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Museo multimediale Turcus e Morus

Personaggi mitici, leggende e storie di battaglie, assalti e coraggiose difese: il periodo più cruento della storia sarda, contrassegnato dalle incursioni piratesche, è descritto in un’esposizione unica nel suo genere. Il museo multimediale Turcus e Morus sorge a Gonnostramatza, ospitato nei locali dell’ex monte granatico. L’idea di descrivere la drammatica epoca delle invasioni compiute dai saraceni nasce da un’epigrafe, conservata nella chiesa campestre di san Paolo, a due chilometri dal paese. Vi è riportata la testimonianza della distruzione del vicino paese di Uras de manu de turcus e morus e fudi capitanu del morus barbarossa, avvenuta il 5 aprile 1515 agli ordini del pirata Barbarossa.

L’episodio funge da spunto per raccontare vicende accadute nell’arco di dieci secoli, dall’VIII al XVIII secolo, nelle coste e nell’entroterra isolano. Sono gli stessi protagonisti a narrare le storie che li riguardano, grazie a pannelli multimediali, video-ritratti interattivi con i quali interagirai tramite interfaccia touch screen, ologrammi di personaggi a grandezza naturale, ricostruzioni di torri costiere – erette dalla Corona spagnola per contrastare la minaccia dei pirati - e ponti navali, sui quali si ‘muovono’ i personaggi delle storie piratesche. Ammirerai anche diorami, modelli di imbarcazioni e armi d’epoca.

Una sala ospita la riproduzione digitale del retablo dell'Annunciazione, realizzato nel 1501 da Lorenzo Cavaro - pittore che diede origine alla scuola cagliaritana di Stampace -, conservato nella parrocchiale di san Michele arcangelo. Tra le figure animate, osserverai e ascolterai pirati barbareschi, schiavi cristiani e torrieri sardi, oltre allo stesso Barbarossa e ad alcuni dei protagonisti delle vicende storiche del Mediterraneo tra XV e XVII secolo. Il percorso ti permetterà poi di scoprire la storia del villaggio di Sèrzela, ormai scomparso, descritto anche grazie a reperti archeologici e video descrittivi, la cui unica testimonianza ‘vivente’ è la chiesetta di san Paolo. Il villaggio diede asilo agli abitanti di Uras scampati all’assalto dei barbari. Il museo organizza periodicamente attività e laboratori didattico-educativi, inoltre permette la fruizione a non vedenti e diversamente abili.

Oltre alla parrocchiale, edificata a cavallo tra XVII e XVIII su un preesistente edificio gotico-aragonese, e all’antica parrocchiale di Sèrzela dedicata a san Paolo, a Gonnostramatza sorge anche la piccola chiesa di sant’Antonio abate, documentata nel XVI secolo e collocata lungo l’antica via di collegamento principale con i villaggi vicini. Il paese fa parte del consorzio sa Corona Arrubia per la valorizzazione delle testimonianze archeologiche: la principale del suo territorio è la tomba eneolitica di Bingia e Monti, che ha restituito il più antico monile d’oro mai ritrovato in Sardegna.

Sud

Ortacesus

Si distende in un bassopiano a nord del Flumini Mannu che, insieme a tre torrenti artificiali che ne lambiscono l’abitato, da sempre ha reso fertili le sue terre. Ortacesus è un piccolo paese di meno di mille abitanti al centro della Trexenta, nell’Antichità fu uno dei granai di Roma e ancor oggi centro di produzione cerealicola (grano, frumento e mais). Ne sono testimoni, in estate, la festa del grano, che valorizza le tradizioni legate al raccolto, e tutto l’anno il museo del grano, che sorge nell’antica casa Serra, dimora tradizionale del paese. L’ampia esposizione di manufatti e attrezzi – tra cui una rara mola in legno – testimonia tradizioni tramandate da generazioni e antichi mestieri maschili (semina, lavorazione e raccolta) e femminili (tessitura e lavorazione del pane). Il percorso museale comprende anche La via del pane e i laboratori del mattone crudo e del gusto, con degustazione di piatti tipici.

