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Sud

Capo Malfatano

Nel tratto di costa di Capo Malfatano si alternano spiagge di sabbia grigiastra, scogliere impervie e cale con sabbia ambrata mista a ciottoli e scogli. I fondali sono ovunque limpidi e bassi, l’acqua ha tonalità tra verde smeraldo e turchese. Tra le spiagge del promontorio se ne distingue una di grande impatto scenografico, chiamata appunto Capo Malfatano, come il promontorio e che sta tra Tuerredda e Piscinnì. Insieme alla Tuerredda, spiaggia-simbolo dell’intera Sardegna, e alle splendide Porto Tramatzu, Cala Zafferano e alle Dune (o Is Arenas Biancas) di Porto Pino, compone il tesoro costiero di Teulada.

Si presenta con sabbia a grana media e ciottoli, fondali molto bassi e sabbiosi e insenature con rocce e scogli di colore ambrato. Le acque assumono un colore celeste chiaro che diventa più azzurro allontanandosi dalla riva e sono sempre calme. Non a caso la baia, riparata dai venti, era stata scelta a partire dal VI secolo a.C. prima dai fenici, poi dai punici, quale approdo. Ancora oggi potrai scorgere i grandi blocchi di arenaria che formavano le banchine del fiorente porto, ormai sommerse dal mare, da scoprire con maschera e pinne a pochi metri di profondità vicino alla riva. Nella parte occidentale della spiaggia c’è un piccolo stabilimento balneare, da cui partono escursioni in barca lungo tutta la costa.

Capo Malfatano è sovrastato da una torre spagnola, alle spalle troverai uno stagno che rende ancor più suggestivo il paesaggio dal punto di vista naturalistico. Dall’alto godrai di una vista spettacolare sulle baie vicine, in particolare nel versante occidentale le calette di punta Tonnara, raggiungibili con una ripida discesa, verso l’isoletta di Tuerredda e, in lontananza, spuntano i faraglioni di Capo Spartivento.

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Las Plassas

Nacque nel Medioevo ai piedi di un castello: gli agglomerati attorno, sas plassas, si unirono fino a diventare borgo. Las Plassas è uno dei più piccoli paesi dell’Isola, appena 250 abitanti: la sua architettura campidanese sorge nella fertile valle del Flumini Mannu: case basse con ampi cortili si stringono attorno alla parrocchiale di san Sebastiano, patrono celebrato a gennaio con un grande falò. La chiesa risale alla metà del XVII secolo, poi fu ristrutturata. L’edificio di culto principale è Santa Maria Maddalena, ex parrocchiale di gusto rinascimentale, edificata ai piedi del castello tra XVII e XVIII secolo sui ruderi di un’edifico bizantino. Aveva pianta a croce greca, modificata poi in croce latina. Restano cupola ottagonale e un campanile a vela con campana cinquecentesca. In periferia c’è Santa Maria di Monserrato (secondo XIV secolo), con dentro un pozzo sacro nuragico. Sorge in un’area frequentata da sempre: vicino c’è una fornace di epoca punico-romana. Tre archi trasversali dividono l’aula unica in quattro campate. L’8 settembre vi si svolge la sagra più sentita. Mentre a fine settembre c’è la sagra dei legumi.

Prima avamposto del giudicato d’Arborea, Las Plassas divenne sede della famiglia aragonese dei Zapata, suoi feudatari, che vi dimorarono fino a fine XX secolo. A testimoniare la florida età medioevale, i ruderi del castello di Marmilla (o di Las Plassas), uno dei più pittoreschi in Sardegna, grazie allo scenografico isolamento in cima a un colle perfettamente conico che domina la pianura intorno. Costruito nel XII secolo, svolse un ruolo strategico-militare: fu roccaforte del giudicato arborense e protagonista nella guerra contro la Corona d’Aragona, cui passò dopo sa Batalla di Sanluri (1409). Alcuni suoi ambienti furono carcere sino all’Ottocento. Attualmente ammirerai quasi integre torre maestra, murature, perimetrali e interne, e una grande cisterna scavata nella roccia, e noterai l’articolazione degli ambienti. Negli scavi sono state rinvenute parti dell’arredo, ceramiche (XIII-XVI secolo) e altri reperti esposti nel museo del castello MudA, ospitato in una dimora ottocentesca. Un percorso multimediale, che si conclude con una fiction sulla visita del giudice Mariano IV al castello, ti farà immergere nel Medioevo sardo. Una parte del museo è archeologica: di grande interesse è un’epigrafe del I secolo d.C., in cui il popolo locale degli Uneritani dedica un tempio a Giove. All’epoca il villaggio faceva parte della colonia di Uselis. Molti monumenti nuragici furono riusati in epoca punico-romana: i più importanti sono i nuraghi monotorre Perdedu e Bruncu e Forru, quello pentalobato s’Uraxi e la tomba di Giganti di Mesedas (XIX secolo a.C.). Il territorio fu frequentato sin dal Neolitico, come dimostra il sito di Pranu Sonàllas.

