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Capodanno in Sardegna, tutta un’altra musica!

Una terra mitica, speciale tutto l’anno, anche a Capodanno. Il fine anno in Sardegna è nel segno della musica in piazza, del coinvolgimento, dell’accoglienza. Paesaggi inimitabili e scenari suggestivi, luccicanti di festa, fanno da cornice a grandi eventi che salutano l’arrivo del 2025, protagonisti sono personaggi amatissimi della musica italiana e internazionale. Tradizioni affascinanti e bontà gastronomiche completano l’atmosfera delle feste open air in borghi e città. Cagliari, brinda al nuovo anno con Stewart Copeland sul palco principale e con altri eventi di un Capodanno diffuso che troverà, come da tradizione, in varie piazze concerti e spettacoli. A pochi passi dal capoluogo, la sera del 29 dicembre, Assemini ospita Tananai, attesissimo dai più giovani.

Casteldoria

Un alone di mistero aleggia attorno alle vestigia di una fortezza a pochi passi da Santa Maria Coghinas, nella regione storica dell’Anglona. Arroccato nell’altura granitica detta monti di lu Casteddu (o anche monte Urtigiu), a ridosso della catena collinare del monte Ruju, Casteldoria (o castello dei Doria) domina una fertile vallata arricchita dalle acque ‘curative’ del fiume Coghinas e del lago di Casteldoria, dove i romani installarono un importante sito termale. Il castello fu edificato intorno al XII secolo dalla famiglia genovese dei Doria e visse alterne vicende sotto le dominazioni di Genova, Corona d’Aragona, giudicato d’Arborea e famiglia dei Malaspina.

Della fortificazione rimangono poche rovine: tratti delle mura, resti di una cappella e una grande cisterna che si suppone servisse per raccolta e approvvigionamento d’acqua. Ben conservata, invece, è la famosa torre, pezzo pregiato del castello, realizzata con grandi blocchi granitici rettangolari saldati a malta. Alta venti metri d’altezza, ha forma pentagonale con ingresso lungo il lato nord-orientale. Sullo stesso lato ci sono due grandi aperture non allineate e, nel lato opposto una grande finestra in corrispondenza del primo piano. Al suo interno è composta da tre livelli in legno, sovrastati dalla copertura con camminamento e tegole. L’ultimo piano fu ricavato con un soppalco prima del terrazzo.

A dare valore e ‘vita’ all’architettura sono le leggende che ravvolgono la storia di Casteldoria e in particolare la sua torre. Miti tramandati da generazioni e narrati anche dal premio Nobel Grazia Deledda nei Racconti sardi del 1894. Una fiaba parla di un intricato sistema di cunicoli sotterranei scavati tra fortezza e cappella di san Giovanni di Viddacuia (attuale Viddalba), situata sulla sponda opposta del Coghinas. Il passaggio segreto sarebbe servito ai Doria per recarsi in chiesa durante le festività. I cunicoli nascondono un altro segreto, quello di un esploratore che attraversando i passaggi sotterranei scoprì quattro grandi stanze, in una c’era una pesante porta di ferro: si dice che proteggesse il favoloso tesoro dei Doria. La Deledda descrive, accanto alla fortificazione, la ‘conca della moneta’, dove, secondo i racconti popolari, i Doria battevano denaro. Qui pare vi fosse anche una grande campana d’oro fatta risuonare da una pietra lanciata dall’alto verso il fondo della conca. A ovest della torre, dove i Doria passeggiavano nelle sere d’estate, si racconta che alti e imponenti bastioni, come guardiani, si affacciassero sul fiume.

