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Capodanno in Sardegna, tutta un’altra musica!

Una terra mitica, speciale tutto l’anno, anche a Capodanno. Il fine anno in Sardegna è nel segno della musica in piazza, del coinvolgimento, dell’accoglienza. Paesaggi inimitabili e scenari suggestivi, luccicanti di festa, fanno da cornice a grandi eventi che salutano l’arrivo del 2025, protagonisti sono personaggi amatissimi della musica italiana e internazionale. Tradizioni affascinanti e bontà gastronomiche completano l’atmosfera delle feste open air in borghi e città. Cagliari, brinda al nuovo anno con Stewart Copeland sul palco principale e con altri eventi di un Capodanno diffuso che troverà, come da tradizione, in varie piazze concerti e spettacoli. A pochi passi dal capoluogo, la sera del 29 dicembre, Assemini ospita Tananai, attesissimo dai più giovani.

Ittireddu

Si distende sul monte Ruiu, circondato da vulcani spenti, le cui rocce hanno più di due milioni di anni. Ittireddu, piccolo e antico centro logudorese di poco più di 500 abitanti, risale a età bizantina, quando fu realizzato il primo impianto della chiesa di santa Croce, rifatta più volte nel corso dei secoli. Mentre il nome, letteralmente ‘piccola Ittiri’, risale al 1626. Accanto alla chiesetta sorge una fontana del 1861 in blocchi di tufo rosato. A un chilometro dal paese, la chiesa di san Giacomo, del XII secolo. Le mura sono di conci a vista, tipiche del romanico sardo, l’interno, ad aula unica, è coperto con capriate lignee. Il patrono santu Jagu è celebrato a fine luglio. Interessante è anche Nostra Signora Inter Montes che conserva una statua lignea del XVII secolo e tre sculture di fine XIX di Giuseppe Sartorio.

Il territorio è stato intensamente abitato sin dal Neolitico recente, come dimostrano 60 domus de Janas - molte pluricellulari, poche monocellulari - scavate nel tufo e raggruppate in cinque vaste necropoli (più tre ipogei singoli). La necropoli di monte Pira, databile tra Neolitico finale ed Eneolitico (2800-2300 a.C.), ha 26 sepolture. Superato l’ingresso a dromos (corridoio), vedrai nicchie, coppelle e bassorilievi che riproducono elementi architettonici delle abitazioni neolitiche per ricreare nella tomba l’ambiente domestico. Spicca la tomba XIV, riusata in età del Bronzo: sulla fronte c’è una stele centinata, monolite che caratterizza le tombe di Giganti della civiltà nuragica, Anch’essa è ben testimoniata: vicino al paese c’è sa Domo ‘e s’Orku, arcaico nuraghe ‘a corridoio’ (lungo nove metri). Mentre Funtana ‘e baule è un pozzo sacro, le cui mura in blocchi di tufo trachitico sono estremamente raffinate nella parte inferiore, con pietre perfettamente connesse fra loro A struttura complessa è il nuraghe Funtana, con torre principale cui furono aggiunte due torri e un muro. Nella camera c’è un sedile-bancone e c’erano due ‘tavolini’ lapidei, oggi esposti, insieme a tegami, ciotole, olle e un vaso a quattro anse contenente venti chili di rame in lingotti, nel Civico museo archeologico ed etnografico del paese. Il museo è anche rappresentazione della tradizione agropastorale e artigiana di Ittireddu. Tante le tracce romane: il centro era un mansio lungo la strada per Turris Libisonis e Tibula, nonché. In località Olensas ci sono dieci cisterne scavate nel tufo, forse contenitori per olio o olive (da cui il toponimo). A pochi metri, due pressoi e due vasche per la decantazione dell’olio. Al confine con Mores restano in piedi due arcate (delle tre originarie) di basalto nero e tufo chiaro del Ponte ‘etzu (ponte vecchio), lungo 18 metri. Tardo-romani sono gli ipogei funerari di sa Fraigada, ricavati nella roccia.

