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Monte Linas

Un paesaggio alpino con cime selvagge, profonde gole e pareti scoscese. Il Monte Linas è costituito da graniti risalenti a circa 300 milioni di anni fa, una delle più antiche terre emerse d’Europa. Si erge ai margini orientali di Iglesiente e valle del Cixerri e confina coi monti Arcuentu, a nord, e Marganai, a sud, al quale è collegato dall’altopiano di Oridda. Occupa quasi mille chilometri quadrati all’interno del territori di ben nove comuni del Medio Campidano.

Tra i picchi di granito rosa e grigio, verdeggiano quasi ottomila ettari di boschi, in gran parte lecceti. Profumano l’aria cespugli di timo ed elicriso, che spuntano tra arbusti mediterranei, come corbezzolo, erica e fillirea. A quote più basse appaiono lentischi, ginestre, olivastri e, in prossimità di corsi d’acqua, oleandri e salici. La rigogliosa vegetazione ospita esemplari di cervo sardo, oltre a cinghiali, donnole, martore e volpi. Alzando gli occhi, potrai sorprendere il volo di aquila reale, falco pellegrino e sparviero, che nidificano nelle guglie più alte, e i bellissimi colori di poiana, ghiandaia e upupa.

Una rete di sentieri si addentra nei boschi: potrai fare escursioni a piedi, in mountain bike e a cavallo. Il complesso è solcato da gole e canaloni percorsi da torrenti, che, scendendo a valle, originano spettacolari cascate: rimarrai affascinato da sa Spendula, da Piscina Irgas e da Muru Mannu, che precipita da oltre 70 metri, la cascata più alta in Sardegna. Il paesaggio montuoso si trova in una zona metallifera, ampiamente sfruttata. Attorno sono disseminati resti di impianti minerari: Montevecchio, Ingurtosu e Perd’e Pibera, dove sorge un parco. Da qui, seguendo i sentieri segnati, arriverai sino alla punta più alta: Perda de sa Mesa (1236 metri). Sulla vetta godrai di panorami mozzafiato. Un parco intitolato allo scrittore Giuseppe Dessì occupa la parte più occidentale del Linas, mentre nelle aree calcaree, verso il Marganai, scorrono fiumi sotterranei che nel tempo hanno creato lunghe cavità nel sottosuolo, tra cui l’imperdibile e bellissima grotta di San Giovanni.

Parco del Monte Arci

Il più grande giacimento di ossidiana in Sardegna, nascosto nelle viscere di un monte vulcanico. L’abito verde del massiccio del monte Arci si erge in mezzo alla piana di Uras, al limite nord-orientale del Campidano, coperto da colate di lava basaltica, che svelano la sua origine e una storia millenaria. I condotti vulcanici culminano nelle sue punte: 812 metri di Trebina Longa, 795 di Trebina Lada e 463 di Corongiu de Sizoa. Tre vette che evocano l’immagine di un treppiede.

La superficie del parco regionale dell’Arci (270 chilometri quadri) è compresa nel territorio di undici Comuni dell’Oristanese - Ales, Marrubiu, Masullas, Morgongiori, Palmas Arborea, Pau, Santa Giusta, Siris, Usellus, Villaurbana e Villaverde.

L’ossidiana, rara nel Mediterraneo e ideale per costruire armi e utensili preistorici, è stata a partire dal VI millennio a.C. un’attrazione per antiche popolazioni che giungevano in Sardegna ad approvvigionarsi del prezioso minerale. I giacimenti di Perdas Urias, s’Ennixeddu e su Forru de is Sintzurreddus (a Pau), Roja Cannas (a Masullas) e l’altopiano di santa Luxia (a Usellus), sono stati centri di raccolta e officine di lavorazione. Nel museo di Pau, potrai conoscere le vicende millenarie che l’ossidiana ha generato. Nel paese sono esposte sculture contemporanee ricavate da grandi blocchi scuri. Guide del museo accompagnano in escursioni nelle cave. Il generale La Marmora affermò di non aver visto altrove tale quantità di pietra nera e lucente. Nel parco da non perdere anche il nuraghe Brunk’e s’Omu (a Villaverde) e il santuario in grotta Domu de is Coambus (a Morgongiori).