Nostra Signora di Luogosanto

La leggenda racconta che la Vergine Maria sarebbe apparsa a due monaci indicando loro dove trovare le reliquie dei santi Nicola e Trano e suggerendo di erigere in suo onore un santuario fra graniti e querce di capo Soprano, laddove sarebbe poi sorta Locus Santus. La storia dice che la chiesa della Natività della beata Vergine Maria, nota come Nostra Signora di Luogosanto, fu costruita attorno al 1218 dai francescani giunti in Gallura a inizio XIII secolo, che qui edificarono anche uno dei primi monasteri quando san Francesco era ancora in vita. Pochi anni dopo la nascita, nel 1227, papa Onorio III elevò la chiesa alla dignità di basilica minore (prima chiesa gallurese a ricevere l’onorificenza). Nello stesso anno, in campagna, dove furono ritrovate le reliquie dei santi protagonisti della leggenda, sorse il santuario detto Eremo di San Trano. Nel XVIII secolo, quando la basilica fu ricostruita, ricevette il privilegio della porta santa. In passato murata, dagli anni Settanta del XX secolo rappresentata da una porta bronzea, opera dello scultore Luca Luchetti. Attualmente viene aperta dal vescovo ogni sette anni per 12 mesi.

Nostra Signora di Luogosanto, costruita in conci di granito squadrati, ha forme romaniche ed ha mantenuto l’originario impianto duecentesco a tre navate, ampliato nel 1912 inglobando un porticato in origine separato. Caratterizza l’interno una bella Madonna lignea del XVIII secolo, nota come Regina di Gallura. Anche la statua è avvolta dalla leggenda: si racconta sia stata ritrovata su una spiaggia di Arzachena. Molto venerata, è simbolo di Luogosanto, borgo di strette vie e case in granito, particolarmente devoto: ospita 22 santuari, tra abitato e campagna - da non perdere quelle san Quirico, di san Leonardo e del villaggio di Santo Stefano -, ed è stato dichiarato ‘città mariana’ dal 2008. All’interno della basilica sono custodite altre opere d’arte, tra cui gli affreschi del Battesimo di Gesù e dei santi Nicolò e Trano, le statue dell’Addolorata statua e di sant’Antonio abate e un caratteristico crocefisso. Il paese è meta di pellegrinaggi. In particolare a maggio, giugno e l’8 settembre, quando si celebra la natività della patrona con la festa manna. All’apertura della porta santa, i riti sono particolarmente solenni.

Anche la fondazione del paese risale all’arrivo dei francescani. Il loro antico convento, ristrutturato, ospita il Museum Natività beata Vergine Maria, centro di documentazione del Medioevo in Gallura, che ripercorre le vicende storico-religiose ed espone gli ex voto donati nei secoli alla Madonna bambina. Mentre il museo Agnana documenta la storia degli stazzi, tipici insediamenti rurali. Interessanti edifici storici, vicine alle chiese, sono Palazzo di Baldu e il castello di Balaiana.

Dolmen di Luras

Sepulturas de zigantes o de paladinos, così gli abitanti di Luras chiamano i dolmen (dal bretone tol-men, tavola di pietra), monumenti funerari costruiti a partire dal Neolitico recente (3500-2700 a.C.), che da queste parti hanno una concentrazione come in nessun’altra parte dell’Isola. Ve ne sono quattro dei 78 totali di tutta la Sardegna, ritrovati nel centro abitato o nelle sue immediate adiacenze: l’allée couverte di Ladas e i dolmen a struttura semplice di Alzoledda, Ciuledda e Billella. Realizzati secondo un sistema trilitico - lastroni orizzontali sorretti da altri verticali - con funzione di sepolture collettive e, insieme, di luogo di culto, si confrontano con esemplari simili baschi, catalani, francesi, corsi e di Minorca.

Inserito in uno splendido scenario naturale, l’allèe couverte di Ladas è costituito da una galleria lunga sei metri e alta più di due, coperta da due grandi lastroni e dotata di abside. La pietra di copertura posteriore ha una superficie di 15 metri quadri; lavorata e levigata. Le pareti sono formate da lastre verticali regolari, affiancate da massi piatti disposti in obliquo. Accanto c’è il dolmen di Ciuledda, simile a quello di Ladas ma con pianta semicircolare e in scala ridotta: è alto meno di un metro. Nelle due sepolture sono stati rinvenuti frammenti ceramici attribuiti al III millennio a.C. Entrambe sorgono su basamenti granitici, da cui il tuo sguardo arriverà sino al massiccio del Limbara. La semplice struttura del dolmen di Alzoledda sorge dentro l’abitato: è rettangolare con camera trapezoidale lunga più di due metri e mezzo e alta più di uno e mezzo. Le pareti laterali sono costituite da lastre sormontate da pietre di rincalzo, mentre la parete di fondo è un unico ortostato piatto che sporge dalle pareti. Tra i vigneti di vermentino e nebiolo, spicca il dolmen di Billella, a pianta rettangolare, lungo due metri e mezzo e alto 80 centimetri. La parete di destra è un lastrone rettangolare, quella di sinistra due massi lavorati poggianti sulla roccia: uno è adattato artificialmente per l’inserimento del lastrone di copertura che è appiattito nella superficie inferiore.