Cheremule

Sorge accanto al monte Cuccuruddu, cono vulcanico spento di 680 metri, contornato dal verde di boschi, nella regione storica del Logudoro. Cheremule è un piccolo centro di meno di 500 abitanti che ha dato il nome alla cheremulite, pietra lavica usata nella seconda metà del XX secolo per il potere isolante. Il paese è all’interno, infatti, di un territorio costellato dai crateri vulcanici del Meilogu, divenuti monumento naturale protetto nel 1994, e di testimonianze preistoriche della Valle dei Nuraghi, con trenta complessi in poche centinaia di metri. Il paesaggio è insolito e unico: piccole alture a volte aguzze, a volte arrotondate e talvolta tagliate da tavolati pianeggianti.

Oltre ai nuraghi, nel suo territorio si trovano anche necropoli ipogeiche prenuragiche, in particolare la necropoli di Museddu con alcune domus de Janas riportanti graffiti e protomi taurine all’interno e all’esterno. Inoltre, sono disseminate alcune pinnettas, caratteristiche costruzioni pastorali in pietra di forma conica.

L’edificio principale è la chiesa parrocchiale di san Gabriele Arcangelo, patrono celebrato il 29 settembre, costruita nel XVI secolo in forme gotico-aragonesi. Il paese è stato scelto dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga per celebrare le sue esequie (2010). Dalle sue pendici si distendono il bosco di su Tippiri e la pineta del monte Cuccuruddu, attrazioni naturalistiche da non perdere.

Erula

In origine frazione di Perfugas Nasce nel 1988 dallo ‘scorporo’ del territorio di quattro paesi. Erula è un paesino di circa 800 abitanti all’interno dell’Anglona, nato nel XIX secolo da una cinquantina di famiglie di allevatori galluresi, provenienti da Aggius, Bortigiadas e Tempio Pausania, che hanno importato tradizioni e varietà dialettale. Si stabilirono a su Sassu, un tempo foresta popolata anche da cervi, daini e rare specie di volatili. Un’origine da rintracciare forse nell’usuale transumanza invernale dei pastori. Le prime case furono costruite nel rione su Nuraghe. Il centro urbano è sparso, tipico degli stazzi galluresi, ed esteso sulla via principale. Si è formato a partire dalla chiesa di Nostra Signora del Sacro Cuore (1932). Nella sua parrocchia sono comprese antiche chiesette campestri, in particolare santa Vittoria di su Sassu, opera in stile romanico, da attribuire forse ai vittorini di Marsiglia. La chiesa- che ricade nel territorio di Perfugas ma è legata al Sacro Cuore erulese - è del 1120, datazione fornita da pergamene giunteci integre, che rappresentano il documento più antico sulle chiese sarde.

Il territorio di Erula fu frequentato fin dal Neolitico, come testimoniano domus de Janas vicino al paese. L’altipiano boscoso e ricco di sorgenti fu favorevole per l’insediamento nuragico, come dimostrano i resti dei nuraghi Erula, in cima a un’altura, attorno a cui sorse il primo nucleo del villaggio medioevale, Pubattu, sa Toa (o Poligosu) e l’incompleto Nuragheddu, intorno a cui sono sparsi numerosi macigni, utili per lo studio dell’architettura nuragica. Su un rilievo sta il nuraghe Spiene, noto per il ritrovamento (1925) di una navicella votiva con protome cervina, uno dei reperti più pregiati e importanti mai rinvenuti in Sardegna, conservato nel museo archeologico nazionale di Cagliari. Mentre nel nuraghe Sotgiu giacevano cocci di anfore, vasellame e monete romane. Un pugnale votivo a elsa gammata, scoperto in paese, è conservato nel museo archeologico di Perfugas. L’altipiano fu interessato anche da traffici commerciali cartaginesi: a testimoniarlo un piccolo forziere di monete puniche, raffiguranti le dee Tanit e Kore. Quanto all’età romana, furono ritrovate grosse giare contenenti monete variamente datate dalla dinastia Giulio-Claudia agli imperatori Antonini. Di rilievo anche la scoperta del miliare indicante il centottantesimo miglio della strada Tibula-Carales.

