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Noragugume

Adagiato a 300 metri d’altitudine su dolci colline, domina la piana di Ottana tra il lago Omodeo e la catena del Marghine, sovrastata a sua volta dall’imponente massiccio del Gennargentu. Noragugume è un paesino di poco più di 300 abitanti, dedito prevalentemente all’allevamento, che fa parte dei borghi autentici d’Italia. Il nome deriverebbe da un nuraghe a forma di pentola che si ergeva vicino al centro. Le origini del borgo sono preistoriche mentre l’attuale abitato, ordinato e ornato da murales, risale al XV secolo con al centro la chiesetta di santa Croce, consacrata nel 1593. Oltre alla moderna parrocchiale di san Giacomo – patrono festeggiato a fine luglio - altre due chiese sono di notevole rilevanza: in periferia l’antica chiesa campestre di san Michele e nella piazza centrale la Beata Vergine d’Itria, d’impianto gotico-catalano (1623). La festa della Madonna d’Itria, il martedì di Pentecoste, è la più sentita in paese, accompagnata da un’ardia, corsa al galoppo attorno al santuario, forse risalente a quando il paese era diviso in rioni e i cavalieri, che li rappresentavano, cercavano di conquistare il drappo della Vergine. A fine giugno c’è san Giovanni e a fine ottobre s’Izzadorzu, celebrazioni accompagnate da eventi folcloristici, gare poetiche in logudorese e degustazioni di ricette della tradizione pastorale. La carne di pecora bollita e d’agnello arrosto o in umido sono protagoniste, accostate patate, piselli e finocchietto selvatico. Con le interiora d’agnello o capretto sono preparate cordula e trattalia. Ampia la varietà di pane, da quelli di tutti i giorni, tra cui su bistoccu, a quelli elaborati per le ricorrenze. A ogni festa è abbinato un dolce: frisciolas, pasta violada e culinzones de mendula per carnevale, casadinas al formaggio e tiliccas (sapa, mandorle e miele) a Pasqua, pabassinos (mandorle, noci e uvetta) e santos de tuccaru per Ognissanti.

Il territorio di Noragugume è stato popolato sin dal Neolitico, come testimoniano, oltre a reperti prenuragici, le domus de Janas di Taleri e Iscannitzu e il menhir sa Pedra ‘e Taleri, di tipo proto-antropomorfo, databile 3300-2500 a.C., che emerge isolato e imponente (alto quattro metri e mezzo) su un’area pianeggiante. Numerosi i nuraghi, tra cui l’Irididdo con torre centrale e due laterali, Muresune e Litzera. Il più famoso è nuraghe Tolinu, in posizione dominante su un altopiano a due chilometri dal paese. La struttura, risalente al Bronzo medio e rimaneggiata in fasi successive con uso fino a età storica, è complessa con bastione e torre centrale ben conservati. Attorno si intravede l’insediamento abitativo.

Silanus

Si issa a quasi 500 metri d’altezza, al centro della catena del Marghine, in un fertile territorio, coltivato a cereali, orzo, olivi, viti e alberi da frutta. Popolato da oltre duemila abitanti e noto per la concentrazione di ultracentenari da record mondiale - ben sette in contemporanea nei primi anni Duemila! - Silanus fa parte dei borghi autentici d’Italia grazie a natura, tradizioni e monumenti del passato. Il centro si basa su attività agropastorali e artigianato, specie lavorazione di tappeti e preparazione di dolci e pani, che ammirerai e assaggerai nella mostra dei pani e dei dolci tradizionali tra maggio e giugno. Ricca è anche la produzione di formaggi: pecorino, ricotta e casizzolu. Nella prima metà maggio la sagra de su ischidu è occasione per gustare le ricette della tradizione pastorale e premiare il miglior prodotto caseario. La manifestazione si svolge nel sagrato del complesso di santa Sabina, che comprende un nuraghe monotorre con villaggio attorno (1600-1000 a.C.), la tomba di Giganti di Pedra pinta, un pozzo sacro coperto a tholos e la chiesa di santa Sabina, costruita nell’XI secolo su un precedente edificio bizantino, tutt’oggi meta di pellegrinaggi. È una delle architetture sarde altomedioevali più significative e documenta la continuità sacra del luogo. Nella seconda metà di settembre vi si celebra una famosa novena, accompagnata dai gosos (canti liturgici), analoga a un’altra novena della prima metà del mese nella chiesa di san Bartolomeo (santu Portolu). Altro edificio antichissimo è la chiesa di san Lorenzo, costruita nel 1150 nell’allora Sjlano (attuale periferia del borgo), in dipendenza di un’abbazia benedettina. Le pareti interne conservano affreschi trecenteschi. Il martire è celebrato nella prima metà di agosto con processione capeggiata dalle bandelas (stendardi), spettacoli e gara poetica. Dietro la chiesa vedrai alcuni betili rinvenuti nella tomba di Giganti sa Pedra Longa e nel maestoso (e ben conservato) nuraghe Corbos. Notevoli testimonianze nuragiche sono anche i nuraghi Madrone e s’Ulivera e le tombe Pedras Doladas, Zanchia e Murartu. Accanto a San Lorenzo troverai una cava di calce, ancora oggi risorsa silanese: qui forse sorgeva un’antenata città romana. Risale al 1582 la chiesa gotico-catalana di sa Maddalena, celebrata a fine luglio. Di notevole fascino sono anche due chiese del XVII secolo: Nostra Signora d’Itria, al cui interno ammirerai le statue in legno policromo della Vergine (XVI secolo) e di vari santi, e la chiesa di santa Croce. La parrocchia è dedicata a sant’Antonio abate, festeggiato a metà gennaio con fuochi, processione e degustazioni. L’evento segna l’inizio del carnevale silanese, suggestivo così come la Settimana Santa. La parrocchiale è teatro nel periodo natalizio di una rassegna di canti polifonici. Mentre ogni due anni si svolge la rassegna dei canti a Tenores, ‘settimana di cultura popolare’ con partecipazione di cori di tutta la Sardegna. Da segnalare anche il premio giornalistico Funtana Elighe e la manifestazione Nois, che ti porterà alla scoperta del borgo attraverso mostre temporanee di fotografia.