I monumenti megalitici preistorici hanno conferito fama a Luras. Ad essi vanno aggiunti i ruderi di sei nuraghi di età successiva e altre attrazioni naturali e culturali, a partire dagli olivastri millenari. Accanto alla chiesa di san Bartolomeo di Karana, sulle sponde del lago Liscia, tra i tanti, ne sorgono due la cui età è stimata in tre-quattromila anni: sono inseriti tra i venti alberi secolari d’Italia. Al centro del paese ci sono la parrocchiale di Nostra Signora del Rosario, che custodisce pregiati dipinti, e il museo etnografico Galluras, espressione dell’antica cultura locale, che espone il macabro martello usato da s’accabadora per l’eutanasia ante litteram.

Fortificazioni militari dell'arcipelago della Maddalena

L’arcipelago della Maddalena è terra di frontiera nel nord-est della Sardegna, una posizione strategica che ha segnato il suo destino nello scorrere dei secoli. Lungo la strada che percorre il perimetro costiero della Maddalena, ‘sorella maggiore’ di ben 60 isole e isolotti, ripercorrerai la storia moderna di un luogo teatro, anche nell’Antichità, oltre che negli ultimi tre secoli, di epici scontri navali.

Nella seconda metà del Settecento, con l’avvento dei piemontesi, che la resero una base di appoggio per le navi della Regia marina sarda, La Maddalena, Santo Stefano e altre aree dell’arcipelago furono ‘guarnite’ da fortificazioni: la Torre quadrata, il forte San Vittorio, detto la Guardia vecchia, e altri forti: Sant’Andrea, Balbiano, Sant’Agostino e Santa Teresa (detto anche Sant’Elmo). Tutti visibili dal mare, per scoraggiare gli attacchi dei pirati.

A iniziare dalla prima parte del XIX secolo, il sistema difensivo fu implementato con il forte Carlo Felice o ‘Camicia’, a protezione del passaggio maddalenino della Moneta, e col forte San Giorgio a Santo Stefano. Le strutture col passare del tempo furono sostituite. Più recenti sono altre postazioni d’avvistamento e fortificazioni, nate dalla fine dell’Ottocento sino alle guerre mondiali. Furono costruite batterie di maggiore potenza, che occupano posizioni rivolte verso il mare, come: Nido d’Aquila e Punta Tegge nella parte sud-occidentale, Punta Rossa a Caprera, e sulla terraferma a Punta Sardegna (Palau) e a Capo Tre Monti (Arzachena). Di rilevanza strategica sono anche altre alture maddalenine fortificate, come Guardia Vecchia e Trinita, che domina la splendida spiaggia omonima.

L’arcipelago, oggi parco nazionale, nasconde suggestive tracce di battaglie: mimetizzate tra le rocce troverai postazioni antiaeree. A partire dalla splendida cala Spalmatore e in un’altra infinità di località strategiche: Carlotto, Zavagli, Zanotto, Pietrajaccio, Candeo, Messa del Cervo, Poggio Baccà, isola del Porco, Teialone e punta dello Zucchero. Tutti siti oggi visitabili grazie alle guide del parco.