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Baccu Mandara

Mare da cartolina, spiaggia attrezzata e accessibile, paesaggi sorprendenti attorno. La spiaggia di Baccu Mandara occupa il limite orientale del litorale di Geremeas, nella parte della località appartenente al Comune di Maracalagonis. È una lingua di sabbia lunga tre chilometri, parzialmente interrotta dalla foce di un torrente che, specie in inverno, aumenta la sua portata e crea un laghetto a pochi passi dalla riva. Il piccolo specchio d’acqua divide Baccu Mandara dalla spiaggia di Marongiu e, contemporaneamente, separa il territorio di Mara da quello di Quartu Sant’Elena. Sul lato opposto, invece, il limite è un piccolo promontorio, che chiude la spiaggia con un arco roccioso.

Il mare è limpido, dalle tonalità celesti, con un fondale sabbioso che dopo pochi metri degrada rapidamente. La sabbia è chiara a grani medio-grossi. Alle spalle, una folta vegetazione cinge l’intero arenile, sul quale fa capolino anche qualche piccola duna. Grazie alla sua particolare esposizione ai venti Baccu Mandara è meta ideale per appassionati di vela, wind e kite surf, mentre gli appassionati di snorkeling potranno esplorare gli scogli ai piedi del promontorio. La spiaggia offre tutti i servizi: parcheggi, punti di ristoro, noleggio di attrezzatura balneare e natanti (pedalò e canoe), un punto di rimessaggio per le barche, accessibile ai diversamente abili.

Durante il relax in spiaggia, potresti accorgerti di essere in compagnia: gruppi di anatre stazionano spesso nel laghetto formato dalla foce del fiume. E non andar via prima del tramonto, quando il sole, calando dietro la linea dell’orizzonte, regala fantastici giochi di colore, tingendo di rosa la battigia e d’oro la sabbia. Un’altra sorpresa ti attenderà oltrepassando la scogliera attorno allo sperone roccioso sulla sinistra: dietro si apre una caletta ‘nascosta’, dalla forma a mezzaluna, riparata dal vento e con fondale più basso, dove la sabbia si alterna a rocce piccole e medie.

Potrai raggiungere la spiaggia di Baccu Mandara percorrendo la provinciale panoramica che da Cagliari porta a Villasimius, prendendo l’uscita segnalata. Le due deviazioni precedenti portano alle spiagge di Geremeas che condividono lo stesso litorale, ovvero Kala ‘e Moru e Marongiu. La prima, circondata da scogli, è composta da sabbia finissima e dorata, acque dalle tonalità cangianti e fondale basso; Marongiu alterna grani bianchi e dorati, e qui il mare assume tonalità tra il verde e il turchese. In un tratto dunoso della spiaggia, nel 2006, per la prima volta in Sardegna avvenne una deposizione di uova da parte di una tartaruga caretta-caretta.

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Porto Campana - Chia

Una distesa di sabbia morbida, dorata e calda, un gradone inclinato che si getta in mare, i riflessi cromati dal sole sullo specchio d’acqua verde smeraldo e turchese. Da una parte e dall’altra promontori coperti di verde mediterraneo dall’intenso profumo, specie lentischi e fiordalisi bianchi, delimitano la spiaggia e guardano verso il Mediterraneo meridionale. Alle spalle spuntano dune, alle quali si aggrappano ginepri secolari, cespugli di cisto e candidi gigli di mare: così si presenta Porto Campana, lunga e scenografica spiaggia con caratteristiche uniche rispetto alle tante altre perle costiere di Chia, rinomata località turistica, nel territorio di Domus de Maria. L’incantevole spiaggia è molto estesa, caratterizzata da dune, ricoperte di piccoli arbusti, che offrono uno scenario impagabile, uno scenario sfruttato spesso per campagne pubblicitarie. L’acqua poco profonda e i colori ricordano scenari tropicali.

