Lunamatrona
Si adagia nella piana della Marmilla, tra fiume Mannu e colline della Trexenta, circondato dalle Giara di Gesturi e da quella di Siddi. Lunamatrona è un paesino di tradizione agropastorale di meno di duemila abitanti. Il nome deriverebbe da Juno Matrona, in onore di Giunone: forse qui sorgeva un tempio a lei dedicato. Rinomate le sue produzioni agricole: legumi, olio e malvasia, vino protagonista di una sagra di inizio settembre, insieme al melone e alla pecora in cappotto.
Al centro del paese sorge la parrocchiale di san Giovanni battista è in stile classicista con rivisitazioni seicentesche. Sorge sull’area di una precedente chiesa benedettina (XI secolo), costruita tra fine XVI e inizio XVII secolo. L’interno ha navata unica voltata a botte, con quattro cappelle per lato, nella prima a destra è custodito il retablo di Santa Maria, in origine conservato nella chiesetta omonima. I dipinti raffigurano episodi della vita di Cristo, della Vergine e dei santi. I festeggiamenti in onore di san Giovanni sono a fine giugno.
Il territorio è stato abitato sin da epoca prenuragica: potrai visitare il protonuraghe Trobas, il nuraghe Pitzu Cummu, nella periferia del paese, e la tomba di Giganti su Cuaddu de Nixias, la più antica (1700-1600 a.C.) della Sardegna. Il nome (‘il cavallo di Nixias’) è dovuto alla presenza di un foro sulla parte superiore della stele che, secondo la leggenda, serviva a legare i cavalli. La camera sepolcrale, lunga dieci metri, è un corridoio infossato delimitato da lastre di pietra. Al fondo della camera si nota un cassone quadrangolare chiuso e rialzato rispetto al corridoio. L’ingresso si apre alla base di una stele in arenaria alta attualmente quasi tre metri. Ai due lati lastroni verticali, di altezza decrescente verso l’esterno che formano l’esedra. Lo spazio di fronte all’ingresso era dedicato ai riti in onore dei defunti. La tomba è inclusa nel museo del Territorio sa Corona Arrubia, che occupa colline e tavolati basaltici di Collinas e Lunamatrona, ricoperte di licheni rossi. Varie sezioni tematiche, botanica, faunistica, geologica e antropica, compongono l’esposizione museale. Una parte del museo è dedicata a circa duecento giocattoli tradizionali. Potrai salire in seggiovia al museo e ammirare dall’alto anche i monumenti megalitici delle giare.
Guspini
Abbraccia un’ampia porzione del Monreale ai confini con Oristanese e rilievi dell’Iglesiente. A Guspini, cittadina di origine medioevale di quasi dodicimila abitanti, convivono due anime: attività agricola e archeologia industriale. Passerai da villaggi minerari disabitati a splendidi scorci del centro storico, da colline coltivate ai boschi del monte Linas. Tra pinete e sorgenti, il parco di Gentilis ti offre momenti di relax, mentre nell’ambito del parco culturale Dessì, percorrerai l’itinerario Domus Guspini attraverso le vie del centro. Ogni tappa, un tema: museo del vino e dell’olio in casa Murgia, lavorazione del ferro in casa Agus, produzione di lana, formaggio e miele (cui è dedicata una sagra) in altre ‘corti’ campidanesi. Tipici sono paste (ravioli e malloreddus) e pani fatti in casa, dolci (gueffus, pabassinas, pirichìttus) e birre artigianali, protagoniste a fine agosto nella maggiore rassegna sarda di settore, Birras.
Lungo il percorso urbano, viaggerai nella storia a MonteTempo, nell’ex monte granatico, e visiterai il mulino Garau, l’antica Mascalcia, la parrocchiale di san Nicolò di Mira (XVII secolo), che è perfetta fusione di elementi tardogotici e rinascimentali, e la chiesa romanica, poi ampliata in stile gotico-aragonese, di santa Maria di Malta (del XII secolo). In onore della santa, a metà agosto, si celebra la festa più sentita. Dentro la città, nella collina di Cepera, sarai affascinato dai basalti colonnari di Guspini, spettacolo geologico con pochi riscontri al mondo, risalente a tre milioni di anni fa. Il monumento naturale è un ‘conetto’ vulcanico con una parete di prismi basaltici verticali, alti venti metri, accostati come ‘canne d’organo’. Significativa è l’eredità dell’epopea mineraria, iniziata a metà Ottocento. Il patrimonio dismesso si concentra nel complesso di Montevecchio, ‘cuore’ dell’attività estrattiva del sud-ovest per un secolo e mezzo, oggi parte del parco Geominerario della Sardegna. Visiterai edifici e macchinari che raccontano di fatica e passione a pochi passi dalla Costa Verde.