Morgongiori

Si adagia sul versante sud del parco del monte Arci, ‘gioiello’ naturalistico, che in parte ricade nel suo territorio. Morgongiori è un piccolo centro dell’alta Marmilla di circa 800 abitanti, circondato da colline ammantate di querce e lecci secolari, percorse da una miriade di rivoli d’acqua e circondate da aspre pareti rocciose modellate dal tempo, tra cui la Conca Mraxi (testa del guerriero). È la ‘città delle pietre’: case in trachite e basalto, adornate da portali ad arco, con cortile e loggiato caratterizzano il centro storico. Si addensano attorno alla parrocchiale di santa Maria Maddalena (1673). La chiesa custodisce un archivio documentale del paese. Lungo i sentieri dell’Arci giungerai alla chiesetta di santa Sofia. Attorno sorgeva un villaggio medioevale abbandonato per le incursioni saracene. Santa Suia è festeggiata a metà ottobre, mentre a metà maggio si celebra la festa degli agricoltori. Per la processione, cavalli e buoi sono addobbati con le gutturadas, collari in tessuto. Morgongiori è noto per l’artigianato tessile: su antichi telai orizzontali è stato realizzato un patrimonio di tappeti, arazzi e bisacce conservato nel museo vivente dell’arte tessile (Muvat), dove donne del paese danno dimostrazioni dal vivo. Ad agosto si tiene la mostra dell’arazzo e del tappeto. L’esclusiva specialità gastronomica locale sono le lorighittas, pasta fresca a forma di anello (loriga), cui a inizio agosto è dedicata un’attesissima sagra.

La vetta del monte Arci è sa Trebina Longa (812 metri), uno dei neck (condotti vulcanici fossili) che spiccano in cima all’incantevole massiccio. Passeggiando lungo i sentieri del parco (o percorrendoli in mountain bike) ammirerai la pineta di is Benas, sorgenti, cascate, grotte e pareti rocciose adatte al clean climbing. Un’oasi popolata da cavallini selvatici, donnole, martore e sorvolata da poiane e falchi. Al verde si alternano i colori di basalto, trachite e ossidiana, nella preistoria ‘oro nero’ dell’Isola, minerale lavorato e commercializzato in tutto il Mediterraneo. In paese troverai il centro di documentazione ambientale, che illustra ricchezze geologiche e culturali del parco. La fertilità della terra ha da sempre favorito l’attività agricola e sin dalla preistoria, insieme all’ossidiana, attratto popoli, come mostrano decine di siti archeologici. In località Prabanta ammirerai il menhir su Furconi e due domus de Janas, sa Sala e su Forru, monumenti neolitici (3200-2800 a.C.) legati a Luxia Arrabiosa, personaggio dell’immaginario popolare. Nel tragitto per is Benas vedrai, oltre a tombe romane, s’Omu ‘e s’Orcu, uno dei nuraghi più noti della zona insieme a Trunku de is pillonis, cui è associata una tomba di Giganti. Vicino al paese c’è sa Domu ‘e is Caombus, vasta fenditura nella roccia da cui parte una scala in basalto, immersa nel buio: portava a un tempio ipogeico nuragico detto sa Scala 'e Cresia (la scala della chiesa).