Il basso fondale è perfetto anche per famiglie con bambini, che potranno giocare in assoluta tranquillità. Più a largo è una delle mete più ambite di appassionati di snorkeling e pesca subacquea, per la ricchezza di fauna ittica. Alle spalle c’è un piccolo campo da golf e un resort. Potrai affittare attrezzatura da spiaggia, imbarcazioni e gommoni e ristorarti in vari chioschi. Il lido è molto apprezzato anche da appassionati di sport acquatici, in particolare wind e kite surf e sci nautico. L’ampio parcheggio ha l’ingresso facilitato alla spiaggia. Non lontano lo stagno di Capo Spartivento, habitat di aironi cinerini, folaghe e garzette.

La scogliera orientale separa Porto Campana dalla bellissima Cala del Morto, caletta contornata da rocce di granito rosa e fatta di sabbia fine color oro. Ancora più a est, a ridosso della laguna di Chia, troverai Monte Cogoni e sa Colonia, chiuse da promontorio dominato dalla torre di Chia, alla base del quale sorgono i ruderi dell’antica città di fondazione fenicia di Bithia. Oltre la scogliera si distendono i lidi de su Portu e la bella e selvaggia Isula Manna. A occidente di Porto Campana incontrerai senza soluzione di continuità, s’Acqua Durci e, separata da una piccola scogliera, su Giudeu, ampio paradiso di finissima sabbia bianca, considerata la spiaggia più bella di tutto il sud-ovest dell’Isola. È caratterizzata da un isolotto distante circa cento metri e raggiungibile a piedi (o a nuoto con l’alta marea). La bellezza dell’acqua cristallina vi sembrerà irreale. Infine l’ultima spiaggia a ovest di Chia è Cala Cipolla, piccola baia dal grande impatto scenografico. Per ammirare tutto il litorale, ti consigliamo una passeggiata verso il faro di sparti vento che domina l’estremità sud-occidentale della Sardegna. Da lassù il panorama è da sogno, spesso teatro di scene cinematografiche e spot pubblicitari.

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Funtana Coberta

È uno dei più celebri, interessanti e integri dei circa trenta templi a pozzo nuragici, dove si praticava il culto delle acque: il nome stesso ‘fontana coperta’ esprime funzione e ottimo stato di conservazione. A tre chilometri da Ballao, paese della regione storica del Gerrei - lungo la provinciale 13 che conduce dal centro abitato a Escalaplano –, è custodito il pozzo sacro di Funtana Coberta, immerso in un verde fondovalle chiuso a est da una piccola altura.

L’intero edificio, lungo dieci metri e mezzo, è stato realizzato con massi calcarei irregolari appena sbozzati, di spessore costante e squadrati nella faccia a vista. La pianta è particolare: due ali di diversa lunghezza danno luogo a un atrio di cui tutt’ora vedrai la pavimentazione originale. Come di consueto nei pozzi sacri, il monumento è articolato in tre parti: in superficie, il piccolo atrio (o vestibolo) a cielo aperto, rettangolare, largo quasi due metri; una scala d’accesso di dodici stretti gradini, ben rifinita e coperta da un solaio a gradoni, composto da dodici architravi degradanti che si innestano nelle pareti e riproducono specularmente l’andamento dei gradini sottostanti, scendendo fino al pavimento della camera a tholos; il vano a tholos, appunto, costruito nelle forme di un piccolo nuraghe: è una camera semisotterranea, di pianta quasi circolare, larga sul fondo tre metri e mezzo, coperta da una falsa cupola alta cinque metri e mezzo. La cura costruttiva della cupola è notevole, fasciata da un muro a tamburo, al quale si lega un corpo sporgente che delimita la scala d’accesso e le due ali dell’atrio in antis. Particolare è anche la leggera convessità delle pareti, quasi a ‘invitare’ i fedeli verso l’interno del tempio. Il pavimento è realizzato con lastroni di calcare disposti accuratamente a raggiera, qui è localizzato la canna del pozzo, scavata nella roccia base, profonda cinque metri e rivestita da 36 filari di pietre, con una bocca - in media larga un metro - da cui sgorga la sorgente d’acqua.

