Sabbie d'oro - Pistis
Un’immensa distesa di un chilometro e mezzo di colline di sabbia dorata e finissima, modellate da uno scultore d’eccezione, il maestrale, che gli dona forme singolari e affascinanti. Le Sabbie d’oro di Pistis, dette anche Is Arenas ‘e s’Acqua e s’Ollastru (‘le sabbie dell’acqua e dell’olivastro’) confinano a sud con la splendida Torre dei Corsari e rappresentano la spiaggia più settentrionale della Costa Verde, nel territorio di Arbus. Macchie di ginepri contorti - uno trasformato dal poeta Tziu Efisiu Sanna in dimora (la Casa del Poeta) – lentischi, olivastri e altri arbusti mediterranei coprono il ‘piccolo Sahara’, colorato in primavera anche da violacciocca, giglio marittimo e papavero della sabbia. Attraverso le dune, alte sino a trenta metri, potrai scorgere, all’arrivo, le acque cristalline che coi riflessi solari si colorano di verde smeraldo.
La spiaggia è accessibile a persone con disabilità, ha parcheggio, punti di ristoro, servizi e noleggio attrezzatura balneare. Anche gli amanti delle rocce saranno accontentati: alle estremità della lingua di sabbia si stagliano scogli basaltici. Nel lato settentrionale si trova s’Enna e s’Arca, un luogo impervio, caratterizzato da basalti e arenarie lavorati da vento e forza del mare, che cela una serie di insenature nascoste, meta di appassionati di pesca. L’arenaria è stata anche motivo di antiche attività, testimoniate da una cava punico-romana che vedrai dall’ingresso del villaggio di Pistis. Proseguendo verso la spiaggia le rocce si fondono con la sabbia creando piscine naturali, perfette per i bambini.
Tutto il mare della Costa Verde è spettacolare e selvaggio. Le dune e l’ambiente sahariano sono caratteristiche non solo di Pistis e Torre dei Corsari, ma anche di Funtanazza, Portu Maga di Marina di Arbus e delle due ‘perle’ incontrastate della costa, il ‘deserto’ di Piscinas e la spiaggia ‘parlante’ di Scivu (per il suono emesso dal calpestìo della sabbia).
Terralba
Tra le insenature della laguna di Marceddì e lo stagno di San Giovanni, dove un tempo regnava Neapolis, città fondata dai fenici, occupata dai punici, poi centro romano e bizantino, sorge Terralba, cittadina del Campidano di Oristano, da cui dista 25 chilometri. Nota per angurie gavina e cantina sociale (istituita nel 1948), che produce monica e nuragus, con oltre diecimila abitanti è il secondo centro più popoloso dell’Oristanese. I due stagni, ecosistema protetto di 1800 ettari, ospitano oltre 5000 uccelli. Vi nidificano specie rare come airone rosso, falchetto di palude, fenicottero rosa e pollo sultano. Molteplici le varietà ittiche: da sempre vi è praticata la pesca. Dalla borgata di Marceddì, a dodici chilometri dalla città, arrivano anguille, muggini, arselle e cozze (nieddittas). Il villaggio, impreziosito dal museo del mare, si anima dopo Ferragosto in occasione della sagra della Madonna di Bonaria, con processioni a terra e nello stagno.