Il territorio è stato frequentato dal Neolitico: ne sono testimoni il cerchio megalitico de su Corrazzu de is Pillonis, la domu de Janas di Bruncu Maddeus e, soprattutto, i due menhir Perdas Longas, che rappresentano Dea Madre e Dio Toro. Un terzo menhir è vicino al pozzo sacro sa Mitza de Nieddinu, luogo di culto del Bronzo finale con camera e scalinata integre. È eredità nuragica insieme al pozzo di Is Trigas e a circa trenta nuraghi tra cui Brunku e s’Orku, Melas e Saurecci. L’area archeologica principale è vicina allo stagno di santa Maria, abitato dai fenicotteri rosa: è l’antica città di Neapolis, fondata dai punici alla fine del V secolo a.C., poi occupata dai romani che vi hanno costruito grandi terme, cisterne e strade.
Arbus
Il nome di Arbus ha etimologia incerta. Tra le ipotesi: albus, bianco come la roccia priva di vegetazione che affiora sulle cime montagnose, arburis, per l’abbondanza di alberi che caratterizzava in passato il suo territorio, o arabus, per i barbari che un tempo invasero le sue coste. Certa, nonché rinomata, invece, è l’abilità dei suoi artigiani nella lavorazione dei coltelli a lama ricurva: is arresoias arburesa. E certi sono i confini del suo sterminato territorio, uno dei più estesi in Italia, secondo solo a Sassari in Sardegna. Arbus occupa una vasta porzione centro-sud-occidentale dell’Isola e ha un lungo (47 chilometri) e splendido tratto costiero, dove si alternano ‘deserti’ di sabbia dorata e scogliere a picco sul mare. È la Costa Verde, un susseguirsi d’immense spiagge con dune sabbiose tra le più alte in Europa, che si immergono in acque con sfumature di azzurro e verde smeraldo. Sullo sfondo un paesaggio di vegetazione modellata dalla forza del vento che piega sino al suolo ginepri secolari. L’incanto dei luoghi si unisce all’ospitalità: chi sceglie Arbus, non arriva per caso, non ama animazione organizzata, resort e litorali attrezzati ma un’accoglienza frugale e confortevole, con tratti originali dello stile di vita sardo.
La Costa Verde si estende dal promontorio della pescosa Capo Pecora, suo estremo limite meridionale al confine con Buggerru, sino alla candida spiaggia di Pistis, la più settentrionale, a sud della penisola di Capo Frasca. Passa per l’incanto di Scivu e Piscinas, le due spiagge simbolo, per Portu Maga, la bella Marina di Arbus, Funtanazza e Torre dei Corsari, altro gioiello arburese. In primavera la costa diventa paradiso dei surfisti che vi trovano onde da cavalcare, mentre la ‘bonaccia’ estiva regala atmosfere suggestive, lunghe giornate di mare e tramonti da cartolina. In luoghi selvaggi e isolati, potrai imbatterti nel cervo sardo o in tartarughe marine che depositano le uova lungo le spiagge.
Il territorio di Arbus è natura incontaminata e anche viva testimonianza del duro ed estenuante lavoro minerario, che ‘rivivrai’ nei monumenti di archeologia industriale di Montevecchio (in parte nel territorio di Guspini) e Ingurtosu, un tempo borgo minerario, oggi villaggio abbandonato: un paesaggio da far west, con edifici diroccati, macchinari in disuso e gallerie desolate, ma i ruderi raccontano storie di uomini e fatica. Un tempo un trenino portava il materiale estratto fino al mare per caricarlo sulle navi: noterai rotaie e carrelli nelle dune di Piscinas.