La maggior parte dell’area del monte è ricoperta da lecci con sprazzi di sughere, roverelle e macchia mediterranea. Uno splendido esempio di lecceta è s’Acqua Frida ​nel territorio di Ales,​ ricca di sorgenti. I boschi sono popolati da cinghiali, donnole, martore, volpi e vi sono stati reintrodotti cervi e daini. Sono sorvolati da colombacci, fringuelli, ghiandaie e upupe. Mentre, tra i rapaci, fanno il loro nido astore, sparviero, falco grillaio e pellegrino.

Aidomaggiore

Un antico borgo agro-pastorale in cima all’altopiano di Abbasanta, immerso in verdeggianti boschi di sugherete, ulivi, vigneti e frutteti, con vista su uno dei maggiori invasi artificiali d’Europa, il lago Omodeo, oggi grande attrazione turistica. Aidomaggiore è la meta ideale per gli appassionati della natura e di archeologia. Potrai godere di bellissimi panorami durante emozionanti escursioni, esplorare in canoa le acque del lago e visitare vari siti nel suo territorio, tra cui domus de Janas, tombe dei Giganti e i nuraghi Sanilo, sa Jua e Tosingalo, il più imponente fra i tre. Immerso nella macchia mediterranea, è un edificio monotorre, che spicca perché costruito con pietre nere basaltiche. La cella interna è munita di un terrazzo, alto otto metri, cui arriverai da una rampa di scale.

A proposito di cultura, spettacolari sono due chiese campestri. Santa Greca, risalente al 1797 e distante cinque chilometri dal centro abitato, si trova su una splendida collinetta, a ridosso dell’Omodeo. Fu costruita nello stesso spazio in cui si ergeva una più antica chiesa (di santa Giusta) edificata, a sua volta, sui ruderi di un campo romano, in vita sino a tarda età imperiale. Il perimetro dell’area sacra è ricco di insediamenti, anche preistorici: non lontano dal novenario incontrerai altri nuraghi (Atos, Mura e Logu, Uras). L’attuale santa Maria delle Grazie (o de Orraccu), è del XVII secolo, ma l’origine è molto più antica. Qui l’8 settembre si festeggia con balli, musiche e spettacoli tradizionali dei gruppi folk di tutta la Sardegna. La celebrazione termina col ritorno in processione della statua di Maria Bambina nella chiesa di santa Maria delle Palme nel centro abitato. La splendida posizione della chiesa ti offrirà un’ampia visuale sull’Omodeo, fino ai monti di Barbagia e Mandrolisai. Non a caso divenne anche luogo strategico di difesa, detto sa Bastia. A proposito di feste e tradizioni, Aidomaggiore è famosa anche per le sue celebrazioni dei fuochi di sant’Antonio, per quelle del Carnevale e, soprattutto, per i riti della Settimana santa.

Sa Jara Manna - Giara di Gesturi

Un’isola nell’Isola, un luogo magico con caratteristiche uniche. La Giara è un altopiano basaltico ai confini della Marmilla col Sarcidano: s’innalza bruscamente sino a 550 metri dominando il pianeggiante paesaggio circostante, ondulato soltanto da ‘morbide’ e fertili colline. Sulla sommità, lunga dodici chilometri e leggermente declive, si conserva un ecosistema con animali e piante rare. Per differenziarla dalle vicine giare ‘minori’ di Serri e Siddi, è detta Jara manna (grande), oppure giara di Gesturi, Comune entro cui ricade circa metà dell’estensione (45 chilometri quadri). L’altra metà è suddivisa tra Genoni (1600 ettari), Tuili (450) e Setzu (250). La sua area interessa anche Albagiara, Assolo, Genuri, Gonnosnò, Nuragus, Senis e Sini. Ognuno custodisce siti naturalistici, archeologici, artistici e musei etnografici, raggiunti da una rete di itinerari percorribili a piedi, in bici o a cavallo.