La leggenda racconta che qui sorgesse il villaggio di Osea, fondato da Ercole libico 364 anni prima di Roma (1000 a.C.). Le incursioni saracene costrinsero gli abitanti a trasferirsi nella vicina Neapolis, cinta da mura provviste di torri angolari e acquedotti: vedrai i ruderi nello stagno di san Giovanni. La città, grande e bella in epoca tardo-imperiale, fu importante anche nell’alto Medioevo. Cadde attorno all’anno mille per mano dei barbari: forse nel 1017 i superstiti fondarono Terralba, che la sostituì sia come capoluogo di curatoria all’interno del giudicato d’Arborea che come sede vescovile. Il toponimo comparve nel 1048: viene da terra e alba (chiara). Con i neapolitani si trasferì anche il vescovo Mariano I: in quel tempo a Terralba c’era la chiesetta di santa Maria, la ‘dimensione’ episcopale e l’immediata floridezza diedero risorse per costruire (1144) la chiesa romanica in onore del patrono san Pietro. Su quest’impianto antico (in rovina) fu realizzata tra 1820 e 1933la nuova maestosa cattedrale di san Pietro, in forma tardo-barocca, che custodisce capitelli di Neapolis e dell’ex cattedrale, fonte battesimale e pulpito ligneo del XVII secolo, una preziosa croce argentea e statue di santo e Madonna. Il patrono è celebrato a fine giugno. Altro santuario dell’abitato è la chiesa di san Ciriaco, fondata nel 1741 e riconsacrata nel 1958, che conserva un quadro di padre Lilliu, sarcofago di Maria bambina, tabernacolo del vecchio edificio e due statue del santo, la minore usata durante la processione dell’8 agosto. Di inizio XX secolo sono due edifici ‘liberty’: scuole elementari di via Roma e casa comunale. Di epoca feudale restano tre torri litoranee: Flumentorgiu, Marceddì e Torre Nuova. ‘Figlia’ della bonifica del 1919-28 è la frazione Tanca Marchese, dove a metà gennaio, si accendono i fuochi di sant’Antonio abate, per tradizione inizio del carnevale, caratterizzato da sfilate allegoriche con zeppole e malloreddus alla campidanese. I primi insediamenti umani (a San Giovanni, San Ciriaco e Bau Angius) risalgono al VII millennio a.C., grazie a suoli fertili, stagni pescosi e giacimenti di ossidiana del monte Arci. Il terralbese offra anche siti nuragici, tra cui i villaggi di Pomata e Coddu su Fennugu, e una densità di testimonianze puniche (fine V-fine III secolo a.C.) senza confronti con altri contesti mediterranei. In località Pauli Putzu sono state rinvenute dieci tombe romane con corredo, in città è venuta alla luce una vasca di una fattoria. Alcuni reperti sono conservati nel museo storico-etnografico Eliseo.
Torre dei Corsari
Un deserto lambito dal mare smeraldo e spazzato dal vento che lo modella e ne fa una delle mete preferite dai surfisti. Torre dei Corsari è una delle perle della Costa Verde, nel territorio di Arbus, il cui nome deriva dalla torre spagnola di Flumentorgiu (XVII sec.), vedetta contro le incursioni dei pirati saraceni. Dal promontorio ammirerai a sud una baia con falesie calcaree, mentre a nord il tuo sguardo spazierà dall’immensa spiaggia di Is Arenas ‘e s’Acqua e s’Ollastru fino alle deliziose calette riparate e a rocce impervie, paradiso degli amanti della pesca.
La spiaggia è lunga un chilometro e mezzo: dune dorate dalla bellezza strabiliante, sembrano colline ammassate e mosse dall’incessante azione del maestrale.
Il colore della sabbia, coperta in primavera da gigli di mare, violacciocca e papavero della sabbia, contrasta ed esalta il paesaggio retrostante, fatto di colline ricoperte da un tappeto di macchia mediterranea, con corbezzoli, ginepri, ginestre e lentischi. Da ogni angolo e in qualsiasi momento, Torre dei Corsari regala indimenticabili panorami e, alla sera, meravigliosi tramonti. La spiaggia è accessibile a diversamente abili, dotata di parcheggio, adatto anche ai camper, e potrai noleggiarvi ombrelloni, sdraio e patino. Non mancano hotel e strutture ricettive, bar e ristoranti.
Il mare della Costa Verde è spettacolare e selvaggio, raramente calmo, sempre da rispettare. Le dune sono caratteristiche di tutta la costa: nei due chilometri delle Sabbie d’Oro di Pistis, dove c’è un ginepro trasformato in dimora dal poeta Tziu Efisiu Sanna (la Casa del Poeta), a Piscinas, gioiello della Costa Verde dove persino il cervo sardo si concede passeggiate, e nella spiaggia ‘parlante’ di Scivu, detta così dal suono che si sente camminandoci sopra. Altre meraviglie sono Funtanazza, Marina di Arbus, Portu Maga, dove troverai anche un diving center, e Capo Pecora, estremo limite meridionale della costa arburese, meta di sub e pescatori.