Scintille di fuoco nelle notti di metà gennaio

Sant’Antonio discese negli Inferi per rubare una scintilla e donarla all’Umanità. È una leggenda, ma dalla notte dei tempi si ringrazia il santo per questo dono vitale accendendo in suo onore enormi falò all’imbrunire del 16 gennaio: ci si raccoglie intorno e ogni comunità dà vita al proprio rituale. In alcuni paesi il rito si ripete nella serata del 20 con spettacolari falò in onore di San Sebastiano. I fuochi incitano le anime a danzare, prima con movimenti simili a sussulti, poi la festa si vivacizza all’aumentare del crepitio dei rami infuocati, la musica di launeddas e fisarmoniche accompagna balli e canti corali, cibo e vino sono offerti agli ospiti: fave con lardo, coccone, pistiddu, dolci di sapa, mandorle e miele. La magia si ripete anche nel 2024: sacro e profano tornano a mescolarsi in un rito collettivo che rinsalda i legami delle comunità e funge da auspicio per un’annata prospera.

Sud

Nuraminis

Si distende in una piana punteggiata da modesti e isolati rilievi calcarei abitati sin dalla preistoria. Nuraminis è un paese di duemila e 600 abitanti del sud Sardegna, di tradizione cerealicola, ribadita dalle sagre del cereale a metà giugno e della semina a mano a dicembre. Il suo territorio è caratterizzato da rare formazioni geologiche, che raggiungerai attraverso percorsi in mountain bike o a cavallo, mete anche di appassionati di climbing. Spiccano le cupole laviche di monte Leonaxi, i fossili di Genna Siustas e monte Matta Murroni e la cuesta calcarea di Coa Margine, noto come calcari di Villa Greca. Il monumento naturale è una dorsale rocciosa di un chilometro, residuo di una scogliera corallina, che balza agli occhi rispetto al paesaggio attorno. I siti geologici mostrano anche eredità archeologiche. Sulla sommità di Matta Murroni ammirerai strutture murarie megalitiche, vicino alla vetta della cuesta i resti de sa Corona, protonuraghe del III millennio a.C., unicum tra le architetture preistoriche. Ai piedi del Leonaxi c’è un sito pluristratificato (nuraghe ‘a corte’ o complesso fortificato), con strutture murarie realizzate grazie a sovrapposizione di tecniche differenti. Altra area ‘a più strati’ è Santa Maria, abitata dal III millennio a.C. all’alto Medioevo, dove vedrai resti di un villaggio, un sepolcreto, un pozzo sacro e resti di un luogo di culto cristiano. A Genna Siutas c’è Funtana ‘e Siutas, costituita da quattro grandi lastroni, con un foro per prelevare l’acqua, e da una scala d’accesso alla vasca. A 500 metri di distanza ecco il complesso di Serra Cannigas, un nuraghe a corridoio associato a uno a tholos cui si aggiunge una struttura fortificata che sfrutta la roccia su cui poggia per creare un terrazzamento artificiale. Nel versante orientale affiorano tracce di capanne. I reperti mostrano una frequentazione plurimillenaria. Da due sepolture a fossa nello stesso colle sono venuti alla luce vasetti, fusaiole e ornamenti in rame esposti al museo archeologico nazionale di Cagliari. Su un altro rilievo si trova il complesso nuragico detto Nuraxi, con villaggio annesso. Testimonianza neolitica è sa Grutta, grande grotta dove si aprono cavità minori con caratteristiche di domus de Janas.

Di grande valore architettonico è la parrocchiale di san Pietro apostolo, costruita in forme gotico-catalane poi rimaneggiate, che conserva originali il campanile (alto trenta metri) e la volta stellare dell’abside. Di pregio storico sono nicchie e frammenti marmorei bizantini. Presbiterio e cappelle laterali conservano altari lignei e marmorei, statue e dipinti, tra cui un retablo dei misteri del Rosario (XVII secolo). Altrettanto suggestiva, a Villagreca, è la chiesa di san Vito martire del IX secolo, rara architettura bizantina nell’Isola, ristrutturata nel XVIII in stile catalano. Custodisce un cinquecentesco ‘Crocifisso doloroso’, proveniente dalle Fiandre, e due altari, ligneo e marmoreo, settecenteschi,. In campagna c’è la chiesetta romanica di san Lussorio martire, forse costruita nel XII secolo dai monaci vittorini.