Parco di Monserrato

Un tempo principale tenuta nobiliare della città, oggi area verde di sei ettari di valore naturale e storico, che custodisce un elegante giardino monumentale. Percorrendo il parco di Monserrato, adagiato lungo una conca nella periferia sud-occidentale di Sassari e restituito al suo splendore nel 2007 dopo un lungo restauro, farai un tuffo nel passato: i suoi viali rievocano i suoi momenti salienti, dall’origine nel XVII fino a inizio XX secolo. In tre secoli e mezzo, da azienda agricola divenne raffinato parco con infinite varietà di piante e opere architettoniche che ne abbelliscono i sentieri alberati. Attraverserai il viale dei tigli, dei lecci, dei carrubi, dei cipressi e dei pini. Al centro, sei isole di coltivazione ospitano piante d’arancio. Conformazione irregolare e varietà di vegetazione creano chiusure e ‘squarci’ improvvisi con vista sulla città. Si succedono esemplari di palme e di erythrina, olivi e olivastri, agrumi e melograni, bossi, ippocastani, magnolie, salici, siepi di lentisco ed essenze mediterranee. A impreziosire ulteriormente il parco sono gli edifici costruiti da nobili famiglie che si sono seguite nella sua proprietà. Dapprima i Navarro, commercianti di Valencia, poi i Deliperi, tra cui Giacomo, primo sindaco del capoluogo dopo l’unione di Piemonte e Sardegna. Dal 1866 fu la volta del deputato Giovanni Antonio Sanna, uomo di cultura e amico di Mazzini e Garibaldi: a lui si devono ingrandimento della ‘casa padronale’ e aggiunta di opere architettoniche. Dopo di lui fu proprietario il barone Giordano Apostoli, che abbracciò le suggestioni neogotiche del Romanticismo, inserendo nel parco manufatti come ‘torre di Caccia’ e ‘vasca del Belvedere’. Fu il periodo di maggior splendore. Dal 1921, ultimo titolare fu Nicolò marchese di Suni (nella Planargia).

Attraverso una strada all’ombra dell’oliveto giungerai alla ‘Conca verde’, e da qui alla terrazza del ‘tempietto delle acque’, lungo quasi dieci metri e alto sei e mezzo, in stile neoclassico. Appare quasi d’improvviso, severo nella purezza delle linee e accogliente nel gioco dei volumi. La facciata è caratterizzata da un portico di quattro pilastri in calcare, le coperture sono a botte. Il tempio domina una valle con al centro il ‘Ninfeo’, una vasca a forma d’ellisse decorata in stile neoclassico, lunga quasi nove metri e larga quattro. La passeggiata prosegue nel ‘viale dei tigli’ che conduce alla ‘casa’: da qui ti sporgerai sul belvedere che dà sul ‘viale dei cipressi’. Imperdibili sono le opere neoclassiche aggiunte a fine XIX secolo, a iniziare dalla ‘vasca delle rane’, lunga oltre trenta metri e larga dieci. Appoggiata e adeguata flessuosamente al declivio, si sposa con la natura del luogo. Al centro della parete da un passaggio voltato sgorga l’acqua. Da una breve gradinata accederai alla monumentale ‘torre di caccia’, alta 14 metri, con merlatura guelfa. Una stretta scala collega i piani fino alla terrazza da cui godrai di una vista fino al mare. Le linee di facciata sono severe ma il complesso conserva una sua morbidezza. La ‘vasca di caccia’ fa da ala al tempio delle acque e sottolinea il suo andamento in leggera pendenza. Torre e vasca si inseriscono armoniosamente nell’insieme di essenze arboree, prati e sentieri che degradano verso valle. Dal parco partirai alla scoperta di un’antica città regia: Fontana di Rosello, piazza d’Italia e cattedrale di san Nicola di Bari sono emblemi di storia e arte sassaresi.