Il paese è noto anche per la produzione di barbabietola da zucchero, vigneti, ortaggi e ha riscoperto l’artigianato tradizionale, testimoniato dai ricami degli abiti tradizionali, dall’arte dell’intreccio e dalla produzione di strumenti musicali, come le launeddas. Una particolarità locale è un importante allevamento di struzzi, impiantato dal 1997. Il centro compare in origine nei documenti medioevali come Ozrokesus. Attorno all’anno mille diventa Orzochesos, poi col tempo Ortachesus. La struttura urbanistica rispecchia la tradizione della Trexenta: strade strette e vicoli che si intrecciano ripetutamente. Al centro spicca la parrocchiale di san Pietro, costruita tra fine XVI e inizio XVII secolo in stile gotico-catalano. Custodisce un pregevole altare ligneo e le statue della Madonna del Rosario e di vari santi, risalenti a XVII e XVIII secolo. Più antica (XII secolo) è la chiesa di san Bartolomeo, a circa un chilometro dal paese, edificata su un antico tempio romano pagano. Secondo la tradizione era la chiesa del villaggio originario degli ortacesini, prima che si spostassero nel sito attuale. Il centro abitato oggi sorge in un’area con insediamenti ravvicinati, nel percorso da Senorbì a Guasila, lungo il quale vi sono numerose fonti d’acqua oligominerale, da Mitza s’Orrù, Mitza su Fenu e Fontana Bangius, usata già dalle terme romane. Tracce di epoca romana sono anche vicino a un’altra fonte, sa Mitza Siddi. Mentre le prime testimonianze umane risalgono alla preistoria: a testimoniare l’età del Bronzo numerosi nuraghi, tra cui il famoso s’Omu de s’Orcu al confine con Guasila.

Sud

Maraté - Museo per l'arte del rame e del tessuto

È l’unico museo del rame della Sardegna, ma soprattutto è un viaggio nel tempo, in un mondo fatto di botteghe, antichi saperi, voci e suoni provenienti da strade, piazze e laboratori artigiani. Oggetti luminosi e dalla forte valenza simbolica, provenienti dalle anguste, cupe e operose officine dei ramai, ma anche splendidi arazzi, frutto della maestria delle tessitrici locali: sono tessitura e lavorazione del rame le due tradizioni tipiche di Isili, ‘paese di confine’ tra sud Sardegna e Barbagie. Questo patrimonio è raccontato tra le sale del Maraté, museo per l’arte del rame e del tessuto, ospitato in settecentesco convento degli Scolopi. L’esposizione si articola in tre sezioni, una dedicata al rame e due all’arte della tessitura.

La prima illustra la lavorazione tradizionale del metallo e la caratteristica forma di vendita ambulante, ammirerai il tipico carretto, con nuovi manufatti e oggetti raccolti per la fusione, all’interno della ricostruzione di una bottega del ramaio, completa di attrezzature originali. Gli oggetti sono raccontati nel loro uso domestico, contadino e pastorale e nel valore sociale ed estetico, ad esempio come parte di un corredo nuziale.

La sezione artistica dedicata ai tessuti espone trenta arazzi, frutto di una sintesi tra tradizione, ricerca e innovazione. Nei pannelli è documentato il percorso di lavorazione: dalla produzione della lana alle tinture, passando per l’uso del rame, di fili d’oro e d’argento, per aggiungere sorprendenti effetti cromatici. Alle due sezioni del museo è stata aggiunta una terza, dedicata agli aspetti etnografici della tessitura. Il percorso all’interno del museo è accompagnato da musiche, voci, effetti sonori che caratterizzano ogni ambiente, evocando la suggestione di trovarsi tra le vie del paese e potendo ascoltare anche il gergo ‘segreto’ dei ramai, s’arromaniscu o arbaresca.

Il territorio di Isili è un parco naturale, con paesaggi incantevoli e testimonianze archeologiche. Sulle sponde e all’interno del lago di san Sebastiano potrai praticare trekking, biking, pesca sportiva ed escursioni in canoa. Al centro del lago, in un isolotto, sorge la chiesetta omonima. A meno di un chilometro dal paese, ecco una delle architetture nuragiche più armoniose ed eleganti: il nuraghe is Paras, composto da torre centrale e tre torri secondarie collegate da cortine murarie. La sua camera interna con volta a ‘falsa cupola’ è alta quasi dodici metri, la più alta della Sardegna nuragica.