‘Giara’ è forse evoluzione di glarea, ‘ghiaia’, che indica la pietrosità del suolo. La genesi deriva da colate laviche eruttate 2,7 milioni di anni fa sopra un basamento arenarico da due crateri oggi spenti: Zepparedda, vetta dell’altopiano (609 metri), e Zeppara Manna, il punto più panoramico. Non fu l’altopiano a sollevarsi bensì le terre circostanti, non protette dalla roccia effusiva, ad abbassarsi, erose da acqua e vento. Tra i due coni vulcanici sorge sa Roja, faglia che percorre l’altipiano con un gradino di 30 metri. I fianchi scoscesi sono stati ‘intaccati’ da frane generate da torrenti che nascono nelle sorgenti dell’altopiano e scendono lungo i bordi. Da qui l’origine de is scalas, vie d’accesso al tavolato, del quale scoprirai la storia geologica nel geopaleosito di Duidduru, e nel paleoarcheocentro di Genoni. All’isolamento si deve un patrimonio floro-faunistico altrove scomparso, grazie al quale, dal 1995, la Giara è sito di interesse comunitario. Rigogliosi boschi la ricoprono, specie secolari querce da sughero, spesso ‘costrette’ dal maestrale a crescere oblique. Poi lecci, roverelle, corbezzoli, lentischi e mirto. In primavera l’altopiano si riempie di colori e profumi: elicriso, asfodeli e cisti in fiore, distese di ciclamini e orchidee, il manto giallo della morisia, pianta endemica che dà nome al giardino botanico del parco. Gli ambienti più spettacolari sono is paulis, depressioni dove ristagna l’acqua piovana. Se ne contano decine, per lo più modesti e di breve durata. In alcuni casi, le dimensioni sono considerevoli e si conservano tutto l’anno, come nei due pauli maiori. In primavera gli stagni si ricoprono di un manto bianco di ranuncoli, in estate si prosciugano e appaiono come distese ‘lunari’. Le piogge autunnali li colorano del rosso cupo delle tamerici; spesso, un sottile strato di ghiaccio li riveste in inverno. Sono habitat di una ricca microfauna, tra cui due minuscoli crostacei, ‘fossili viventi’ immutati da milioni di anni. Sono dimora anche di falco di palude, cavaliere d’Italia e germano. L’altopiano è celebre per i cavallini, caso unico in Europa di colonia equina selvaggia. Is cuaddedus galoppano in piccoli gruppi tra i cespugli, si rifugiano all’ombra delle sugherete, si abbeverano nei pauli e sono ghiotti di ranuncoli. L’origine si perde tra mito e storia. Nel Medioevo intere mandrie popolavano l’Isola, gradualmente scomparvero. Oggi circa 700 esemplari pascolano allo stato brado sulla Giara: folta criniera, lunga coda e corporatura agile conferiscono loro grazia sorprendente a dispetto di stazza e natura selvaggia. A completare la fauna, cinghiali, donnole, lepri, martore, volpi e 60 specie di uccelli, compresi vari rapaci.

La Giara è un’inespugnabile fortezza naturale, con pareti a scarpata simili a bastioni. A lungo baluardo contro gli invasori, oggi custodisce tracce di un passato remotissimo. Un sistema di nuraghi presidiava is scalas: sulla sommità se ne contano 24, per lo più monotorre; il doppio, a due o più torri, si allineava ai piedi e sulle pendici. Nel ciglio sud-orientale spicca il Bruncu Madugui, il più imponente protonuraghe sardo con resti di capanne riunite in isolati. Alcuni complessi furono frequentati anche in epoca punico-romana: Pranu Omus a Genoni, Santa Luisa a Tuili e San Lussorio ad Albagiara; altri sorgono accanto a fonti: come il nuraghe Scab’i Ois, vicino alla sorgente del parco di Cracchera. La Giara è attraversata dal tratto di strada romana selciata più lungo dell’Isola: sette chilometri! Già nel Medioevo solo i pastori frequentavano l’altopiano: testimonianza ne sono le pinnettas, rifugi simili a capanne nuragiche.