Sartiglia, emozioni senza tempo
Soffio di destrieri, scalpitio di zoccoli, tintinnio di bardature, rullio di tamburi: sa Sartiglia è l’evento per eccellenza di Oristano. Lo spettacolo della giostra equestre, ogni anno, regala brividi ed emozioni indelebili. Oltre cento cavalieri al seguito del leggendario componidori, mascherati e vestiti in eleganti abiti di foggia sardo-spagnola, si lanciano al galoppo su cavalli finemente bardati, accompagnati dal rullo incalzante dei tamburi. La prova di abilità consiste nell’infilzare con la spada le stelle sospese. Le ‘corse alla stella’ sono due: la domenica di carnevale (2 marzo) si cimentano i cavalieri del gremio dei Contadini, il martedì grasso (4 marzo) quelli del gremio dei Falegnami. Il lunedì è dedicato ai giovani, con la Sartigliedda. Alle corse seguono le spericolate esibizioni delle pariglie, poi la festa carnevalesca prosegue nelle piazze fino a tarda notte, tra stordente euforia, dolci alle mandorle, frittelle e vernaccia, il delizioso vino locale.
Arborea
Immersa nel verde dei campi a 17 chilometri dal capoluogo Oristano e popolata da quattromila abitanti, in parte discendenti di coloni provenienti per lo più dal Veneto, Arborea ha la tipica struttura regolare delle città di fondazione fascista, con edifici improntati a un grande eclettismo. I viali rettilinei e paralleli sono alberati e le case a due piani in stile liberty e neogotico sono circondate dal verde. Gli edifici pubblici si affacciano sulla piazza principale, dove sorge anche la chiesa parrocchiale del Cristo Redentore (in stile tirolese). Nel palazzo comunale si trova la Collezione civica archeologica, raccolta di reperti della necropoli romana di s’Ungroni.
Arborea sorse nel 1928 al centro dello stagno di Sassu appena bonificato. A proposito non mancare la visita all’idrovora, inaugurata nel 1934, che ti colpirà per dimensioni e forme moderniste e futuriste. Sparse nei viali troverai tante altre strutture un tempo sedi amministrative dell’attività di bonifica. Ribattezzata ‘Mussolinia di Sardegna’ (1930), la cittadina assunse il nome attuale nel 1944, alla fine del conflitto mondiale. Oggi è costituita da un centro e da borgate rurali, dotata di moderne aziende agro-zootecniche, industrie di trasformazione e un avanzato sistema di servizi associati.
Il suo territorio è di notevole interesse naturalistico: nello stagno s’Ena Arrubia, vicino alla costa, vive un gran numero di uccelli palustri. L’ampia distesa sabbiosa della Marina d'Arborea è contornata da una splendida ed estesa pineta, dove potrai rinfrescarti dopo una giornata di sole al mare. A circa nove chilometri sui bordi dello stagno troverai il borgo di pescatori di Marceddì, dominato dalla cinquecentesca Torrevecchia. Da qui arrivano sui tavoli dei ristoranti locali tante prelibatezze. Tra i prodotti di agricoltura e allevamento, invece, quelli più rinomati sono latticini e frutta, tra cui le fragole a cui ogni anno, la prima domenica di maggio, viene dedicata una sagra. L’ultima domenica di ottobre si celebra, invece, la sagra della polenta, con possibilità di degustazioni della celebre pietanza veneta con formaggio, salsiccia e spezzatino.
Monte Linas - Oridda - Marganai
Nel cuore dell’Iglesiente sarai affascinato da paesaggi multiformi modellati dal tempo e dalla natura. Soprattutto da un’area di grande valore naturalistico detta Monte Linas-Oridda-Marganai, estesa per oltre 22 mila ettari e compresa nei territori di Domusnovas, Fluminimaggiore, Gonnosfanadiga, Iglesias e Villacidro. La zona è prevalentemente montuosa e morfologicamente varia: dal granitico monte Linas al massiccio calcareo del Marganai, passando per l’aspro altopiano di Oridda (alto 600 metri) che li separa e dove si estende la rigogliosa foresta di Montimannu. La punta più alta è Perda de sa Mesa (1236 metri). Nelle zone granitiche incontrerai profonde gole e spettacolari cascate, come quelle di sa Spendula, di Muru Mannu e di Piscina Irgas. Qui sbocciano piante officinali (camomilla, belladonna, calendula) e altre specie endemiche. Lungo il rio Linas si troverai il corbezzolo gigante. Rigogliosi boschi di lecci coprono le zone più alte, popolati da cervi, cinghiali, daini, donnole, martore, mufloni, volpi e volatili rari come poiana, aquila reale, sparviero e grifone.
