’, ciascun legato a un ambito musicale. Altri eventi da non perdere sono il motoraduno internazionale della vernaccia a metà settembre, con assaggi di vini, e in tema di degustazioni, a novembre, Sapori Antichi con degustazioni di cucina tradizionale, in tema di motori, a febbraio nel crossodromo comunale, i campionati internazionali di motocross.
Maimoni
Una distesa di due chilometri di sabbia chiarissima, impreziosita da chicchi di quarzo con varie sfumature di bianco e rosa, tipici del litorale di Cabras, da cui dista 13 chilometri. La stupenda e preziosa spiaggia di Maimoni, con caratteristiche del tutto simili alle vicine e altrettanto belle Is Arutas e Mari Ermi, sorge all’interno dell’area marina della penisola del Sinis e deriva il suo nome dal dio sardo e fenicio dell’acqua e della pioggia. Al culto della divinità si ricollega, in una sorta di continuità religiosa, la chiesa di san Salvatore, costruita nel XVII secolo sui resti di un ipogeo precristiano, a pochi passi dalla spiaggia.
Il litorale è ampio e lungo, con alcuni tratti di scogli sulla riva. L’acqua è cristallina e trasparente, le tonalità del mare azzurre e turchesi, il fondale sabbioso e digradante, ideale per far nuotare i più piccoli, seppure con precauzione perché il maestrale spesso genera onde alte. Non a caso, Maimoni è una grande attrattiva per gli appassionati di kite surf, wind surf e surf da tavola.
La spiaggia, dotata di ampio parcheggio, bar e ristoranti, è orlata da dune ricoperte di macchia mediterranea e da stagni che fanno parte dell’area protetta. A sei chilometri, lungo la strada per la spiaggia, si trova il suggestivo villaggio di san Salvatore: è meta, a inizio settembre, dei fedeli di Cabras nella Corsa degli Scalzi, appassionata processione, nonché uno degli eventi identitari più suggestivi della Sardegna. Il villaggio è noto come location da Cinecittà: tra gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo fu scenario di famosi ‘spaghetti western’. Insieme alle tre spiagge di quarzo (Is Arutas, Maimoni e Mari Ermi), nel litorale di Cabras, da non perdere è anche la sabbia di sabbia finissima di San Giovanni di Sinis.
Norbello
Si adagia sull’altopiano di Abbasanta, con vista panoramica su lago Omodeo e vallata di Chenale, colorata da boschi di roveri, querce, macchia mediterranea e orchidee, attraversata da sentieri e irrorata da sorgenti ‘curative’. Norbello è un centro di mille e 200 abitanti del Guilcer, territorio storico erede di una delle curatorie del giudicato d’Arborea, oggi confine fra province di Oristano e Nuoro. Un paese in continua espansione e di impronta agropastorale: vi si allevano anche cavalli anglo-arabo-sardi. Natura, vivacità culturale, tradizione tessile ed enogastronomica sono le caratteristiche d'eccellenza del bellissimo borgo. L’architettura urbana è composta da vie e piazze arricchite da monumenti e pavimentate col basalto. Anche le facciate di case e botteghe sono in pietra scura con balconi ornati da gerani.
In mezzo al paese spicca la chiesa di santa Maria della Mercede, costruita in stile romanico a fine XII secolo su una necropoli altomedioevale (VI-VII). All’interno compaiono dieci croci in minio rosso e scritte graffite nell’intonaco: ipotesi suggestive le accostano a croci di consacrazione di simbologia templare. Le scritte potrebbero essere riferimento a due cavalieri dell’ordine di Gerusalemme, Barisone e Dorgotorio, forse committenti dell'opera. Probabilmente coevo alla ‘Mercede’, le cui celebrazioni sono il 24 settembre, è l’impianto romanico della parrocchiale dei santi Quirico e Giulitta. Successivi lavori ne hanno modificato l’assetto originario. La festa dei due patroni è a metà luglio. Interessante la chiesa di san Giovanni battista: una pergamena ne attesta l’esistenza nel 1265.
Il borgo, detto Norgillo, poi Nurghillu, infine Norghiddo (da cui l’italiano Norbello) è da sempre legato alla frazione Domusnovas Canales, che si articola attorno alla chiesa di san Giorgio. Tanti i villaggi medioevali attestati nel territorio, tra cui uno dei più importanti era forse Sella, sviluppatosi attorno alla chiesa di santa Vittoria. Vicino ci sono le possibili fondamenta e i ruderi di ambienti erroneamente indicati come castel di Sella: presumibilmente era un torrione d’avvistamento del giudicato d’Arborea.