Sud

Piscinas

Si distende in un tratto di pianura, circondato da morbide colline, e prende nome dal torrente omonimo che attraversa il territorio e sfocia nel lago di monte Pranu. Piscinas è un paesino rurale di meno di 900 abitanti al centro del bacino minerario del basso Sulcis, legato storicamente (e un tempo amministrativamente) a Giba, Comune autonomo dal 1988. Le sue risorse principali sono le coltivazioni di carciofi, agrumeti, vigneti e l’allevamento ovino, oltre a una fabbrica di bentonite. La sua fama è legata anche alla produzione artigianale di stuoie di canne sarde.

Le prime testimonianze umane nel territorio risalgono al Neolitico antico (VI millennio a.C.), rinvenute nella grotta di su Benazu, a monte Miana e nella roccia di Tatinu. Alla fase finale del Neolitico fanno riferimento le domus de Janas di Tuttui e di monte Medau. Evidenti le tracce dell’età del Bronzo, che ammirerai nel luogo di culto di monte sa Turri, nelle fortificazioni di monte Murrecci e nei nuraghi Corongiu longus, De Frois, is Ulmus, Matas, Santa Lucia, Santus e de s’Acqua callenti, dove sorgono fonti termali, oggi dette sa Cracchera, sfruttate nel XIX secolo e che contribuirono a sviluppo e notorietà del paese. Non mancano ruderi fenicio-punici e romani, in particolare le fortificazioni di Pani Loriga, costruite a difesa del territorio dalle incursioni saracene, che indebolirono progressivamente il territorio fino all’alto Medioevo, quando si spopolò del tutto. Dopo l’anno mille, anche grazie all’opera di una comunità di monaci, nacque il villaggio nella sede dell’attuale abitato. Nel corso delle dominazioni di giudicato di Cagliari e repubbliche marinare, dapprima fu chiamato prima Piscinae, poi Pixinas. Dal 1337, passato sotto gli aragonesi, divenne villa (o salto) di Piscinas. Nel 1538 è stato infeudato alla famiglia patrizia spagnola dei Salazar, i quali lo detennero a lungo e, dove oggi sorge il centro del paese, costruirono villa Salazar. L’antica dimora nobiliare fu ricostruita a fine XIX secolo, e ribattezzata villa Bice, su progetto dell’ingegner Giorgio Asproni junior, nipote del famoso deputato e letterato sardo. Potrai visitarla oggi all’interno di un ampio parco verde cittadino. Accanto ci sono la piazza San Giorgio, con un bellissimo mosaico che raffigura il santo nella lotta contro il drago, e la chiesa di Nostra Signora della Neve.

Sud

Senorbì

È centro geografico ed economico della Trexenta, territorio storicamente ricco, soprannominato in Antichità ‘granaio di Roma’. Senorbì è un paese di cinquemila abitanti in crescita demografica - raro caso tra i Comuni sardi non costieri - basato su coltivazione di barbabietole da zucchero, frumento, oliveti e vigneti, e riferimento commerciale della zona. Il suo fertile territorio abbraccia colline e tratti pianeggianti, solcati da sentieri da percorrere in mountain bike o a cavallo. I colori cambiano col ciclo agricolo: il bruno della terra in autunno, il verde del grano in crescita in primavera, distese bionde delle messi in estate. La passione per il cavallo è fortissima: per la festa di santa Vitalia, cavalieri di tutto il sud Sardegna si sfidano al trotto durante is Cuaddus de santa Vida, con arrivo nella frazione di Sisini, nell’ottocentesca villa Aresu.