Noragugume

Adagiato a 300 metri d’altitudine su dolci colline, domina la piana di Ottana tra il lago Omodeo e la catena del Marghine, sovrastata a sua volta dall’imponente massiccio del Gennargentu. Noragugume è un paesino di poco più di 300 abitanti, dedito prevalentemente all’allevamento, che fa parte dei borghi autentici d’Italia. Il nome deriverebbe da un nuraghe a forma di pentola che si ergeva vicino al centro. Le origini del borgo sono preistoriche mentre l’attuale abitato, ordinato e ornato da murales, risale al XV secolo con al centro la chiesetta di santa Croce, consacrata nel 1593. Oltre alla moderna parrocchiale di san Giacomo – patrono festeggiato a fine luglio - altre due chiese sono di notevole rilevanza: in periferia l’antica chiesa campestre di san Michele e nella piazza centrale la Beata Vergine d’Itria, d’impianto gotico-catalano (1623). La festa della Madonna d’Itria, il martedì di Pentecoste, è la più sentita in paese, accompagnata da un’ardia, corsa al galoppo attorno al santuario, forse risalente a quando il paese era diviso in rioni e i cavalieri, che li rappresentavano, cercavano di conquistare il drappo della Vergine. A fine giugno c’è san Giovanni e a fine ottobre s’Izzadorzu, celebrazioni accompagnate da eventi folcloristici, gare poetiche in logudorese e degustazioni di ricette della tradizione pastorale. La carne di pecora bollita e d’agnello arrosto o in umido sono protagoniste, accostate patate, piselli e finocchietto selvatico. Con le interiora d’agnello o capretto sono preparate cordula e trattalia. Ampia la varietà di pane, da quelli di tutti i giorni, tra cui su bistoccu, a quelli elaborati per le ricorrenze. A ogni festa è abbinato un dolce: frisciolas, pasta violada e culinzones de mendula per carnevale, casadinas al formaggio e tiliccas (sapa, mandorle e miele) a Pasqua, pabassinos (mandorle, noci e uvetta) e santos de tuccaru per Ognissanti.

Il territorio di Noragugume è stato popolato sin dal Neolitico, come testimoniano, oltre a reperti prenuragici, le domus de Janas di Taleri e Iscannitzu e il menhir sa Pedra ‘e Taleri, di tipo proto-antropomorfo, databile 3300-2500 a.C., che emerge isolato e imponente (alto quattro metri e mezzo) su un’area pianeggiante. Numerosi i nuraghi, tra cui l’Irididdo con torre centrale e due laterali, Muresune e Litzera. Il più famoso è nuraghe Tolinu, in posizione dominante su un altopiano a due chilometri dal paese. La struttura, risalente al Bronzo medio e rimaneggiata in fasi successive con uso fino a età storica, è complessa con bastione e torre centrale ben conservati. Attorno si intravede l’insediamento abitativo.