Scintille di fuoco nelle notti di metà gennaio

Sant’Antonio discese negli Inferi per rubare una scintilla e donarla all’Umanità. È una leggenda, ma dalla notte dei tempi si ringrazia il santo per questo dono vitale accendendo in suo onore enormi falò all’imbrunire del 16 gennaio: ci si raccoglie intorno e ogni comunità dà vita al proprio rituale. In alcuni paesi il rito si ripete nella serata del 20 con spettacolari falò in onore di San Sebastiano. I fuochi incitano le anime a danzare, prima con movimenti simili a sussulti, poi la festa si vivacizza all’aumentare del crepitio dei rami infuocati, la musica di launeddas e fisarmoniche accompagna balli e canti corali, cibo e vino sono offerti agli ospiti: fave con lardo, coccone, pistiddu, dolci di sapa, mandorle e miele. La magia si ripete anche nel 2024: sacro e profano tornano a mescolarsi in un rito collettivo che rinsalda i legami delle comunità e funge da auspicio per un’annata prospera.

Santa Maria Coghinas

Si adagia su una sponda del fiume Coghinas, addossato a colline che delimitano una fertile valle alluvionale, dove si coltivano intensivamente vigneti e carciofeti, sua principale risorsa. Santa Maria Coghinas è un centro di mille e 400 abitanti a pochi minuti dal golfo dell’Asinara, frazione di Sedini sino al 1960 e poi di Valledoria sino al 1983, anno in cui divenne Comune autonomo. L’attuale abitato fu ripopolato nell’Ottocento da famiglie di pastori galluresi, dopo che il borgo medioevale era stato abbandonato nel XV secolo: ecco perché sono ‘vivi’ lingua, usi e costumi galluresi, nonostante il paese rientri nell’Anglona. Il nome del paese deriva dal fiume e dalla chiesetta di santa Maria delle Grazie, in stile romanico con facciata gotica, coeva del nucleo medioevale del paese. All’interno ammirerai la statua della Vergine, portato in processione durante le celebrazioni del primo maggio. Ben conservata è anche la piccola chiesa romanica di san Giovanni.

Una fitta coltre di macchia mediterranea e sughere ricopre il paesaggio attorno al Coghinas. Qui vivono aironi, falchi pescatori, pernici e tartarughe d’acqua. A pochi passi dal paese, dove il fiume crea un’ansa, ai piedi di un colle granitico, affiorano le terme di Casteldoria, famose per qualità terapeutiche sin da epoca romana e oggi rinomato centro termale. La temperatura delle acque salso-bromo-iodiche oscilla tra 40 e 70 gradi. In cima allo stesso colle, detto Monti di lu Casteddu, incorniciati da rocce dal colore rosso vivo, si ergono i ruderi di Castedoria, fortezza edificata nel XII secolo dai Doria, che aveva forti interessi in zona, specie a Castelsardo. Dalla vetta si domina l’Anglona e la costa, un’area di intensi traffici sin dall’Antichità. Il castello fu protagonista di intricate vicende che coinvolsero repubbliche di Genova e Pisa, giudicati d’Arborea e di Torres e Corona d’Aragona. Le prime attestazioni scritte sono tra fine XIII e inizio XIV secolo: appartenne a Brancaleone Doria, marito di Eleonora d’Arborea, e fu restaurato da Pietro d’Aragona (1354). Passò attraverso molti padroni, sino al lento declino nel XV-XVI secolo e alla demolizione da parte dei piemontesi a fine XVIII. Oggi vedrai spiccare da lontano, ben conservata, la torre dei Doria, con pianta pentagonale e alta oltre venti metri, alcuni tratti delle mura, resti di una cappella e una cisterna per l’approvvigionamento idrico. Restano in piedi anche i ruderi del borgo antico, sorto forse insieme alla fortezza, attorno alla quale aleggiano miti e leggende, molte collegate all’ultimo principe regnante, forse Andrea Doria. Grazia Deledda in un ‘racconto’ (1894), scrisse di un passaggio sotterraneo segreto, scavato tra castello e cappella di san Giovanni di Viddalba, usato per recarsi in chiesa. Il premio Nobel riferisce anche alla conca di la muneta, dove si dice che i Doria battessero moneta. Una storia narra di un esploratore che scoprì una stanza piena d’oro e un’altra chiusa da una porta in ferro che avrebbe contenuto i tesori della famiglia genovese.