Altre dimore padronali impreziosiscono il centro storico, formato da un intreccio di strade strette su cui si affacciano case di matrice rurale. Completano il quadro la parrocchiale di santa Barbara, la seicentesca chiesa di san Sebastiano e la chiesa di santa Mariedda, costruita a fine XIII secolo come santuario di Segolay, villa medioevale principale della Trexenta. In facciata si distinguono gli ordinati filari di conci di arenaria della ‘fabbrica’ romanica. La festa per la santa è a inizio agosto, preceduta a fine luglio dalla festival del folklore. Un’altra casa ottocentesca è stata adibita a museo archeologico: sa Domu nosta. Manufatti prenuragici provengono da abitati e necropoli: del III millennio a.C. è la celebre dea madre mediterranea, idoletto ritrovato in località Turriga (Selegas), testimone degli scambi con l’Egeo. Nel percorso museale segue l’età nuragica. Nelle campagne di Senorbì sono rimasti l’imponente su Nuraxi a Sisini con planimetria inconsueta, simile a un tempio a pozzo, parte della torre del nuraghe di Simieri e resti di quello di monte Uda. Fondamentale reperto nuragico è il miles cornutus, bronzetto che raffigura un guerriero con altissime corna sull’elmo, rinvenuto vicino al paese (1841), oggi custodito nel museo archeologico nazionale di Cagliari. L’arrivo dei cartaginesi mutò profondamente l’area: acropoli e abitazioni (forse anche officine fusorie) costituiscono l’insediamento della collina di Santu Teru (VI-III a.C.), connesso alla necropoli di monte Luna, composta da 120 tombe, per lo più ‘a pozzo’, altre a fossa, alcune decorate con ocra rossa. I ricchi corredi funebri confermano che si trattava di un fiorente centro: amuleti in talco, pasta silicea, metallo, osso e vetro, anfore, brocche, bruciaprofumi, coppe, lucerne, piatti, monete, monili e gioielli in oro, argento, bronzo e ferro (anelli, bracciali, diademi orecchini e vaghi di collana). Sono attestati manufatti d’ispirazione egizia e d’importazione greca e centro-italica. Insieme ai resti di una villa in località Bangiu, Monte Luna rappresentò anche il centro più importante in epoca romana. Si ipotizza che gli abitanti superstiti abbiano fondato Senorbì.

Sud

Villaperuccio

Adagiato su una piana nel cuore del Sulcis e noto come sa Baronia, Villaperuccio è un paese di poco più di mille abitanti divenuto Comune indipendente (da Santadi) nel 1979. L’attuale centro urbano nacque forse con l’arrivo di comunità monastiche tra XI e XII secolo. In paese sorge la parrocchiale della Madonna del Rosario, costruita nel 1913 grazie alla donazione di un ricco possidente. La patrona è celebrata a fine agosto. In campagna, a is Grazias, si erge il santuario della Madonna delle Grazie (XVI secolo), accanto alla quale sono stati rinvenuti resti di una necropoli romana. Nella chiesa campestre si festeggia a luglio, mentre a marzo c’è la sagra dell’arancio.

Il territorio di Villaperuccio si compone di una pianura alluvionale a sud e del semicerchio di colline di origine vulcanica che chiudono la piana a nord. Dai rilievi partono torrenti che confluiscono nel rio Mannu che a sua volta sfocia nel lago di monte Pranu. È una terra abitata dal Neolitico recente, come testimoniano tante eredità prenuragiche. A poco più di un chilometro dal lago c’è la necropoli a domus de Janas di Marchianna. Sull’altura di s’Arriorxu sorgono i resti di un villaggio della cultura di Ozieri (III millennio a. C.), cui faceva capo il maggior sepolcreto a domus de Janas del sud Sardegna, la necropoli di Montessu, che si apre sui fianchi meridionali del colle di sa Pranedda, a pochi chilometri dal paese, in uno splendido anfiteatro naturale. Presenta 40 sepolture di dimensioni e planimetrie varie, in gran parte pluricellulari (anticella, camera principale e celle secondarie). Gli ambienti sono precedute da vestiboli e presentano nicchiette e coppelle, gli ingressi erano chiusi da portelli. Si distinguono per monumentalità i due ipogei alle estremità dell’anfiteatro roccioso, cui si affiancano due domus significative sotto l’aspetto simbolico religioso (tombe-santuario): la ‘tomba delle spirali’, decorata con denti di lupo, protome taurina, numerose spirali simboleggianti occhi o seni della dea Madre, motivi a candelabro e falsa porta (‘passaggio per l’aldilà’); e la ‘tomba delle corna’, dove sono scolpite corna di varia foggia, alludenti al dio Toro. Il sito fu usato per un millennio sino a eneolitico recente e Bronzo antico (2400-1600 a.C.). Non lontano dalla necropoli, ammirerai due imponenti perdas fittas: in località su Terrazzu, il menhir di Luxia Arrabiosa - protagonista di leggende popolari - e un altro menhir alto sei metri sulla sommità del monte Narcao. Altri menhir, in trachite o granito, sono a is Perdas croccadas, is Pireddas, is Melonis, Bacc’e Fraus, is Faddas e is Cotzas. Dell’età del Bronzo restano i ruderi di 40 piccoli o medi nuraghi e una capanna nuragica in paese, vicino al palazzo comunale.