Pan di Zucchero e Faraglioni di Masua

Contemplare al tramonto l’imponente roccia che si erge dal mare a pochi metri dalla costa, accresce la meraviglia: la luce solare si irradia dalla sagoma calcarea con tutte le tonalità del giallo e dell’arancio. Pan di Zucchero è uno dei monumenti naturali più imponenti e spettacolari dell’Isola, simbolo della costa di Iglesias. Il nome deriva dalla somiglianza con il celebre Pão de Açúcar della baia di Rio de Janeiro e ha sostituì già nel XVIII secolo l’originario nome sardo Concali su Terràinu. Lo raggiungerai in gommone o barca dalla magnifica insenatura di Masua, frazione costiera iglesiente distante due chilometri e mezzo.

Compiuta l’impresa non semplice di raggiungerne le pareti rocciose, gli appassionati di climbing, con attrezzatura e supporto di guide specializzate, possono scalare i suoi 133 metri: è il faraglione più alto del Mediterraneo. Dalla cima dominerai con lo sguardo i tre ‘fratelli minori’ accanto, due detti s’Agusteri e il Morto, il più meridionale. I quattro faraglioni di Masua sono strutturalmente omogenei e collegati, parte integrante del monumento: il loro colore bianco-ceruleo spicca sulla costa antistante dalla tinta violacea. Sono composti da calcare cambrico, chimicamente quasi puro, originati dall’erosione marina che ne ha generato il distacco dalla terraferma, precisamente dalla falesia di punta is Cicalas: il tratto di 300 metri di mare che li separa è spesso impervio.

Pan di Zucchero ha una forma massiccia e arrotondata. Fenomeni carsici hanno traforato la sua superficie (meno di quattro ettari) a gradini piatti, generando due grotte a forma di galleria. Si aprono al livello del mare, lunghe rispettivamente 20 e 25 metri, entrambe habitat di uccelli marini, una attraversabile con piccole barche. Di fronte all’isolotto si affaccia, magicamente sospeso a metà della parete rocciosa a strapiombo, lo sbocco a mare del tunnel minerario di Porto Flavia. È l’estremità più visibile di un avveniristico complesso di gallerie sotterranee che terminano in una costruzione scolpita nella scogliera a inizio XX secolo. Da qui i minerali erano caricati direttamente sulle imbarcazioni mercantili. Ai piedi della miniera ecco la grotta del Soffione, così chiamata per l’effetto delle onde che si insinuano nella sua cavità e ‘rimbalzano’ con grossi spruzzi. Mentre a fianco dei ruderi minerari c’è la spiaggetta di Porto Flavia: dal piccolo lido, meta di appassionati di immersioni, ti brillerà negli occhi il contrasto cromatico tra il bianco-grigiastro della roccia calcarea del gigante marino, azzurro e blu del mare e verde di una pineta attorno.

Tutta la costa di Iglesias ha un fascino selvaggio e una grande varietà di paesaggi. Da non perdere porto Paglia e Nebida, altra piccola frazione ‘mineraria’. Due chilometri a nord di is Cicalas s’insinua il Canal Grande di Nebida: è una valle lunga e stretta, percorsa da un torrente che si getta a mare in una splendida insenatura ‘a fiordo’, caratterizzata da una piccola spiaggia e da una serie di grotte: ai piedi della falesia la grotta di Canal Grande, tunnel di 150 metri scavato dal mare che attraversa il promontorio da parte a parte, a pelo d’acqua; sotto la parete a nord si apre la grotta delle spigole. Ancora più a nord spiccano le insenature di porto Sciusciau e la stupenda Cala Domestica, nel territorio di Buggerru. Potrai visitare Canal Grande anche via terra partendo da Masua: un trekking sulle tracce del lavoro minerario. Il litorale e, più in generale, la vita dell’Iglesiente sono stati profondamente segnati dall’attività mineraria. Sul finire del XIX secolo, la miniera di Masua era una grande realtà estrattiva, oggi il complesso comprendente abitazioni dislocate su vari dislivelli, scuola, ospedale, chiesa e laboratori, è un villaggio fantasma, tappa del cammino minerario di santa Barbara e parte del parco geominerario della Sardegna, patrimonio dell’Unesco.