All’esterno, le strutture in elevato sono attualmente il muro perimetrale a forma di serratura di chiave che racchiude l’atrio e il tamburo del pozzo. A un metro e dall’ambiente principale è emersa un’altra struttura ad andamento rettilineo, non ancora indagata. La forma edificatoria è simile a quella di molti altri pozzi sacri, ad esempio il santuario di santa Vittoria a Serri. Quanto a struttura architettonica e dimensioni è stata rilevata anche una strettissima (e sorprendente) connessione col pozzo sacro di Garlo monumento del II millennio a.C. portato alla luce nel 1981 in Bulgaria, l’antica Tracia, a 50 chilometri da Sofia, a ridosso del mar Egeo. Le due strutture differiscono solo di pochi centimetri.

Gli scavi archeologici, iniziati da Antonio Taramelli nel 1918 e ripresi nel 1994 (sino ai più recenti del 2008), hanno permesso di datare il tempio tra XIII e IX secolo a.C. I reperti restituiti dalle indagini sono essenzialmente materiale ceramico del Bronzo recente e finale. Si tratta di frammenti di vasi carenati con spalla obliqua, ciotoline emisferiche e olle a collo. Pochi i ritrovamenti di stoviglie nuragiche, di più quelle di età romana. I reperti in bronzo rinvenuti sono lingotti a pelle di bue, frammenti di spade votive e di bronzetti, come la testa di un arciere, l’orecchio di un animale e un piede con supporto.

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Portoscuso

Il suo porto sta di fronte all’incantevole isola di san Pietro e collega la Sardegna a Carloforte, una delle maggiori località turistiche isolane. Portoscuso, popolato da oltre cinquemila abitanti, nasce a fine XVI secolo sotto la dominazione spagnola, come villaggio di pescatori e corallai sardi, siciliani, ponzesi marsigliesi e maiorchini. Dal borgo di Puerto Escuso (porto nascosto) si sviluppò un importante scalo commerciale, protetto da una cinquecentesca torre in tufo e trachite, che si erge su un’altura, offrendo meravigliosi scorci, tra cala della Ghinghetta e Portopaglietto (o Portopaleddu), due splendide attrazioni costiere con mare limpido e sabbia sottile. Accanto alla torre sorse a metà XVII secolo la tonnara di su Pranu. Tutt’oggi l’antica struttura è attiva fra maggio e giugno per le mattanze: il paese, insieme a Carloforte, è famoso per la pesca del tonno. Nel corso dei secoli furono costruite attorno a su Pranu, case, magazzini per la lavorazione e la chiesa di santa Maria d’Itria (1655), patrona dei tonnarotti festeggiata 50 giorni dopo Pasqua, con eventi sportivi, musicali e folk. Mentre, dentro la tonnara c’è la chiesa di sant’Antonio da Padova. Non può mancare la sagra del tonno, con prelibate ricette. Insieme alla sagra del granchio, a giugno, e all’Arrusteddara, con grigliate pesci freschissimi a metà agosto, rappresentano le maggiori manifestazioni gastronomiche portoscusesi. Da non perdere in paese la villa su Marchesu, del nobile Pes di Villamarina, barone dell’isola Piana, altra ‘perla’ dell’arcipelago sulcitano. Nella seconda metà del XX secolo Portoscuso, circondato da giacimenti minerari e vigneti di carignano, divenne importante centro industriale con la realizzazione del polo chimico di Portovesme. Il suo territorio costiero, oltre che da tratti di sabbia morbida, tra cui da non perdere anche Is Canelles, è caratterizzato da scenografiche falesie a picco sul mare, in particolare quelle di Costa Crobettana. L’interno fu abitato da tempi remotissimi. Al Neolitico risalgono le domus de Janas di Guroneddu, all’età del Rame grotte sepolcrali e circoli megalitici di su Medadeddu e Piccinu Mortu (poi divenuta necropoli punica), a quella del Bronzo i siti di Punta Niedda e su Stangioni (poi necropoli fenicio-punica e romana), nuraghi, tra cui Atzori e Bacu Ollasta con villaggi di capanne attorno. La zona fu frequentata da fenici, punici e romani, la cui testimonianza maggiore è in località San Giorgio, una necropoli punica con undici sepolture (770-750 a. C.).