Sud

Giba

La tradizione fa risalire la sua fondazione al re vandalo Genserico nel 500 d.C. Giba si adagia in una pianura circondata da basse colline, a pochi minuti dal mare. Centro principale e frazione di Villarios, posizionati lungo la via romana Karalis-Sulki (Sant’Antioco), contano oltre duemila abitanti. Il fertile territorio favorisce la produzione di ottimi olio e vino carignano, carciofi, cui è dedicata una sagra a metà marzo (in concomitanza con la festa di san Giuseppe), e formaggi. Il pane viene preparato in forni tradizionali: a inizio agosto, nella sagra del pane, degusterai, oltre a pietanze tipiche, le sue varianti: civraxiu, coccoi, pani ‘e saba, pane con olive, ricotta e lardo. Deliziosi i dolci (gueffus pabassinas, pardulas e pistoccus), opere d’arte, come i manufatti tessili: tappeti e arazzi. L’artigianato locale ti offre anche coltelli, cestini e is pippias de canna, bamboline fatte di canne.

Attorno al paese dolci rilievi, coperti di macchia mediterranea e ulivi secolari, si affacciano sul golfo di Palmas. Nella spiaggia di Porto Botte, oggi frequentata da kite surfer, sbarcò l’infante Alfonso nel 1323: fu l’inizio di un dominio spagnolo lungo quattro secoli. Accanto una laguna, habitat di cavalieri d’Italia, falchi di palude, fenicotteri rosa e pollo sultano, attrazione per amanti del birdwatching. Vicino è il lago di Montepranu, ideale per appassionati di pesca sportiva. Circa 15 chilometri a sud, troverai le spiagge di Sant’Anna Arresi e di Teulada.

Giba è stata abitata sin dal Neolitico, lo attestano le domus de Janas di is Gannaus, risalenti al 3500 a.C. A età del Bronzo risalgono nuraghi di varia tipologia, tra cui il nuraghe Villarios, che si erge a controllo della costa, e soprattutto il complesso (in ottimo stato) di nuraghe Meurra (XII a.C.), al confine con San Giovanni Suergiu e Tratalias, che comprende anche villaggio, pozzo sacro e tomba di Giganti. Non mancano tracce fenicio-puniche, mentre evidenti sono quelle romane: ruderi di due ville, del tracciato di una strada, di un ponte e di terme. Si ipotizza che il paese sia stato fondato durante le invasioni vandaliche: furono deportati nordafricani mauritani, che lasciarono in eredità nel Sulcis i loro tratti somatici. A fine primo millennio monaci cassinesi e vittorini diedero impulso a comunità e territorio, costruendo qui monasteri (uno integro in periferia) e chiese romaniche, tra le quali ci rimane Santa Marta a Villarios (forse del 1066), su un’altura: da su ammirerai litorale e arcipelago del Sulcis. La santa è celebrata a fine luglio, mentre a fine giugno si festeggia per tre giorni il patrono san Pietro. Suggestiva la processione con un corteo di fedeli in abiti tradizionali, cavalieri e suonatori di launeddas.

Sud

Cala Lunga - Isola di San Pietro

L'insenatura di Cala Lunga, nella località La Punta dell'Isola di San Pietro, si presenta come una scogliera di roccia a strapiombo sul mare. Si tratta di una caletta ubicata fra La Punta e le Tacche bianche con scogliere di tufo a picco sull'acqua. Al largo, a qualche centinaio di metri dalla costa, si possono scorgere le reti finalizzate alla cattura dei pregiati tonni che poi dall'isola di Carloforte sono esportati fino in Giappone. L'Isola di San Pietro comprende le due isole minori Piana e dei Topi ed è separata dall'Isola di Sant'Antioco dal canale delle Colonne. Le sue coste sono frastagliate, con grotte e scogliere a strapiombo sul mare e sabbiose sul lato occidentale. Unico centro abitato è Carloforte, fondato nel 1738 da un gruppo di pescatori liguri provenienti però dalla tunisina Tabarka, raggiungibile in circa 30 minuti con traghetti in partenza da Calasetta e da Portovesme.