Nel vicino santuario di san Giuliano si trova un antico pozzo legato ai ‘miracoli’ del santo. A otto chilometri dal borgo ecco la chiesa di sant’Ignazio da Laconi, prima consacrata al frate cappuccino (1951). Attorno una borgata di muristenes, alloggi dei pellegrini per la festa di metà settembre. Il calendario di eventi, in cui degusterai prelibati formaggi, salumi e dolci, si apre a gennaio con i fuochi di sant’Antonio abate e si chiude a settembre con la sagra della vendemmia antica.
Ricco il patrimonio archeologico, in parte custodito nell’antiquarium del paese. Al Neolitico risalgono dolmen, due villaggi e quattro necropoli a domus de Janas, fra cui Sunu Marras, all’età del Bronzo trenta nuraghi: ben conservati sono i complessi Sirboniga e Suei e i monotorre Ruiu e Perdu Cossu. Particolare è sa Codina ‘e s’Ispreddosu, nuraghe mai concluso, luogo di culto nell’età del Ferro. Insieme ai nuraghi undici tombe di Giganti e sei fonti sacre, tra cui Ampridorzos. Una rarità sono 17 siti che hanno restituito urne cinerarie punico-romane. Da non perdere in paese è il museo dell’immagine e del design interattivo (Midi), che racconta nascita e storia del fumetto con l’esposizione di quasi 5000 fumetti.
Simala
Adagiato in un dolce paesaggio nel nord del Campidano, è il paese dei portali: in centro ne ammirerai varie decine di alto valore architettonico. Simala è un piccolo centro di 350 abitanti dell’alta Marmilla, sorto in una fertile valle dove si coltivano cereali, legumi, frutta vigne e ulivi, attraversata dal rio Mannu. Era chiamato il ‘fiume sacro’: scorre, tra pioppi, salici e canneti, in un’area sacra prenuragica con al centro un menhir, legata al culto delle acque. È la principale testimonianza neolitica di un territorio alle porte del parco del monte Arci e ai suoi giacimenti di ossidiana, ‘oro nero’ preistorico del Mediterraneo. Numerosi i resti dell’età del Bronzo: la tomba di Giganti di Piscina Craba e una decina di nuraghi. Dopo la conquista romana il territorio fu densamente abitato, come dimostrano vari insediamenti, e sfruttato per estrazione e lavorazione di piombo e argento: da qui passava la strada da Neapolis a Uselis, di cui vedrai le tracce. La maggiore eredità romana è la villa rustica di Gemussi, dotata di impianto termale con mosaici e decorazioni. Significativo è il cimitero paleocristiano di santu Sadurru.
Il nome del paese deriverebbe dal popolo dei Semilitenses, che qui risiedeva prima dell’arrivo dei romani, oppure sarebbe da collegare al greco thymalla, ‘euforbia’, abbondante da queste parti. Il nucleo originario è altomedioevale: le prime notizie del paese risalgono a fine XI secolo sotto il giudicato d’Arborea, quando ai monaci vittorini fu donata la chiesa di santa Caterina d’Alessandria, uno dei santuari bizantini distrutti - come i villaggi di Pardu e Gemussi - ma rimasti nella toponomastica. L’attuale abitato è articolato in due assi principali che si incrociano dove sorge la parrocchiale di san Nicola, singolare esempio di architettura sacra settecentesca, caratterizzata da un’originalissima cupola. Custodisce pregiati altari marmorei e lignei di scuola piemontese e ligure, e arredi, tra cui argenti (XV-XIX secolo), paramenti sacri settecenteschi e tappeti fatti a mano. Il santo è celebrato a inizio dicembre: attorno a un falò si offrono castagne e vino novello. A inizio ottobre, nella chiesa campestre a lei intitolata, si festeggia santa Vitalia con processione in abiti tradizionali. Al centro si trovano anche il monte granatico e palazzotti signorili di ispirazione neoclassica: il più antico è la dimora della famiglia Monserrat Deana (1554). Sulle tortuose strade laterali si affacciano case ‘rurali’ a corte, con loggiati attorno a cortili acciottolati. Le facciate sono ornate da monumentali portali, alcune ne hanno due, d’ingresso alla casa e ai loggiati. In tutto ne vedrai circa 60, con pietra a vista, archi, architravi in legno, fregi e terrazzati. L’elemento distintivo rispetto ad altri centri vicini è la frequente presenza della ‘piccionaia’, soprastante o affiancata al portale.