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Burcei

Arrampicato sul versante orientale del monte di Serpeddì, a quota 700 metri d’altitudine (rispetto ai mille del massiccio montuoso), è il paese del sud Sardegna che ha più caratteristiche e sembianze di centro montano. Burcei, Comune di tremila abitanti, il cui nome deriverebbe da burrei, ‘branco di buoi’, a conferma della tradizione pastorale, sorse verso la fine XVII secolo quando alcune famiglie di allevatori barbaricini e provenienti da Sinnai, Settimo san Pietro e Villasalto occuparono il suo territorio montuoso, costellato di boschi e sorgenti, particolarmente adatto alla pastorizia, su cui tuttora si basa l’economia locale. Si stabilirono vicino alla sorgente sa Mitza de su Salixi, che sino a fine XX secolo era centro del paese. L’abitato conserva strutture dell’antica tradizione architettonica sarda, che si articolano attorno a tre piazzette. Dal centro ammirerai uno sconfinato panorama con vista su Cagliari e sulla spiaggia del Poetto.

Le campagne vicine, oltre che al pascolo, sono destinate a orti, viti, legumi, e soprattutto, alle sue gustose e rinomate ciliegie, protagoniste a giugno della sagra delle ciliegie. Ai margini del paese ammirerai distese verdi, con sorgenti di acqua purissima, profumi inebrianti e scorci suggestivi: ti troverai nel cuore del parco dei Sette Fratelli, una delle oasi naturalistiche più grandi e affascinanti dell’Isola e di tutta l’Italia. Lungo la valle del rio Brabaisu si estende una foresta di lecci e ontani, abitata da numerose e rare specie animali. Poco distante il centenario bosco di Tuviois. A sud dell’abitato ammirerai la gola del rio Cannas, che scorre fra salti, pareti granitiche scavate dall’acqua e fitti e colorati oleandri. È una terra abitata sin da età del Bronzo come testimoniano i nuraghi Bruncu Entosu, Bruncu Moddizzi, de su Attu, Dom’ e s’Orcu, sa Serra e su Nuraxi. Tra i monumenti moderni, invece, spicca la parrocchiale di Nostra Signora di Monserrato, costruita nel 1886 su progetto dell’architetto Gaetano Cima (‘disegno’ analogo a quello della chiesa di Guasila) e caratterizzata da pianta ottagonale, cappelle laterali, prospetto in stile neoclassico, timpanato e spartito da colonne, e un alto campanile. La patrona del paese si festeggia l’8 settembre. Mentre a inizio giugno si celebra santa Barbara. Sono occasioni nelle quali assaporare le specialità derivanti dagli allevamenti locali: ottimi formaggi caprini e ovini, squisiti salumi e pane di semola di grano duro, cotto nel forno a legna. Altro appuntamento imperdibile per degustare prelibatezze è, ad agosto, la sagra de sa pezza de craba (carne di capra).

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Perdaxius

Il toponimo significa ‘pietroso o pietraia’ e riflette conformazione del territorio e abbondanza di materiali litici delle colline circostanti, tra cui Monte s’Orcu. Perdaxius sorge in un tratto di pianura attraversata dal torrente omonimo, nel cuore del bacino carbonifero del Sulcis, in un’area ricca di piombo argentifero, un tempo estratto dalle miniere di Peppixedda e di San Simplicio. Ora abbandonate, per secoli sono state le principali risorse del paese, oggi dedito ad allevamento con ottima produzione casearia (formaggi caprini e pecorini); attività vitivinicola, da cui derivano carignano, monica e cannonau; e lavorazione di pellami di alta qualità, usati dai raffinati stilisti. Strettamente legata al ciclo di vita e feste è l’arte di ‘fare il pane’: spiccano civraxu, cocoi, pane con l’uovo, tipico della Pasqua, e pani de sposoriu, per grandi cerimonie. Rinomate anche le tradizioni gastronomica, con ottime carni (bovine, di maialetto, agnello, pecora e capretto), e dolciaria, tra cui risaltano bianchinus, gueffus, pabassinas, pardulas, pirichittus e pistoccus.