Sud

Masainas

Si adagia su una pianura incastonata tra gli stagni a ridosso del golfo di Palmas e le propaggini sud-occidentali del massiccio del Sulcis, ammantate e profumate dal verde mediterraneo. L’odierno centro abitato di Masainas, popolato da mille e 300 abitanti, si sviluppò a fine XVIII secolo, dapprima come medau (un singolo casale) poi come boddeu (insieme di casali), attorno alla chiesetta di san Giovanni battista in stile gotico-aragonese (fine XV secolo). Forse il santuario sorse su un precedente impianto dell’XI secolo, quando iniziò l’opera di evangelizzazione dei monaci benedettini. Nella prima metà dell’Ottocento Masainas, ricco centro agricolo (con 1800 abitanti) era il maggiore del basso Sulcis. A conferma della propensione agropastorale, nelle frazioni ci sono ancora is furriadroxius (piccoli ovili).

Anche oggi l’attività principale del paese, Comune autonomo dal 1975, è l’agricoltura. Attorno si alternano foraggi e pascoli, vigneti, specie di carignano, e orti di carciofi. A fine marzo, c’è la sagra del carciofo con degustazione di piatti tipici. A inizio ottobre, in onore della patrona, la Madonna della Salute, si svolge una delle feste più sentite dell’intero Sulcis.

Nelle colline che degradano dai contrafforti montani, a seconda della stagione, assisterai a variazioni di aspetto e colori, cui partecipano le essenze mediterranee: euforbia gialla, rossa e marrone, verde di mirto e olivastro, in primavera le fioriture gialle delle ginestre, d’estate le tonalità grigio-brune del cisto. Nei rilievi più alti compaino lecci, corbezzoli ed erica. Percorrendo i sentieri verso le cime godrai di paesaggi su mare e arcipelago del Sulcis. Qui volano falchi, gheppi, poiane. Nell’area nidifica anche la pernice sarda. Non lontano dal paese, gli stagni di Baiocca e Porto Botte sono habitat ideali per aironi, cavalieri d’Italia, fenicotteri rosa, marangoni dal ciuffo e i rari falco di palude e pollo sultano: a turno, colorano le placide acque. Alte dune dividono le lagune dai due chilometri di costa masainese (uno di spiagge sabbiose, uno di rocce) e ospitano una popolazione di conigli selvatici, prede di volpi, così come le lepri e le più rare martore e donnole. Nella striscia di sabbia fine e bianca, profumata da ginepri e pini d’Aleppo, spicca la spiaggia di is Solinas. Vicino all’arenile sono stati individuati insediamenti neolitici. L’età del Bronzo è testimoniata da dieci nuraghi: il monumento più interessante è il nuraghe is Fais, costituito da quattro torri disposte a croce. Successivamente il territorio passò ai punici, poi ai romani: sono stati rinvenuti i resti di una fabbrica di utensili in terracotta e due sarcofagi risalenti al periodo romano. Da is Manigas provengono monete presumibilmente indicanti la presenza di un sito romano, mentre a Serra lepuris sono state trovate due tombe scavate nella roccia.

Sa Jara Manna - Giara di Gesturi

Un’isola nell’Isola, un luogo magico con caratteristiche uniche. La Giara è un altopiano basaltico ai confini della Marmilla col Sarcidano: s’innalza bruscamente sino a 550 metri dominando il pianeggiante paesaggio circostante, ondulato soltanto da ‘morbide’ e fertili colline. Sulla sommità, lunga dodici chilometri e leggermente declive, si conserva un ecosistema con animali e piante rare. Per differenziarla dalle vicine giare ‘minori’ di Serri e Siddi, è detta Jara manna (grande), oppure giara di Gesturi, Comune entro cui ricade circa metà dell’estensione (45 chilometri quadri). L’altra metà è suddivisa tra Genoni (1600 ettari), Tuili (450) e Setzu (250). La sua area interessa anche Albagiara, Assolo, Genuri, Gonnosnò, Nuragus, Senis e Sini. Ognuno custodisce siti naturalistici, archeologici, artistici e musei etnografici, raggiunti da una rete di itinerari percorribili a piedi, in bici o a cavallo.