Chiesa del Carmine

Al tempo stesso è piccola ed elegante, tanto da essersi guadagnata il soprannome di ‘bomboniera’, ma, soprattutto, è considerata il più compiuto esempio di architettura rococò in Sardegna. La chiesa del Carmine di Oristano sorge nel cuore del centro storico della città protagonista dell’età giudicale. Assieme all’adiacente ex monastero fa parte di un complesso che per quasi un secolo – dal 1782 al 1866 – fu gestito dall’ordine dei frati carmelitani, prima della confisca a opera del regno sabaudo. Il progetto della chiesa è attribuito all’architetto regio piemontese Giuseppe Viana, finanziato dal marchese d’Arcais.

La facciata, costruita in pietra arenaria del Sinis, è scandita da lesene sormontate da capitelli ionici. Sopra il portale noterai una lapide di marmo e lo stemma della nobile famiglia committente. Nella parte alta compare una grande finestra reniforme, sopra cui si dispongono, in successione verso l’alto, il timpano, un pilastro barocco e una croce. In posizione arretrata rispetto alla facciata osserverai la torre campanaria e la cupola, decorata con coppi di maiolica multicolori.

L’interno è avvolto da un intenso fascio di luce. La pianta è a navata unica, con quattro cappelle identiche disposte ai lati. Sono in marmo pulpito e altare maggiore, che ospita la statua della Madonna del Carmine ed è circondato da una galleria sopraelevata. In pieno stile rococò è la cupola ellittica, retta da un tiburio illuminato da ampi finestroni. La chiesa, attualmente affidata alle cure della confraternita della Madonna del Carmine, si anima il 16 luglio in occasione della solenne festa a lei dedicata, oltre ad aprire le porte in occasione di eventi e manifestazioni culturali.

L’adiacente ex monastero si articola attorno a un chiostro quadrangolare, circondato da un porticato con volte a vela. Dopo la soppressione del convento l’edificio fu adibito a caserma dei carabinieri e in seguito ospitò uffici amministrativi, mentre attualmente è usato come sede di studi universitari.

Ugualmente affascinante è la parte ‘invisibile’ del complesso: sotto il pozzo del monastero è stata scoperta una cisterna forse più antica dell’edificio soprastante, con pareti e pilastri in muratura. Varie leggende cittadine raccontano di passaggi sotterranei e gallerie segrete che si diramerebbero sotto il monastero e condurrebbero dove in epoca giudicale sorgevano i palazzi dei giudici d’Arborea. Il complesso rappresenta idealmente uno dei tre vertici di un triangolo, i cui altri vertici sono altre due imperdibili mete del centro storico: piazza Eleonora d’Arborea – dove sorgono palazzo degli Scolopi e chiesa di San Francesco - e cattedrale di Santa Maria Assunta. Più a nord invece, in piazza Roma, si erge la medievale torre di Mariano, attraversata ogni carnevale dai cavalieri della Sartiglia.

Antiquarium Arborense

Identifica la storia di città e territorio di Oristano, custodendo eredità preziose. Il museo Antiquarium arborense nacque nel 1938 come terzo polo museale della Sardegna, grazie l’acquisizione da parte della municipalità oristanese della collezione di Efisio Pischedda, avvocato che, abbinando attività forense e passione per l’archeologia, realizzò nel XIX secolo la più cospicua collezione privata dell’Isola, composta da reperti provenienti da Tharros e dalla penisola del Sinis.

Rinnovato nel 2016 e dotato di una parete e tavolo multitouch e modelli 3D interattivi, il museo conserva un patrimonio di circa diecimila beni culturali e archeologici, composto oltre che dalla collezione Pischedda, anche da quelle Carta, Sanna Delogu, Pau, Cominacini-Boy e D’Urso-Vitiello. La loro esposizione è ospitata nell’elegante e neoclassico palazzo Parpaglia, dal 1992 sede dell’Antiquarium, intitolato al suo primo curatore Giuseppe Pau. Ai reperti, che abbracciano un arco cronologico dalla preistoria al Medioevo, si affiancano due plastici ricostruttivi, la Tharros di tarda epoca romana (IV d.C.) e Oristano nell’età giudicale (XIV), quando la capitale del giudicato d’Arborea fu protagonista della storia isolana.