Fordongianus
Un tempo era Forum Traiani, principale città romana dell’entroterra isolano, fondata nella tarda Repubblica e divenuta sotto l’imperatore Traiano sede di mercato tra comunità dell’interno e popolazioni romanizzate del golfo di Oristano. Oggi Fordongianus è un paesino di meno di mille abitanti del Barigadu, rinomato centro wellness grazie a uno stabilimento termale che sfrutta sorgenti di acque salse e termoattive, che sgorgano a 56 gradi tutto l’anno e producono benefici sull’organismo. Una particolarità già nota ai romani: l’abitato si adagia sulla sponda sinistra della fertile e rigogliosa valle del Tirso, dove sorgono le calde e curative Aquae Ypsitanae, terme romane risalenti al I secolo d.C., oggi attrazione archeologica. Sono visitabili due stabilimenti, uno conserva una piscina rettangolare con lati porticati, in origine voltata a botte, l’altro comprende lo spogliatoio. Il pavimento era fatto a mosaico (ne vedrai tracce) e il soffitto con pasta vitrea azzurra. L’approvvigionamento era assicurato da rete di canalizzazione e sistema di pozzi e cisterne. L’importanza delle terme è confermata da due statue del dio Bes, divinità dei culti salutiferi, e da uno spazio sacro dedicato alle ninfe.
Fordongianus è nota per le cave di trachite rossa, verde e grigia, usata dagli scalpellini locali per costruire e decorare le case. Ben conservata è la seicentesca casa aragonese, abitata sino al 1978 e oggi museo, raro esempio di architettura tardogotica sarda. Non lontano ecco la cinquecentesca parrocchiale di san Pietro aspostolo in trachite rossa, rifatta in epoca moderna. A pochi chilometri dal paese, vicino a terme e anfiteatro romano, sorge la chiesetta di san Lussorio, costruita dai monaci vittorini attorno al 1100 su una cripta paleocristiana. Suggestive sono le muristenes, che durante la festa, a fine agosto, si animano di novenanti.
Il territorio di Fordongianus è disseminato di testimonianze preistoriche: le necropoli a domus de Janas di Domigheddas e di Gularis, scavate nella roccia e inserite in splendidi contesti ambientali, e i nuraghi Paranu Antoni e Putzola, sulle rupi dei monti Maiori e Ollastra, modellate da vento e acqua in forme bizzarre. L’eredità nuragica più importante nelle vicinanze di Fordongianus - nel territorio di Villanova Truschedu - è il nuraghe santa Barbara, composto da una torre originaria cui si aggiunse un secondo edificio minore raccordato da cortine murarie. Poco oltre san Lussorio, c’è la zona di Balargianus, con boschi, orti e vigneti. Emozionante è la scalata del monte Grighini, dove affiorano filoni di quarzo. Nella sua vallata spicca la giara di Casteddu Ecciu dalle vertiginose pareti, con le rovine di un nuraghe e di un castello, da cui potrai scendere per ammirare il monolite di su Crastu Ladu.
Capo Pecora
Un luogo lontano da tutto, incontaminato e suggestivo. Capo Pecora è uno dei gioielli della Costa Verde, di cui rappresenta l’estremità meridionale, all’interno del territorio di Arbus. Confina a sud con Portixeddu (Fluminimaggiore) e a nord con un’altra perla arburese, Scivu. Il suo promontorio granitico spicca in una costa dominata dalla roccia calcarea: il rosato del granito si contrappone al turchese del mare e al verde della macchia mediterranea.