‘Giara’ è forse evoluzione di glarea, ‘ghiaia’, che indica la pietrosità del suolo. La genesi deriva da colate laviche eruttate 2,7 milioni di anni fa sopra un basamento arenarico da due crateri oggi spenti: Zepparedda, vetta dell’altopiano (609 metri), e Zeppara Manna, il punto più panoramico. Non fu l’altopiano a sollevarsi bensì le terre circostanti, non protette dalla roccia effusiva, ad abbassarsi, erose da acqua e vento. Tra i due coni vulcanici sorge sa Roja, faglia che percorre l’altipiano con un gradino di 30 metri. I fianchi scoscesi sono stati ‘intaccati’ da frane generate da torrenti che nascono nelle sorgenti dell’altopiano e scendono lungo i bordi. Da qui l’origine de is scalas, vie d’accesso al tavolato, del quale scoprirai la storia geologica nel geopaleosito di Duidduru, e nel paleoarcheocentro di Genoni. All’isolamento si deve un patrimonio floro-faunistico altrove scomparso, grazie al quale, dal 1995, la Giara è sito di interesse comunitario. Rigogliosi boschi la ricoprono, specie secolari querce da sughero, spesso ‘costrette’ dal maestrale a crescere oblique. Poi lecci, roverelle, corbezzoli, lentischi e mirto. In primavera l’altopiano si riempie di colori e profumi: elicriso, asfodeli e cisti in fiore, distese di ciclamini e orchidee, il manto giallo della morisia, pianta endemica che dà nome al giardino botanico del parco. Gli ambienti più spettacolari sono is paulis, depressioni dove ristagna l’acqua piovana. Se ne contano decine, per lo più modesti e di breve durata. In alcuni casi, le dimensioni sono considerevoli e si conservano tutto l’anno, come nei due pauli maiori. In primavera gli stagni si ricoprono di un manto bianco di ranuncoli, in estate si prosciugano e appaiono come distese ‘lunari’. Le piogge autunnali li colorano del rosso cupo delle tamerici; spesso, un sottile strato di ghiaccio li riveste in inverno. Sono habitat di una ricca microfauna, tra cui due minuscoli crostacei, ‘fossili viventi’ immutati da milioni di anni. Sono dimora anche di falco di palude, cavaliere d’Italia e germano. L’altopiano è celebre per i cavallini, caso unico in Europa di colonia equina selvaggia. Is cuaddedus galoppano in piccoli gruppi tra i cespugli, si rifugiano all’ombra delle sugherete, si abbeverano nei pauli e sono ghiotti di ranuncoli. L’origine si perde tra mito e storia. Nel Medioevo intere mandrie popolavano l’Isola, gradualmente scomparvero. Oggi circa 700 esemplari pascolano allo stato brado sulla Giara: folta criniera, lunga coda e corporatura agile conferiscono loro grazia sorprendente a dispetto di stazza e natura selvaggia. A completare la fauna, cinghiali, donnole, lepri, martore, volpi e 60 specie di uccelli, compresi vari rapaci.

La Giara è un’inespugnabile fortezza naturale, con pareti a scarpata simili a bastioni. A lungo baluardo contro gli invasori, oggi custodisce tracce di un passato remotissimo. Un sistema di nuraghi presidiava is scalas: sulla sommità se ne contano 24, per lo più monotorre; il doppio, a due o più torri, si allineava ai piedi e sulle pendici. Nel ciglio sud-orientale spicca il Bruncu Madugui, il più imponente protonuraghe sardo con resti di capanne riunite in isolati. Alcuni complessi furono frequentati anche in epoca punico-romana: Pranu Omus a Genoni, Santa Luisa a Tuili e San Lussorio ad Albagiara; altri sorgono accanto a fonti: come il nuraghe Scab’i Ois, vicino alla sorgente del parco di Cracchera. La Giara è attraversata dal tratto di strada romana selciata più lungo dell’Isola: sette chilometri! Già nel Medioevo solo i pastori frequentavano l’altopiano: testimonianza ne sono le pinnettas, rifugi simili a capanne nuragiche.