La città, attuale capoluogo della provincia omonima, si abbellì all'epoca di palazzi, chiese e fortificazioni: era circondata da una cinta muraria, di cui oggi restano cospicue tracce, in particolare la maestosa torre di Mariano (o di san Cristoforo). Per approfondire la conoscenza sui giudici d’Arborea, dopo la visita all’Antiquarium, potrai proseguire il tour culturale nel museo della Sardegna giudicale nel barocco palazzo Arcais.

Nel ‘Parpaglia’ ci sono sale archeologiche e ‘dei retabli’, mostre temporanee e il museo tattile, che espone la riproduzione di manufatti di varie fasi culturali, ‘leggibili’ dalle mani di bambini, ipo e non vedenti. La sala ‘sabbia del tempo’ presenta un quadro, rapido come una clessidra, che va dagli insediamenti nel Neolitico antico, richiamato dall’ossidiana del monte Arci, all’antropizzazione nel Neolitico medio e recente nel Sinis, nel Montiferru, nel Barigadu e nell’alto Campidano. Le civiltà prenuragiche e nuragica, autrice di monumentali architetture, statuette in bronzo e, a Mont’e Prama (nel Sinis), di colossali statue di guerrieri in calcare - custodite nei musei archeologici di Cagliari e Cabras - sono ampiamente documentate, cosi come i loro incroci con altre civiltà mediterranee. I ‘pezzi forti’ degli scambi commerciali tra popoli sono una coppa di origine attico-micenea che raffigura Ercole in lotta contro il toro di Creta, un bruciaprofumi cartaginese che raffigura, anch’esso, Ercole con la pelle di leone e la più ricca collezione di ceramica etrusca ritrovata fuori dall’Etruria. Le età fenicia e punica (VII-III secolo a.C.), quando sorsero Othoca (Santa Giusta), Tharros e Neapolis, sono rappresentate da splendidi corredi tombali. Di età romana e altomedioevale (II a.C.-VII d.C.), caratterizzata da sviluppo e splendore delle città già esistenti e dalla nascita di Forum Traiani, Cornus e Uselis, i reperti più preziosi sono alcuni vasi in vetro. La ‘sala della famiglia dell’antiquario’ è dedicata all’avvocato Pischedda e famiglia e agli archeologi suoi predecessori. La ‘sala dei retabli’ conserva tre splendide testimonianze pittoriche sardo-iberiche: il retablo del santo Cristo di Pietro Cavaro (1533), la Madonna dei consiglieri (1565) e il prezioso San Martino di scuola catalana (inizio XV secolo). Ammirerai anche ‘copie’ di opere d’arte della cattedrale di santa Maria Assunta e della chiesa di san Francesco.

Monte Arcuentu

Arkù indica la forma arcuata della vetta, che, vista da Piscinas e Scivu, pare un torrione dolomitico. L’imponente monte Arcuentu, ambita meta di trekking, fa parte di una catena montuosa che corre parallela per otto chilometri alle spiagge della selvaggia e stupenda Costa Verde. Rientra nel territorio di Arbus, da cui dista undici chilometri, e sta vicino alle miniere di Montevecchio, un tempo riferimento economico della zona, oggi museo di archeologia industriale all’aria aperta. Dalla cima dell’Arcuentu l’orizzonte si perde a vista d’occhio: ammirerai panorami sui vicini monti Arci e Linas, dal golfo di Oristano alla Costa Verde, dalla vallata del Campidano sino alle vette di Montiferru, Sette Fratelli e Gennargentu.