Castello di Monte Acuto

Le alture del Monte Acuto, sulle pendici meridionali della catena del Limbara, conservano sulle vette tracce di roccaforti difensive e strategiche del basso Medioevo. ‘Ferito’ dalle battaglie e segnato dal tempo, il castello di Monte Acuto, a 500 metri d’altezza, nel territorio di Berchidda, ne è un fulgido esempio. Documentata dopo il XIII secolo, ha conosciuto il maggior splendore quando fu sede della giudicessa Adelasia di Torres e di arcivescovi, prelati e dignitari del giudicato. Il castello fu prima conteso tra giudicati e poi tra pisani e genovesi, ‘vivo’ e pienamente attivo sino alla conquista catalano-aragonese, che segnò il progressivo e lento declino, sino agli attuali ruderi. Dalla sua posizione svettante controllava il passaggio di convogli che transitavano lungo la vallata del rio Mannu, via del commercio in direzione del porto di Terranova (attuale Olbia) e di collegamento con l’alta Gallura.

Per respirare l’aria della vita castellana, dovrai superare la folta vegetazione del rilievo, in mezzo alla quale individuerai resti di numerosi siti prenuragici e nuragici: dolmen e menhir, capanne e cinte murarie megalitiche sono le testimonianze preistoriche che incontrerai lungo i sentieri. Proseguendo la salita ti imbatterai in una sorta di avamposto di guardia, un ambiente circolare posto poco prima della fortificazione. La struttura centrale del castello, forse a pianta ovale allungata, conserva i resti del paramento murario e ha restituito tegole e vasellame in ceramica. Sulla sommità troverai i ruderi di un ambiente a pianta quadrata, base della torre (scomparsa), e accanto una cisterna parzialmente interrata. Da lassù il tuo sguardo si aprirà su altri sistemi d’avvistamento sopraelevati, comunicanti a vista fra loro. Tornerai indietro alla vita del castello, immaginando una vera e propria catena di segnalazione, messa in atto, tra un punto e l’altro, attraverso segnalazioni lampeggianti fatte da oggetti metallici o specchi, e all’occorrenza con fuochi accesi di notte.

Dopo la visita alla fortezza, andrai alla scoperta delle attrazioni di Berchidda, suggestivo borgo di case e palazzi neoclassici disposti su stradine strette e attorniato da paesaggi granitici modellati dal tempo, boschi di querce e sugherete e dal lago Coghinas. Spiccano tradizioni enogastronomiche, specie suppa cuatta, ottimi formaggi, dolci alle mandorle e il vermentino, e un evento musicale che l’ha resa famosa nel mondo, Time in Jazz, nella settimana a cavallo di Ferragosto. Al centro visiterai la parrocchiale di san Sebastiano e la seicentesca chiesa del Rosario, ai piedi del colle di sant’Alvara il museo del vino e nelle campagne testimonianze preistoriche e tracce romane, specie un ponte sul fiume Silvani.

Nostra Signora di Castro

In un altura nel Monte Acuto, una delle aree sarde più ‘romanizzate’, un castrum romano-bizantino e rovine medievali dominano dall’alto la piana bagnata da fiume e lago Coghinas. È lo scenario che troverai attorno a Nostra Signora di Castro, a cinque chilometri dall’abitato di Oschiri. Risalendo il colle della piccola chiesa romanica, rivivrai la storia di XI e XII secolo, periodo in cui sorse l’edificio, eretto tra le sponde del lago, il castrum di Luguido, il villaggio e il castello di Castra, che danno nome al tempio. Fu cattedrale della diocesi di Castro, soppressa nel 1508 dopo più di quattro secoli di vita. La data di costruzione è incerta: il Liber judicum turritanorum la ritiene fondata da Mariano I di Torres nell’XI secolo, coeva di Nostra Signora del Regno di Ardara, della quale rispecchia lo stile romanico-lombardo; altre fonti riferiscono della sua consacrazione legata a quella della cattedrale di sant’Antioco di Bisarcio, nel 1164 o 1174.