Scogliere a picco sul mare, battute dal vento, la delimitano e incorniciano spiaggette di ciottoli levigati dall’incessante opera del mare. Nelle calette le rocce hanno assunto sembianze particolari: una di esse è detta ‘spiaggia delle uova di dinosauro’. La spiaggia maggiore di Capo Pecora, circondata da profumati arbusti, è fatta di sabbia dorata a grani grossi. Le acque sono particolarmente limpide e assumono un brillante color zaffiro che ti rapirà lo sguardo.
La località è poco frequentata, una silenziosa oasi di privacy. È conosciuta per la sua fauna marina, il fondale brulica di mormore, muggini, orate, polpi, ricciole, saraghi, spigole. Perciò è amata dagli appassionati di snorkeling: non scordare maschera e macchina fotografica per scoprire e immortalare bellezze circostanti e meraviglie dei fondali.
Con un lungo ma non impegnativo trekking attraverso scogliere e mura granitiche, dal promontorio di Capo Pecora, abitato fin dalla preistoria e perfetto per gli appassionati di paleontologia e fossili, giungerai alla spiaggia di Scivu, visitando la sua riserva naturale. Il percorso a picco sul mare si snoda lungo sentieri e mulattiere. Giunto nel punto più alto dell’altopiano, alla torre di vedetta, il tuo sguardo spazierà verso nord sullo spettacolo della Costa Verde: il ‘deserto’ della selvaggia e stupenda Piscinas e l’altra ‘perla’ di Torre dei Corsari. Poi si scende in pendii ripidi per giungere a Scivu, la cui sabbia risuona quando si cammina sui suoi granelli finissimi. La costa arburese è tutto un susseguirsi d’immense spiagge con dune sabbiose che si immergono in acque con sfumature di azzurro e verde smeraldo. Comprende anche Portu Maga, la Marina di Arbus e Funtanazza, luoghi suggestivi e paradisi dei surfisti.
S'Arena Scoada
Poco a sud di Capo Mannu, estrema punta settentrionale dell’area marina della penisola del Sinis, un luogo dalla stupefacente concentrazione di bellezze costiere che alterna calette a tratti di roccia calcarea, sorge una lunga spiaggia dall’aspetto oceanico-tropicale. È s’Arena Scoada, che si estende da Punta s’Incodina, vicino alle falesie di su Tingiosu, sino a Putzu Idu, da cui è separata da una piccola scogliera. La spiaggia, che rientra nel territorio di San Vero Milis, da cui dista meno di venti chilometri, mentre Oristano è lontana 25, in origine era s’aena scoada, ossia l’asina senza coda. Poi il nome si è trasformato in ‘sabbia senza coda’, sabbia che è dorata e molto fine, alternata a piccolissimi frammenti di quarzo multicolore, pietre e scogli levigati. Una particolarità caratterizzante sono le rocce calcaree miste ad argilla, usate per le sabbiature. L’acqua è limpidissima, di colore verde-azzurro, il fondale sabbioso digrada dolcemente. Da qui ammirerai panorami che si aprono verso l’isola di Mal di Ventre. L’arenile è molto frequentato da appassionati di kite e windsurf e mette a disposizione ampio parcheggio e bar.
Alle spalle si trova un piccolo centro turistico, mentre sul lato nord ammirerai un suggestivo arco scavato nella roccia: s’Architteddu. Oltre, ci sono la spiaggia di Putzu Idu e le altre perle di Capo Mannu, immenso promontorio che è quasi un’isola, dato che è collegato alla terraferma da strisce di terra e dallo stagno Salina Manna. Incontrerai nell’ordine Mandriola, le cale sa Figu e dei Tedeschi, sa Mesa Longa, su Pallosu e, superato il promontorio, sa Rocca Tunda e le calette di Scal’e Sali. A sud invece, al confine con Riola Sardo, la costa rocciosa si solleva rispetto alla battigia quasi a preannunciare lo spettacolo imponente della falesia di su Tingiosu. Dall’erosione del calcare si sono generate piccole incantevoli calette.