Le rocce - tufi e basalti di origine vulcanica - si alternano in guglie e torrioni nella scalata. Lungo le pendici scorrono torrenti che hanno scavato valli strette e profonde. L’agevole sentiero del Club alpino italiano (Cai), partendo dalle miniere, ti porterà in vetta, a 785 metri, in un paesaggio spettacolare. Nel percorso, sarai avvolto da boschi di lecci e macchia mediterranea, da ginestre e orchidee. Al luogo sono legate, nel XX secolo, preghiere e meditazioni di Fra’ Nazareno, la cui capanna è lungo l’itinerario, e del Fra’ Lorenzo, che vi passò un mese l’anno per trent’anni. È probabile che passeggiando vedrai, tra vegetazione e rocce, cervi, cinghiali, donnole, lepri, martore e volpi. In cima osserverai il volo di aquila reale, falco pellegrino, poiana e sparviero, in sottofondo percepirai il canto di fringuelli, pettirossi e picchi.

Nell’area del monte sono state trovate lucerne puniche e scoperti un ripostiglio con monete e, sulle pendici, una necropoli di epoca romana. In cima c’è un antico castello, poi divenuto monastero: ne vedrai i ruderi. La fortezza, attestata almeno dal 1164, era in posizione strategica tra i giudicati di Arborea e Cagliari. Poi divenne monastero vallombrosano, fiorente per tre secoli prima di declino e uso come arsenale. Alcune leggende ci parlano dell’Arcuentu: come quella di Luxia Arrabiosa, giovane di Guspini che un feudatario voleva sposare. Lucia rifiutò e lui la fece murare viva nel monte, insieme a un telaio d’oro. Oggi i pastori dicono di sentire il suo canto mentre tesse.

Scivu

Un paradiso simile a un’oasi desertica, meta immancabile della tua vacanza nell’Isola: una ‘striscia’ di tre chilometri di finissima e soffice sabbia dorata, detta ‘parlante’ per via dell’eco che emana camminandoci sopra, interrotta soltanto da una piccola scogliera. A ridosso, si distendono dune punteggiate di ginepri, lentischi, ginestre e gigli di mare. Ai fianchi e alle spalle è contornata da alte rocce rossastre coperte da una profumata coltre di macchia mediterranea, che scende dalle montagne al mare. Scivu è uno dei tratti più incantevoli della Costa Verde, nel territorio di Arbus, centro del Medio Campidano. Isolato, lontano da centri abitati, immerso nella natura incontaminata, non facile da raggiungere, perciò ancor più affascinante. Seppur molto frequentata in estate, mai troverai la spiaggia affollata: a tratti sentirai un assordante silenzio interrotto soltanto da versi di gabbiani e cupa risacca. L’effetto acustico si accentua in un antro lungo l’arenile, dove le onde si riverberano tra le rocce. Le acque sono di un’impressionante trasparenza, il colore, abbagliante illuminato dai riflessi del sole, oscilla tra verde smeraldo e azzurro intenso.

Il fondale è sabbioso vicino alla riva, variegato più a largo, con canaloni, banchi di sabbia e rocce sparse. E regala soddisfazioni ad appassionati di snorkeling e diving. Popolato da mormore, orate, spigole, ombrine e ricciole è uno degli hot spot più rinomati per gli amanti del surf-casting: il momento migliore per pescare è appena cessa il maestrale. Mentre quando il vento soffia costante, lo rende luogo ideale per surf da onda, wind e kite surf, meta di surfisti anche d’inverno. Da rispettare e affrontare con cautela, però, perché il mare della Costa Verde è spettacolare e selvaggio ma raramente calmo.

L’atmosfera a Scivu è suggestiva tutto l’anno, in ogni momento della giornata, ma il tramonto è quello più seducente, quando, per effetto del sole calante, sabbia e pareti rocciose circostanti si tingono di rosso. La spiaggia è dotata di ampio parcheggio, attrezzato per i camper, punto ristoro, noleggio attrezzatura balneare, pedalò, canoe e gommoni. Dall’area di sosta raggiungerai la spiaggia camminando su una passerella panoramica attraverso dune e vegetazione. Il litorale è parte di un’oasi WWF, che rientra a sua volta all’interno del parco geominerario della Sardegna e dei siti di interesse comunitario (600 ettari in tutto) di Capo Pecora e del sistema dunale Scivu-Piscinas, dove potresti osservare il cervo sardo che si aggira. L’oasi comprende una sughereta di 150 ettari sorvolata da falco pellegrino, gheppio e poiana. 