Nelle aree calcaree del monte le infiltrazioni hanno creato fiumi sotterranei e suggestive grotte, come quella di san Giovanni a Domusnovas, che fora il monte Aqua. Per tutto il XX secolo era usata come galleria transitabile: lunga 800 metri, la potrai esplorare per ammirare stalattiti e stalagmiti millenarie. All’interno del parco naturalistico, le sugherete stanno nelle parti più basse, mentre la profumata macchia mediterranea cresce su rocce antichissime, che custodiscono i segni dell’attività mineraria che ha caratterizzato l’Iglesiente. Qui incontrerai villaggi e siti minerari dismessi, esempi dell’architettura industriale sarda: nell’altopiano di Oridda ci sono i ruderi di uno stabilimento minerario dell’Ottocento.
Una parte del monte Linas ospita il parco culturale Giuseppe Dessì: i paesaggi che ne fanno parte sono quelli esaltati dalla suggestione delle opere di uno dei massimi scrittori isolani. Per valorizzare e promuovere il patrimonio naturalistico del Marganai, invece, è stato realizzato il Giardino Linasia. Da Iglesias raggiungerai l’area del parco, attraverso una pista (all’ingresso della città) che porta alla vecchia cantoniera Marganai. Mentre dalla provinciale 126 Iglesias – Guspini, proseguendo verso la frazione di San Benedetto, prenderai una pista che conduce alle Case Marganai. All’interno del parco potrai fare lunghe escursioni a piedi o a cavallo, anche nel corso di camp estivi, con corsi di formazione ed educazione ambientale.
San Lussorio - Fordongianus
Inizialmente era un intimo luogo di venerazione, sulla tomba di un coraggioso martire, col tempo l’intensità della devozione popolare aumentò inesorabilmente, tanto da farlo diventare uno dei santuari romanici più caratterizzanti dell’Isola, oltre che frequentata meta di pellegrinaggio. L’origine della chiesa di san Lussorio di Fordongianus, però, nonostante le trasformazioni subite nel corso dei secoli, rimane ‘sigillata’ grazie a un’iscrizione murata sul lato sud dell’edificio, che identifica il sito come il luogo del martirio di Lussorio, avvenuto il 21 agosto del 304. Secondo la Passio Sancti Luxurii il martire fu processato a Cagliari - forse sua città d’origine - e condotto all’antica Forum Traiani per essere condannato a morte. La stessa altura che oggi ospita la chiesa doveva essere la sede della necropoli romana, qui Lussorio fu deposto in un ipogeo. Il martyrium era venerato già nel V secolo: furono costruiti un abside, un vano che ‘custodisse’ la tomba e un camminamento a U per permettere ai pellegrini di scorrere attorno alla sepoltura. In epoca bizantina le strutture furono rinnovate, sorse una piccola basilica decorata con mosaici sul pavimento e affreschi, specie nella parte absidale. Su questo impianto, agli inizi del XII secolo, fu edificato - in conci di vulcanite - il santuario romanico, forse a opera dei monaci vittorini di Marsiglia. Potrai ancora osservarne alcune parti superstiti, in particolare l’abside e il lato nord della struttura.
Nei secoli successivi la chiesa fu ulteriormente ristrutturata, a seguito del crollo della parete sud e della volta in pietra. Fu scelta una più leggera copertura lignea, mentre la facciata che osserverai è ancora più tarda, del XIV secolo, in stile gotico-aragonese. Nel basamento della chiesa ammirerai motivi in bassorilievo. Oltre alla citata iscrizione, in una parete vedrai le ‘orme dei pellegrini’, graffiti concentrati in particolari conci, eseguiti dai fedeli a testimonianza del loro passaggio. La chiesa è a navata unica, e accanto all’altare presenta una scalinata che conduce alla cripta. Qui percorrerai un corridoio, sul quale si collocano varie sepolture: ti resteranno impressi i resti dei mosaici pavimentali e degli affreschi absidali risalenti alla fase bizantina. Noterai anche un vano rettangolare, coperto da lastrine marmoree, ritenuto tradizionalmente l’ipogeo dove fu sepolto Lussorio a seguito del martirio.