Funtanazza
Un suggestivo tratto di costa dove si mescolano i colori dorato della sabbia, bruno delle rocce e azzurro del mare, che per quasi tre decenni, tra 1956 e 1983, è stato ‘colonia estiva’ di tanti bambini. Funtanazza, incastonata tra le stupende Torre dei Corsari e Marina di Arbus, è stata la prima e ‘pionieristica’ località di villeggiatura nell’incontaminata e selvaggia (allora più che mai) Costa Verde, nel territorio di Arbus. Da giugno a settembre i figli degli operai delle miniere di Ingurtosu e Montevecchio, distanti circa venti chilometri, trascorrevano le vacanze nella colonia marina ‘Francesco Sartori’, edificata dalla società che gestiva i siti minerari – per volontà dell’amministratore delegato Rolandi - “come ricompensa di tante fatiche, tanti sacrifici, tanto buio accumulato nelle gallerie”. La raggiungerai percorrendo la statale 126 e attraverserai un mondo cristallizzato, fermo nel tempo, fatto di siti dismessi e villaggi abbandonati. I servizi fondamentali più vicini sono a Marina di Arbus, Torre dei corsari e nel villaggio turistico di Portu Maga.
L’insenatura di Funtanazza accoglie, riparandola in parte dal maestrale, una distesa – di circa un chilometro - di sabbia dorata a grani medi, bagnata dal mare limpido e dai colori cangianti, tra verde e azzurro, con fondali sabbiosi, punteggiati da qualche scoglio, che diventano subito profondi. La spiaggia è delimitata da scogliere ricoperte da fitta macchia mediterranea: da una parte grandi rocce basaltiche nascondono piccole grotte, dall’altra la scogliera degrada dolcemente. A sud, fino alla discesa punta sa Cabada bianca potrai fare un percorso tra rocce di origine vulcanica contenenti incastonati un’infinità di fossili facilmente visibili sulla bianca scogliera, risalenti al Miocene. Il complesso, impressionante per dimensioni, si affaccia sulla spiaggia. A sovrastare il litorale il verde di una pineta di quasi otto ettari e l’imponente complesso dall’ex colonia, che occupa oltre duemila metri quadri e poteva ospitare circa duecento bambini e 60 adulti. Costituita da tre corpi distinti, comprendenti anche strutture ricettive e due piscine, era autonoma grazie ad acquedotto, cabina elettrica, ponte radio e impianti telefonici, nonché strade di accesso. Al momento della realizzazione (1956) era considerata una struttura avveniristica, la più moderna in Europa. Oggi è un enorme e spettrale edificio in attesa di riqualificazione.
A sud di Funtanazza, scoprirai le due perle più splendenti della Costa Verde: Piscinas, deserto di sabbia lambito dal mare smeraldo, e la spiaggia ‘parlante’ di Scivu. Altre spettacolari dune, all’estremità nord della costa, sono le Sabbie d’Oro di Pistis.
Busachi
Nel Medioevo capoluogo del Barigadu, oggi ‘paese del lino’. Busachi è un borgo di case e palazzi in trachite rosa, che, illuminata dal sole, assume accese sfumature rossastre. Le dimore sono disposte ad anfiteatro su un pendio da cui lo sguardo si apre su valle del Tirso e colline del Montiferru. Busache ‘e susu è il nucleo originario articolato intorno alla seicentesca parrocchiale di sant’Antonio da Padova. A fianco alla facciata, ornata da conci di pietra a vista, si eleva un altissimo campanile (48 metri), coronato da una cupola maiolicata. Il patrono è celebrato a metà giugno. Il quartiere si erge a 430 metri d’altezza, 80 metri più giù c’è Busache ‘e josso, che si raccoglie attorno alla chiesa di san Bernardino (XVI secolo), festeggiato a metà maggio. Il secondo rione sarebbe sorto, secondo tradizione, dal trasferimento degli abitanti di un villaggio più a valle. Di più recente formazione è il terzo quartiere, Campu Maiore, da cui prende nome l’eredità preistorica principale: la necropoli di Campu Maiore, 24 domus de Janas scavate in un costone roccioso, con pianta articolata