Il Comune di Perdaxius, autonomo dal 1958, comprende ben 14 piccole frazioni - le maggiori sono Mitza justa, is Manais e is Pistis -, dove risiede circa la metà dei mille e 500 dei suoi abitanti, a testimoniare dell’origine del paese dall’accorpamento di vari nuclei isolati. Il villaggio principale fu fondato dopo l’anno mille dai frati francescani, conquistato dai pisani, poi passò in possesso del giudicato di Cagliari, infine della Corona d’Aragona. Petrargio o Perdacha, abbandonato nel XV secolo per sfuggire ad attacchi pirateschi, fu ripopolato e riorganizzato nel XVIII. Le case sorsero in origine attorno a un centro monastico, oggi si articolano in una rete di strade che gravitano attorno alla nuova parrocchiale di San Giacomo (1959). Al patrono, festeggiato a fine luglio (insieme alla patrona Sant’Anna), è dedicata anche la chiesa romanico-pisana del XIII secolo, restaurata, che presenta una facciata in pietra bruna vulcanica, terminata da un campanile a vela. È la maggiore testimonianza artistica insieme a un altro santuario romanico, San Leonardo, che si erge in periferia tra ulivi secolari con facciata ricostruita nel XVII secolo. Notevoli le pitture di età spagnola, che osserverai nelle ante dell’armadio che custodisce il simulacro del santo. Le celebrazioni in suo onore sono la domenica di Pentecoste. Da non perdere anche su Corrali, convento benedettino nella frazione di Pesus.

I terreni fertili e l’abbondanza di giacimenti minerari hanno attratto insediamenti sin dalla preistoria, Vi si trovano il nuraghe Camboni, in periferia dell’abitato, e il nuraghe di Monte s’Orcu. Dell’età del Bronzo sono anche le tracce di sepolture in cavità naturali nella località su Moinu de Perdaxius, adibite a sepolcro.

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Villamassargia

Si adagia sulla valle del fiume Cixerri, circondato dai rilievi dell’Iglesiente. Villamassargia è un paese di meno di quattromila abitanti che conserva intatte antiche tradizioni tessili: numerosi laboratori artigiani producono tappeti, arazzi e corredi domestici. Notevoli anche la creazioni di manufatti in ferro battuto e legno. L’agroalimentare è di ottima qualità: dai formaggi a olive e olio, dal pane ai dolci. Nel centro storico tipiche case di origine agro-pastorale si affacciano accanto a due edifici di culto. Uno è la parrocchiale della Madonna della Neve, originariamente costruita nel primo decennio del XII secolo a opera dei benedettini, mostra oggi un’impronta gotico-catalana, dovuta alle varie fasi ricostruttive tra XIV e XVI secolo. Il secondo è la chiesa di Nostra Signora del Pilar, che offre un dato non comune nell’arte medioevale sarda: da un’epigrafe in facciata, si ricava non solo la data di edificazione (1318), ma anche il nome del costruttore (Arzocco de Garnas). La sua prima intitolazione fu a san Ranieri, festeggiato a inizio settembre. La facciata, in stile romanico, ha conservato l’aspetto originario, in pietra sedimentaria, con una raffigurazione di Eva col serpente. Un bel rosone sormonta il portale d’ingresso.

Villamassargia raggiunse il massimo splendore nel Medioevo quando divenne capoluogo di una curatoria del giudicato di Calari. Al periodo risale il castello di Gioiosa Guardia, le cui rovine si elevano su un colle a quattro chilometri dal paese. Il nome indica il ruolo di controllo sulla vallata del Cixerri. Costruito tra XII e XIII secolo, tutto in andesite, per volontà dei conti Della Gherardesca, passò poi in possesso della repubblica di Pisa, infine fu inglobato dagli aragonesi. Ai piedi della fortezza c’è un museo a cielo aperto, s’Ortu Mannu, dove verdeggiano più di 700 maestosi ulivi secolari, innestati fra 1300 e 1600 dai benedettini, con tronchi che si contorcono robusti e nodosi. Uno, sa Reina, ha un fusto di 16 metri di circonferenza, monumento della natura. A fine ottobre, il parco ospita la sagra delle olive.