Di fronte alla chiesa si dispone una schiera di cumbessias, piccoli alloggi destinati ad accogliere i pellegrini. Si animano ancora oggi durante la novena che accompagna la festa dedicata al santo, i cui riti iniziano per tradizione il giorno del martirio, il 21 agosto. Dopo la visita alla chiesa, immancabile una sosta alle terme di Forum Traiani. Costruite su sorgenti conosciute e venerate già dalla preistoria, furono sfruttate abilmente in epoca romana con la costruzione di un articolato complesso termale. Ne ammirerai ancora oggi l’architettura, con porticato, sale e vasche, tra cui l’affascinante Ninfeo.
San Gavino Monreale
È una cittadina di quasi novemila abitanti nel cuore del Medio Campidano, a circa 50 chilometri da Cagliari, sorta ai piedi del castello di Monreale. San Gavino si caratterizza per una struttura tipica dei centri agricoli, fatta di case grandi con ampi ingressi arcati e cortili spaziosi. Osserverai le tipiche architetture campidanesi tra aree verdi e gustando i sapori tradizionali (minestre, carni, pane di semola e squisiti dolci). Per approfondire la conoscenza, nel centro storico, ecco il museo sa Moba sarda che racconta con immagini e strumenti la cultura agricola caratteristica del centro sino agli anni Venti del XX secolo, quando iniziò l’industrializzazione. La fonderia di San Gavino ne è stata l’emblema e importante realtà economica. Ormai in disuso, è meta di appassionati di archeologia industriale.
Sin dal XV secolo il centro si è contraddistinto per la coltivazione di zafferano. La produzione di ‘oro rosso’ copre oggi gran parte di quella nazionale ed è esportato oltre confini. La lavorazione si tramanda nei secoli attraverso le generazioni e riecheggia ogni anno, per dieci giorni a novembre, con la Fiera internazionale dello zafferano. Vi potrai degustare le pietanze preparate con la preziosa spezia. Altro appuntamento da non perdere è il carnevale sangavinese, che ogni anno registra 50 mila presenze. Le sfilate allegoriche di domenica e martedì grasso sono tra le più belle dell’Isola. Tra le feste religiose si segnalano quelle di santa Chiara d’Assisi, a inizio agosto, di Santa Teresa, a settembre, di Santa Lucia, a dicembre. La più attesa e animata è la sagra patronale di san Gavino, cui è dedicata la chiesa al centro di Nurazzeddu, uno dei tre villaggi medioevali dalla cui fusione è sorto l’odierno centro. Anche il nome del paese deriva dal santo, cui fu aggiunto ‘Monreale’ sotto il dominio spagnolo, per la vicinanza col castello.
La chiesa di san Gavino martire, un tempo parrocchiale, fu realizzata nel 1347 per volontà di Mariano IV d'Arborea. Oltre ai resti dell’originaria struttura gotica, di grande interesse sono i quattro peducci dell’abside, dove lo storico Casula scoprì i ritratti coevi dello stesso Mariano, di suo figlio (ed erede) Ugone III, di sua figlia Eleonora e del marito Brancaleone Doria. La struttura esterna è sobria, l’interno è a navata unica. A metà Novecento è stato rinnovato il pavimento che, secondo leggenda, nasconderebbe i sepolcri degli ultimi sovrani arborensi.
Il territorio sangavinese frequentato sin dalla preistoria, ha restituito varie testimonianze romane, tra cui una necropoli e il peristillio di una villa.
Buggerru
Uno scenario di archeologia industriale che si affaccia su uno splendido litorale. Buggerru nasce da un borgo minerario fondato nel 1864. Oggi è un centro turistico, popolato da circa mille abitanti, un quinto rispetto a inizio XX secolo. L’attuale borgo, dove spicca la parrocchiale di San Giovanni Battista, è fatto di case disposte a ventaglio sullo scenografico sbocco a mare della valle del monte Caitas, un canale che ha dato nome alla miniera Malfidano, la più importante dell’epopea mineraria tra secondo XIX e inizio XX secolo, attiva sino al 1979: in poco più di un secolo Buggerru, conosciuta già dai romani per l’argento, ha prodotto più di un milione di tonnellate di zinco e 200 mila tonnellate di piombo. Il suo moderno porticciolo è sovrastato dall’uscita della Galleria Henry, oggi museo a cielo aperto, un tempo percorsa da un treno che trasportava il minerale estratto. A completare la tua conoscenza sul mondo minerario ecco il museo del Minatore, i resti di pozzi e macchinari, villaggi e sentieri, le residenze e i palazzi della direzione. C’erano allora elettricità, ospedale, scuole, librerie e un teatro. Era chiamata petite Paris per l’ambiente ricreato dai dirigenti (e familiari) della società francese titolare dell’attività estrattiva. I minatori, però, vivevano in condizioni disumane. Nel 1904 il primo sciopero. Per risposta l’esercito sparò sugli operai: tre morirono, tanti i feriti. Era il 4 settembre, resterà come giorno dell’Eccidio di Buggerru. Fu la prima rivolta sindacale, alla quale seguì il primo sciopero generale in Italia. In paese sono esposte le sculture di Pinuccio Sciola dedicate ai caduti.