Scivu è delimitata a nord dalle dune di Piscinas, abbagliante deserto giallo-ocra mosso dal vento, di cui è naturale prosecuzione meridionale. Lo scenario è simile, seppure a Piscinas le dune si spingono sino all’entroterra. Le due spiagge condividono il primato di tratti più belli della Costa Verde. A sud il limite è Capo Pecora, le cui isolate scogliere sono paradiso dei pescatori sub. Da qui potrai raggiungere Scivu attraverso un suggestivo trekking, lungo (dodici chilometri) ma non impegnativo, che si snoda a picco sul mare in sentieri e mulattiere, attraversando la riserva naturale del promontorio disabitato. È un luogo unico per via della composizione granitica delle sue scogliere in una costa dominata dalla pietra calcarea. Il rosa del granito, modellato dal tempo in sculture naturali, si contrappone a turchese del mare e verde dei cespugli. Dal punto più alto del percorso, il tuo sguardo spazierà sullo spettacolo della costa sud-occidentale. Poi scenderai in pendii scoscesi sino alla sabbia parlante di Scivu. Le dune sono caratteristiche di tutta la Costa Verde : vedrai altri ambienti ‘sahariani’ a Torre dei Corsari, a nord di Piscinas, dove rimarrai abbagliato dalla mescolanza di tonalità; nelle Sabbie d’Oro di Pistis, la spiaggia più settentrionale, due chilometri di sabbia morbida contornati da ginepri e olivastri; a Marina di Arbus, la cui melodia di colori induce a parlare di ‘Caraibi in Sardegna’. Altre splendide spiagge arburesi sono Portu Maga e Funtanazza, un tempo luogo di vacanza dei figli dei minatori.

Sa Mesa Longa

Incastonata tra le falesie di Capo Mannu e il litorale di su Pallosu, deve il nome a una barriera naturale di arenaria che sta a poche decine di metri dalla riva e la isola completamente dalle onde di maestrale, creando un’autentica piscina naturale. Sa Mesa Longa, ‘la tavola lunga’, una delle perle dell’area marina della penisola del Sinis, si trova in località Putzu Idu, nel territorio di San Vero Milis, da cui dista venti chilometri: è una stupenda e lunghissima spiaggia, variegata e multicolore, tra il giallo ocra della sabbia fine e morbida, il rosso-rosato della battigia fatta di sassolini e conchiglie e il nero degli scogli che tagliano in due l’arenile che si immerge in un mare che, in base alla luce, regala tutte le sfumature di blu, con fondale sabbioso e poco profondo.

Al centro della baia, e dell’enorme piscina naturale, c’è un piccolo promontorio che divide l’arenile in due parti, di fronte il caratteristico isolotto di forma circolare, ricoperto di vegetazione, alle spalle dune, mentre sul lato meridionale, si ammirerai le scogliere di Capo Mannu. La particolarità è proprio il ‘muro’ naturale, a pochi metri dalla riva, che potrai raggiungere a nuoto o, quando c’è bassa marea, a piedi su scogli piatti percorribili: sali sulla roccia che affiora dal mare e ti sembrerà di camminare sull’acqua. Non a caso, sa Mesa Longa, caratterizzata da acque calmissime, è chiamata anche la Laguna, una laguna suggestive e selvaggia, molto amata dai surfisti. Sull’arenile sono presenti un ampio parcheggio, accessibile anche ai camper, e un punto di ristoro.

A nord della ‘tavola’ ci sono la spiaggia e la colonia felina di su Pallosu e, oltre il Capo Mannu, sa Rocca Tunda e le calette di Scal’e Sali. A sud alla base delle falesie del capo, troverai le spiagge della Mandriola, Putzu Idu e la splendida s’Arena Scoada.