Silanus

Si issa a quasi 500 metri d’altezza, al centro della catena del Marghine, in un fertile territorio, coltivato a cereali, orzo, olivi, viti e alberi da frutta. Popolato da oltre duemila abitanti e noto per la concentrazione di ultracentenari da record mondiale - ben sette in contemporanea nei primi anni Duemila! - Silanus fa parte dei borghi autentici d’Italia grazie a natura, tradizioni e monumenti del passato. Il centro si basa su attività agropastorali e artigianato, specie lavorazione di tappeti e preparazione di dolci e pani, che ammirerai e assaggerai nella mostra dei pani e dei dolci tradizionali tra maggio e giugno. Ricca è anche la produzione di formaggi: pecorino, ricotta e casizzolu. Nella prima metà maggio la sagra de su ischidu è occasione per gustare le ricette della tradizione pastorale e premiare il miglior prodotto caseario. La manifestazione si svolge nel sagrato del complesso di santa Sabina, che comprende un nuraghe monotorre con villaggio attorno (1600-1000 a.C.), la tomba di Giganti di Pedra pinta, un pozzo sacro coperto a tholos e la chiesa di santa Sabina, costruita nell’XI secolo su un precedente edificio bizantino, tutt’oggi meta di pellegrinaggi. È una delle architetture sarde altomedioevali più significative e documenta la continuità sacra del luogo. Nella seconda metà di settembre vi si celebra una famosa novena, accompagnata dai gosos (canti liturgici), analoga a un’altra novena della prima metà del mese nella chiesa di san Bartolomeo (santu Portolu). Altro edificio antichissimo è la chiesa di san Lorenzo, costruita nel 1150 nell’allora Sjlano (attuale periferia del borgo), in dipendenza di un’abbazia benedettina. Le pareti interne conservano affreschi trecenteschi. Il martire è celebrato nella prima metà di agosto con processione capeggiata dalle bandelas (stendardi), spettacoli e gara poetica. Dietro la chiesa vedrai alcuni betili rinvenuti nella tomba di Giganti sa Pedra Longa e nel maestoso (e ben conservato) nuraghe Corbos. Notevoli testimonianze nuragiche sono anche i nuraghi Madrone e s’Ulivera e le tombe Pedras Doladas, Zanchia e Murartu. Accanto a San Lorenzo troverai una cava di calce, ancora oggi risorsa silanese: qui forse sorgeva un’antenata città romana. Risale al 1582 la chiesa gotico-catalana di sa Maddalena, celebrata a fine luglio. Di notevole fascino sono anche due chiese del XVII secolo: Nostra Signora d’Itria, al cui interno ammirerai le statue in legno policromo della Vergine (XVI secolo) e di vari santi, e la chiesa di santa Croce. La parrocchia è dedicata a sant’Antonio abate, festeggiato a metà gennaio con fuochi, processione e degustazioni. L’evento segna l’inizio del carnevale silanese, suggestivo così come la Settimana Santa. La parrocchiale è teatro nel periodo natalizio di una rassegna di canti polifonici. Mentre ogni due anni si svolge la rassegna dei canti a Tenores, ‘settimana di cultura popolare’ con partecipazione di cori di tutta la Sardegna. Da segnalare anche il premio giornalistico Funtana Elighe e la manifestazione Nois, che ti porterà alla scoperta del borgo attraverso mostre temporanee di fotografia.

Scintille di fuoco nelle notti di metà gennaio

Sant’Antonio discese negli Inferi per rubare una scintilla e donarla all’Umanità. È una leggenda, ma dalla notte dei tempi si ringrazia il santo per questo dono vitale accendendo in suo onore enormi falò all’imbrunire del 16 gennaio: ci si raccoglie intorno e ogni comunità dà vita al proprio rituale. In alcuni paesi il rito si ripete nella serata del 20 con spettacolari falò in onore di San Sebastiano. I fuochi incitano le anime a danzare, prima con movimenti simili a sussulti, poi la festa si vivacizza all’aumentare del crepitio dei rami infuocati, la musica di launeddas e fisarmoniche accompagna balli e canti corali, cibo e vino sono offerti agli ospiti: fave con lardo, coccone, pistiddu, dolci di sapa, mandorle e miele. La magia si ripete anche nel 2024: sacro e profano tornano a mescolarsi in un rito collettivo che rinsalda i legami delle comunità e funge da auspicio per un’annata prospera.

Romana

Si staglia a meno di 300 metri d’altezza su un ampio tavolato di rocce vulcaniche e calcaree, in un territorio prevalentemente pianeggiante, ricco di testimonianze preistoriche. Romana è un paese di circa 500 abitanti del Meilogu-Logudoro, attorniato da paesaggi carsici, come la grotta Inghiltidolzu nella vicina valle di santu Giagu, e attraversato dal Temo, che sfocia nel lago artificiale vicino a Monteleone Rocca Doria. Il territorio abbonda di sorgenti d’acqua. Nei dintorni del paese sono state ritrovate statue, che secondo gli studiosi, erano un voto offerto da persone affette da malattie e guarite grazie alle proprietà benefiche delle acque dell’antica fonte di Abbarghente, usata sin da età nuragica e poi in epoca punico-romana.