e tracce di ocra rossa sulle pareti. Spicca la tomba IV, costituita da sette celle. Altre 50 domus compongono le necropoli di Maniere, Cronta, su Cantaru e Grugos. Anche l’età del Bronzo ha lasciato abbondanti testimonianze: visitabili e in ottimo stato i nuraghi Tadone, Pranu Nurache e su Liggiu, affiancato da tombe di Giganti. Interessante è il tempio a pozzo sa’ Murasa. Iscrizioni, cippi funerari, tratti di strada e un ponte sommerso (Pont’ecciu) attestano l’epoca romana. Sui resti di un tempio pagano sorse nel 1349, la chiesa di santa Susanna, in stile gotico con un’acquasantiera bizantina. Ad aprile e agosto, durante le novene, i fedeli popolano le antiche cumbessias del villaggio attorno. Oltre ai tre quartieri principali, altri rioni minori formano il centro urbano, popolato da mille e 300 abitanti. All’interno dell’abitato sorge il Collegiu dei gesuiti, eretto nel 1577, oggi sede di iniziative culturali. Fuori dall’abitato c’è la chiesa sconsacrata di san Domenico (1571), che ospita il museo del costume tradizionale e della lavorazione del lino: il lino di Busachi già nel XIX secolo era considerato il migliore nell’Isola. L’arte del ricamo è l’eccellenza artigiana di un centro ancorato alle tradizioni. Ti capiterà di ammirare per la strada, non solo per feste e sagre, i colori vivaci degli abiti tradizionali ricamati a mano e indossati da donne busachesi. In una sezione del museo ammirerai abiti di tutti i giorni, da cerimonia e da lutto. Il pittore Filippo Figari, agli inizi del XX secolo, nel suo soggiorno qui, dipinse le tele del ‘Matrimonio busachese’, conservate nel Palazzo civico di Cagliari. L’altra sezione del museo mostra lavorazione, attrezzi e tecniche di ricamo del lino. Tra le altre tradizioni spiccano i fuochi di sant’Antonio Abate di metà gennaio, i riti della Settimana Santa, rassegne di folklore, pariglie ed esibizioni di cori polifonici: nelle processioni si intonano i goccios, canti liturgici, e il rosario in sardo. Il piatto per eccellenza è su succu: ‘capelli d'angelo’ cotti nel brodo di carne, pecorino fresco e secco e zafferano, una ricetta, tramandata da generazioni. Durante la sagra de su succu, un corteo di ragazze in abiti tradizionali sfila recando su presente: è un antico rito legato al matrimonio, con cui si portavano pani e dolci nella nuova dimora degli sposi.
Is Arenas
Il nome significa ‘le sabbie’, nello specifico ‘dune sabbiose’ e sono tra le più estese in Italia. Un piccolo deserto, rimboschito a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, con pini e acacie, perché le dune rischiavano di espandersi e desertificare l’interno. Oggi è diventato una vastissima area verde, dove sorgono pineta e campo da golf. Is Arenas (o sas Renas) si estende per quasi sei chilometri: è una delle spiagge più lunghe dell’Oristanese, delimitata a nord dalla punta di Torre del Pozzo e a sud da un canale che collega mare e stagno Is Benas. La parte centrale (e maggiore) dell’arenile rientra nel territorio di Narbolia, la parte meridionale è di San Vero Milis, quella settentrionale di Cuglieri.
La spiaggia ha un fondo di sabbia giallo-rossastra con riflessi dorati, mista a ciottoli e conchiglie sulla battigia. In alcuni tratti ammirerai bianchissimi chicchi di riso che si immergono in acque limpide. Alle spalle il panorama è dominato dai boschi del Montiferru, mentre verso il mare vedrai Capu Mannu, punta settentrionale della penisola del Sinis e dell’area protetta che la comprende.
È spesso battuta dal forte maestrale, perciò frequentata tutto l’anno da appassionati di windsurf. In simili condizioni, è sconsigliato entrare in acqua ma osservare il mare darà intense sensazioni. La spiaggia è accessibile a diversamente abili, ha un ampio parcheggio ed è adatta ai camper, ci sono poi campeggi, ristoranti e bar.