Villamassargia ha partecipato all’epopea mineraria del Sulcis. Il maggior patrimonio di archeologia industriale è la miniera di Orbai, immersa in una foresta, sfruttata già in epoca romana e abbandonata negli anni Sessanta del XX secolo. Vi si estraeva piombo e zinco. Il territorio è disseminato anche di siti archeologici, a partire dal Neolitico antico, come confermano materiali rinvenuti nella grotta Corongiu Acca. A età successiva (II millennio a.C.) risalgono numerosi nuraghi, tra cui Santu Pauli e Monte Exi, le tombe di Giganti di monte Ollastu e alcuni pozzi sacri. A epoca romana risalgono un acquedotto e fonderie.

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Mulino Licheri

Fluminimaggiore nacque nel 1704, a seguito di un atto di vassallaggio. I suoi abitanti di allora scelsero di sfruttare al massimo la loro principale risorsa naturale, il rio Mannu, costruendo mulini lungo il suo corso: nella seconda metà del XIX secolo se ne contano ben 21! Uno di essi, costruito già a metà del Settecento, vive oggi un nuova vita, è il mulino Licheri, divenuto sede del museo etnografico allestito dal Comune di Flumini, con la collaborazione della popolazione. Le sue macine sono ancora perfettamente funzionanti, nonostante siano passati quasi tre secoli dalla realizzazione, 270 anni raccontati dall’esposizione allestita al suo interno, dove entrerai in contatto con i mestieri antichi e con le usanze legate al ciclo di vita agropastorale.

Per giungere al mulino, attraverserai un ponticello di legno: la struttura esterna è suddivisa in tre parti con muratura in ladiri (mattoni di fango e paglia) e copertura in canne. Nel cortile sono esposti aratri, erpici e una ruota di frantoio per le olive. Sotto l’edificio principale, all’interno di due nicchie, si muovevano le ruote idrauliche che azionavano (e si azionano tuttora) le due macine. L’esposizione museale interna si compone di dieci ambienti: ammirerai strumenti per vinificazione e produzione d’olio, con un torchio in legno di castagno; una stanza dedicata a fabbri e maniscalchi; un forno per il pane e attrezzi per preparare il formaggio; una sala per la tessitura e alcune stanze ricostruite come ambienti domestici, cucine e camere da letto. Le sale 3 e 4 ‘raccontano’ la macinazione, partendo da reperti nuragici per arrivare a un mulino elettrico degli anni Trenta del XX secolo. Ti resterà impresso il grosso silos realizzato con l’intreccio di canne, destinato a contenere cereali. La macina è formata da due pietre basaltiche sovrapposte: quella inferiore, su koru, è fissa, mentre quella superiore, la tunica, gira in quanto collegata alla ruota idraulica messa in moto dalla corrente del fiume. Alle pareti sono appesi strumenti usati dalle massaie per setacciare la farina, il buratto e il telaio di legno. L’ultima sala ospita un carro a buoi e un calesse di fine XIX secolo. Non manca l’interazione con i bambini: potranno sperimentare vari utensili e scoprire i giocattoli del passato.

A proposito di attività del passato, tra rigogliosi boschi, spunta un rudere dell’epopea mineraria, il villaggio ‘fantasma’ di Malacalzetta. Fluminimaggiore non è solo archeologia industriale, ma anche punica e romana, grazie al tempio di Antas, uno dei monumenti più rappresentativi dell’Antichità isolana, che si erge in una verdissima valle. Poi c’è un capolavoro della natura: a cinque chilometri dal paese sorge l’incanto delle grotte di su Mannau, con sale costellate di stalattiti e stalagmiti dalle svariate forme e impreziosite da laghetti. Infine il mare: la spiaggia di Portixeddu con la sua borgata marina sono l’altra grande attrazione fluminese.