All’interno dell’abitato sorgono la parrocchiale della Madonna degli angeli, patrona festeggiata a inizio agosto, e la chiesetta romanica di santa Croce. Nella campagne attorno ci sono il santuario di san Lussorio, all’interno di una grotta, celabrato a fine luglio, e la seicentesca chiesa di santa Maria de s’Ispidale, dedicata alla Madonna della salute. Altre celebrazioni sentite sono in onore di san Giovanni Nepomuceno, a metà maggio, e sant’Antonio da Padova, a metà settembre

Il territorio è ricco di insediamenti nuragici, tra cui i nuraghi Montigu, Chiechrios, Pabirra e Santu Giagu.

Villa Piercy

Una proprietà terriera di fine XIX secolo si è evoluta, nel corso dei decenni, da azienda agricola a oasi naturalistica, con un lussureggiante giardino di varietà vegetali di ogni specie. Estesa per quattro ettari tra i rilievi del Marghine e l’altopiano di Campeda, è l’eredità lasciata da un ingegnere gallese, approdato nell’Isola nel 1863 per progettare la rete ferroviaria (Cagliari-Olbia e Chilivani-Porto Torres), realizzata dalla società italo-inglese ‘Compagnia per le ferrovie reali sarde’. Il celebre personaggio è Benjamin Piercy, uomo potente e ricchissimo, innamorato della Sardegna e baciato dalla fortuna, almeno sino al malore durante un banchetto che gli tolse la vita (1888). In cambio dell’attività per la maggiore opera pubblica sarda (sino ad allora) ricevette anche vari terreni nel territorio di Bolotana, dove realizzò, con un investimento di oltre un milione di lire, mirabolante per l’epoca, una moderna azienda, definita ‘monumento eretto all’agricoltura’.

Nella tenuta di Badde Salighes (valle dei salici), costruì anche una maestosa villa in stile inglese, dimora di famiglia, dove si viveva in un’atmosfera lussuosa con continue feste tra nobili inglesi e italiani: si dice che ne fosse assiduo frequentatore Umberto di Savoia, futuro re d’Italia. La residenza rurale, costruita tra 1879 e 1882, è sviluppata su tre livelli a pianta quadrangolare. I quattro vertici sono circondati da torrette, coperte da cupole metalliche su cui svetta un piccolo pinnacolo in ferro. All’interno della villa noterai dipinti che impreziosiscono le stanze del piano terra. Dopo il restauro del 2010, è aperta alle visite insieme all’incantevole giardino che la circonda, quasi un orto botanico, che deriva dell’amore di Piercy per la natura. Vagando tra aceri, agrifogli, castagni, lecci e roverelle, ammirerai anche specie esotiche, eredità dei viaggi dell’ingegnere britannico in vari Paesi del mondo. Nel giardino dimorano libocedro, tuja dell’Himalaya, abete di Spagna, bosso delle Baleari, cipresso di Lawson e altre piante rare. Anche il parco è in stile inglese, abbellito, a breve distanza dalla villa, da una piscina circondata da alberi.

Tra i lasciti di Piercy, trasmessi al figlio ed espropriati a metà XX secolo, ci sono la splendida villa, il giardino e persino un centro abitato, Chilivani (frazione di Ozieri), importante snodo ferroviario. Nei mille ettari della sua azienda era stato avviato il maggior allevamento zootecnico del Mediterraneo: ci lavoravano numerosi dipendenti che alloggiavano, con le famiglie, nei borghi di Badde Salighes e Padru Mannu, dove fu realizzato un caseificio dotato di impianti innovativi. Non a caso, la figura di Piercy è strettamente legata alla nascente agricoltura intensiva e industria zootecnica di Bolotana, paese attorniato da un territorio fertile, che accanto alla tradizione agricola, ha conservato l’arte della tessitura, in particolare di tappeti.