Il tratto centrale della costa ovest, in provincia di Oristano, è fatto di spiagge di sabbia fine o chicchi di quarzo che si alternano a scogliere. Da non perdere poco a nord di Is Arenas, s’Archittu di santa Caterina di Pittinurri (Cuglieri), uno dei simboli della Sardegna, e la bella spiaggia di Putzu Idu. A sud c’è la penisola del Sinis, che vanta tre perle di assoluta bellezza nel territorio di Cabras: Mari Ermi, Maimoni e Is Arutas. Scendendo lungo il golfo troverai la marina di Torregrande, spiaggia cittadina di Oristano, e san Giovanni di Sinis, vicina al sito archeologico di Tharros.
Samugheo
Borgo custode di un patrimonio inestimabile tramandato da secoli: la tessitura artigianale. Samugheo, paese di circa tremila abitanti del Mandrolisai, in provincia di Oristano, è per antonomasia centro di produzione di tappeti, arazzi e abiti tradizionali. Fa parte dei borghi autentici d’Italia e sorge nello scenario rigoglioso e selvaggio della Brabaxianna (‘porta della Barbagia’), tra rilievi solitari, gole, pareti rocciose, sorgenti e boschi di querce e macchia mediterranea. Tante le grotte: ‘dell’Aquila’, sa Conca ‘e su Cuaddu, e il Buco della Chiave con forma a clessidra.
Case a due piani con balconi, portali e cornici in trachite rossa caratterizzano il centro storico, che in origine si divideva in quattro rioni, ciascuno un ‘microcosmo’. Le dimore sono ornate con murales, dove è rappresentato l’emblema paesano: i tappeti. In periferia c’è il Murats (museo regionale dell’arte tessile): ammirerai splendidi manufatti di tutta la Sardegna. La sezione etnografica ospita telai in legno e altre attrezzature. Tra i pezzi più rari le affaciadas, piccoli arazzi che si espongono durante il Corpus Domini, e cinque tapinu de mortus settecenteschi (in tutta l’Isola se ne contano otto). La tradizione è rinnovata ogni anno anche da Tessingiu, la principale mostra-mercato di settore nell'Isola. Il paese è rinomato anche per pecorino, ottimo vino e lavorazione del pane, cui è dedicata a ottobre una sagra.
Il territorio fu popolato fin dal Neolitico, come testimoniano le domus de Janas di Spelunca Orre. Le maggiori testimonianze dell’età del Bronzo sono la tomba di Giganti Paule Luturu e il nuraghe Perda Orrubia. Evidenti sono le tracce bizantine: usanze religiose, chiese e il castello di Medusa, avvolto dalla leggenda della regina Medusa. La roccaforte si arrampica su una rupe, interamente scavata nel marmo. L’impianto è del IV-V secolo, poi ci furono varie fasi costruttive sino al XII. I ruderi sono immersi nella vegetazione: vedrai tratti di mura, una cisterna e resti di due torri. Tra gli edifici di culto spiccano la cinquecentesca chiesa di san Basilio, patrono del paese che, secondo leggenda, lo salvò dalla peste, la chiesa di san Sebastiano, forse del XIII secolo, ampliata nel XV secolo con pianta a croce latina e decorazioni tardo-gotiche, e il santuario di santa Maria di Abbasassa, costruita a 450 metri d’altezza su un antico tempio pagano. La chiesa più antica era forse San Michele, oggi rudere. Un tempo ad essa, in catalano san Migueu, in castigliano san Miguel, si faceva risalire il toponimo, ipotesi esclusa dalle attestazioni in età giudicale di Sumugleo, nel testamento di Ugone III (1336), e del majore de Villa Summungleo (1388). La festività più celebre è A Maimone, carnevale samughese con rassegna di maschere di tutta la Barbagia. A metà gennaio i fuochi in onore di san Sebastiano sono l’anteprima del carnevale.