L’area dell’ex cattedrale è chiusa da un recinto fatto di cumbessias (alloggi per pellegrini) e un edificio a due piani, dove sono allestite mostre temporanee su storia del santuario e sito archeologico. La chiesa è meta di pellegrinaggio: il cortile si anima soprattutto la domenica dopo Pasqua, per la festa della Madonna di Castro. Saliti i cinque gradini della scalinata, ti colpirà la luce riflessa dai blocchi trachitici che compongono l’edificio: assumono gradazioni dal rosa intenso al rosso porpora scuro. Due lesene affiancano il portale e dividono la facciata in tre specchi, ognuno con tre archetti (nove in totale) appoggiati su peducci variamente decorati. L’interno è a unica navata, lunga 11 metri e larga cinque. L’abside semicircolare ha copertura lignea a capriate. Sulla sinistra si apre un grande portico, aggiunto posteriormente. Dall’altare ‘romanico’ ci è giunta una pergamena, conservata nella parrocchia di Oschiri, che inneggia a santa Restituta, martire africana il cui culto nell’Isola si colloca nell’alto Medioevo. Alla stessa età risalgono alcune sepolture nell’area circostante.

A Oschiri, borgo del Logudoro orientale, ai piedi del Limbara, in mezzo a vallate ricoperte di lecci, sugherete e macchia mediterranea, sorgono altri edifici di culto più o meno coevi dell’ex cattedrale: nel centro storico, vicino alla parrocchiale dell’Immacolata, c’è la chiesa di san Demetrio, in campagna i santuari di san Giorgio, san Pietro, santo Stefano e Nostra Signora di Othi. Case basse e strade strette in pietra caratterizzano un paese di tradizione agropastorale, dove si producono ottimi formaggi, vermentino e panadas. Il territorio è disseminato, oltre che di eredità romane e bizantine, anche di testimonianze preistoriche, tra cui spiccano 70 domus de Janas, raggruppate in necropoli, il misterioso complesso di santo Stefano e 60 insediamenti nuragici. I reperti sono esposti nel MuseOs.

Rena Bianca

Un paradiso dai colori abbaglianti e dalla limpida purezza a pochi passi dal centro del paese. La Rena Bianca è la spiaggia cittadina di Santa Teresa Gallura, una cala lunga circa 700 metri, con fondale basso e sabbia soffice, sottile e (come dice il nome) bianchissima, che sul bagnasciuga assume riflessi rosa, grazie a minuscoli frammenti di corallo. La vedrai apparire dalla cima di un colle dove si apre la piazza principale del borgo costiero, e non vedrai l’ora di arrivare laggiù, in fondo a una discesa di 300 metri e a una scalinata, che percorrerai tutta d’un fiato.

La spiaggia è incastonata da falesie e profumata dalla macchia mediterranea. La penisola di Municca e l’isolotto di Municchedda la proteggono dal vento di ponente, il promontorio dove si erge la cinquecentesca Torre di Longonsardo la riparata a levante. Le acque argentate e fresche ammaliano il visitatore assumendo mille tonalità dal blu al turchese, passando per il verde, e sono sempre limpidissime. La Rena Bianca si è aggiudicata più volte il riconoscimento ‘Bandiera Blu’ della Foundation for environmental education per qualità delle acque, coste immacolate e servizi che garantiscono al turista comfort e sicurezza. Amata dai diver, così come dai bambini, la spiaggia è accessibile a diversamente abili e ricca di servizi, ampio parcheggio e punti di ristoro. Stabilimenti balneari affittano patini e natanti, attrezzatura da relax e da esplorazione subacquea.

Nel territorio di Santa Teresa puoi ammirare tanti altri gioielli: a est del centro abitato, nell’estrema punta a nord dell’Isola, ci sono la pittoresca Cala Sanbuco, la suggestiva Cala Balcaccia e La Marmorata, ampia e attrezzata. Verso Palau, le piscine naturali di granito della Valle dell’Erica, la lunghissima Porto Liscia-Sciumara, patria del windsurf, e la pace incantevole della Conca Verde. A occidente c’è Capo Testa, penisola-promontorio unita alla terraferma da una lingua di sabbia che forma due spiagge, Rena di Ponente (o Taltana) e Rena di Levante. Sempre nel promontorio si assiste allo spettacolo della Valle della Luna e di Cala Grande. Vicino le calette rocciose di Santa Reparata e, lungo la litoranea per Castelsardo, l’accattivante Lu Pultiddolu, da cui giungerai sino alle dune di Rena Majore, nel territorio di Aglientu.