Nei dintorni del paese c’è un suggestivo tratto di costa, delimitata a nord da Capo Pecora e Portixeddu. A sud, a due chilometri dal paese, c’è la splendida insenatura di Cala Domestica, un gioiello incastonato tra falesie calcaree: in fondo a un fiordo sorvegliato da una torre spagnola (XVIII secolo), troverai una spiaggia di sabbia soffice dai colori tra bianco, ambrato e dorato. Qui fino al 1940 venivano imbarcati i minerali estratti nelle miniere di Masua. Davanti, si affaccia un mare tra i più belli della Sardegna. Alla destra del porto, spunta la spiaggia di Buggerru, sabbia morbida bagnata dal mare azzurro. A nord troverai le dune sabbiose di San Nicolò, alle cui spalle spunta una rigogliosa pineta, ideale per escursioni in mountain bike. Le spiagge si chiamano Is Compingius (i pini) e Is Compingieddus (piccoli pini). Da segnalare anche la Grotta Azzurra, i faraglioni di punta Nido dell’Aquila e tante falesie alte oltre cento metri, perfette per il climbing. Tra giugno e luglio, non perderti la sagra del Pesce e dei ricci di mare.
Mura e torre di Mariano
Era nota in origine come de Port’e Ponti, perché conduceva al ponte sul Tirso, poi i documenti la definiscono ‘di san Cristoforo’, perché custodiva un retablo del santo. La torre di Mariano, originariamente saldata alla cinta muraria cittadina, si erge oggi isolata al centro di piazza Roma a Oristano, traccia evidente delle fortificazioni andate perdute. È datata con precisione al 1290, come testimonia l’iscrizione incisa sopra l’arco a sesto acuto, dal quale al tramonto, nel Medioevo, era calato un portone a saracinesca per chiudere l’ingresso alla città. Ogni anno, la domenica e il martedì di Carnevale, in occasione di uno degli eventi identitari più attraenti e affollati della Sardegna, sa Sartiglia, la torre è punto di passaggio obbligato e suggestivo per i cavalieri impegnati nella giostra equestre.
La torre di Mariano era la porta d’accesso settentrionale a Oristano: fu costruita, insieme alle mura cittadine, da maestranze pisane in blocchi di arenaria riciclati dall’antica città di Tharros - della quale Oristano è diretta discendente - per volontà del giudice Mariano II. Sulla costruzione originaria di fine XIII secolo, intervenne poi ad apportare modifiche la Corona d’Aragona. È alta in tutto 28 metri e composta da due edifici sovrapposti, entrambi a pianta quadrata. Il primo fabbricato, alto 19 metri con lati di 7 e mezzo, sovrastato da cinque merli guelfi per ogni lato, ha tre piani: nel primo si aprivano due porte collegate al camminamento di ronda. Noterai anche due feritoie, mentre altre tre si aprono al secondo piano. Il terzo piano è base per il secondo edificio, una torretta di quasi 10 metri con tre merli guelfi per lato. Qui si apre un fornice a tutto sesto dove è stata posta nel 1430 una campana in bronzo.
La torre è la più significativa eredità della cinta muraria, che percorreva tutto il perimetro dell’allora Aristanis, capitale del giudicato d’Arborea. Era interrotta da due porte a protezione delle quali c’erano, oltre alle torre di Mariano a nord, quella di san Filippo, a sud, crollata nel 1872. Le fortificazioni, alte circa sei metri, dividevano l’abitato in contrade. Restano in piedi anche la torre di Portixedda e pochi ruderi nelle vie Cagliari, Mazzini, Solferino e nell’asilo Boy. Per completare il tour storico-artistico della città, fai visita al museo Antiquarium Arborense, dentro il palazzo Parpaglia, e alle chiese neoclassica di san Francesco, gotica di santa Chiara e alla cattedrale di santa Maria Assunta (1130).