Ollastra

Dal 1928 al 1946 fu frazione del vicino paese di Simaxis, che costituiva anche parte del suo nome: soltanto nel 1991 da Ollastra Simaxis divenne l’attuale Ollastra. È un piccolo centro agricolo di mille e 200 abitanti al confine tra Campidano di Oristano, da cui dista 16 chilometri, e rilievi dell’entroterra, attraversato in epoca romana dalla via Maxima. Il toponimo deriva da ollastu, ossia olivo selvatico, albero che ricopre un territorio particolarmente fertile, attraversato dal Tirso, il fiume più grande dell’Isola. La parte pianeggiante del territorio, grazie anche alla diga Santa Vittoria, è coltivata in gran parte a vigneti, agrumeti, carciofaie e orti. Alcuni terreni sono destinati a cereali. A nord-ovest gli olivastri sono stati sostituiti dagli ulivi, dai quali si ottiene olio di ottima qualità. A sud-ovest l’antica palude Arcais, bonificata, è coltivata a risaie. Conseguentemente l’economia è soprattutto agricola, anche se hanno spazio anche allevamento e artigianato con produzione di tappeti e cestini. Tra le specialità spiccano vernaccia, dolci alle mandorle e formaggio.

Attorno all’abitato, che nel centro storico presenta case in mattoni di terra cruda (ladiri), spuntano colline, fra cui la più alta è il monte Ollastra, omonimo del paese (380 metri). È forato da due grotte, s’Arutta e ‘conca e’ mesu e s’Arutta e’ margini figu. In zona San Martino domina la macchia mediterranea. I santuari più importanti sono lontani del centro. La chiesa di san Marco è su una piccola altura in periferia, costruita nel XIII secolo su un terreno donato ai camaldolesi, fu ampliata nel XVI con l’aggiunta di due navate laterali. La copertura a capanna è realizzata con canne intrecciate sorrette da travi in legno (s’urriu), secondo un metodo antico. Il 25 aprile c’è la fiera intitolata al santo, tradizionale rassegna zootecnica che si svolge dal 1839. In suo onore si svolge anche la corsa de su pannu con partecipazione di cavalieri di tutta la Sardegna. San Costantino è su una collinetta vicina al paese. Per la sua costruzione sono stati utilizzati i ruderi della vicina chiesa di Santa Vittoria. Al Seicento risale la chiesa di san Sebastiano, in onore del quale il 20 gennaio si accende un falò in piazza, dove si riuniscono tutti gli abitanti in festa. Più antica è Santa Severa, edificata nel secondo XV secolo.

Grazie alla fertilità, il territorio è stato popolato sin dalla preistoria. Attorno al 550 a.C., quando la civiltà nuragica stava tramontando, il paese era al centro di un’area circondata da vestigia di numerosi nuraghi, tra cui Accas, s’Orco e San Perdu e da piccoli insediamenti abitativi di capanne in argilla e paglia.

Pabillonis

Si adagia nel Campidano centro-settentrionale, vicino alla confluenza di Flumini Mannu e Flumini Bellu, in un territorio argilloso che ne ha caratterizzato storia ed economia. Pabillonis è un centro di quasi tremila abitanti, legato a tradizioni agricole e artigiane, in particolare produzione di cestini e lavorazione della terracotta per dare vita a tegole, mattoni, tegami e sciveddas (conche lisciate e smaltate). Da secoli è noto come bidda de is pingiadas, paese delle pentole: la qualità dei prodotti è garantita da sapienza dei ‘maestri’ ceramisti e qualità delle materie prime disponibili nei terreni paludosi attorno. L’abitato si sviluppa intorno alla chiesa di san Giovanni battista, il più antico fra gli edifici di culto (XII secolo), in stile romanico. La nascita del santo è celebrata a fine giugno, la morte a fine agosto con i tradizionali carrus de s’àlinu (carri a buoi addobbati).

La chiesa con più testimonianze artistiche è la parrocchiale della beata Vergine della Neve (XVI secolo): custodisce affreschi, tabernacolo ligneo del XVI secolo, parte dell’altare ligneo del XVIII e un organo del XIX, oltre a statue e oggetti sacri di valore. La patrona è festeggiata a inizio agosto. Le celebrazioni paesane si aprono a metà gennaio con i fuochi di sant’Antonio abate e si chiudono il 31 dicembre con su Trigu cotu (grano cotto): si passa per le case distribuendo del grano cotto con la sapa diluita nel miele, come augurio di buon auspicio per il nuovo anno.

Nei documenti di pace tra Aragona e giudicato d’Arborea (1388), il paese è citato come Paviglionis e Panigionis, dal latino pavilio (in sardo pabillone), ovvero accampamenti militari a difesa dei confini del giudicato, cui il villaggio apparteneva. In origine l’abitato sorgeva in località San Lussorio, dove oggi affiorano i ruderi del villaggio distrutto dalle incursioni saracene e sorge una chiesetta degli anni Sessanta del XX secolo. Sotto il santuario giacciono resti del complesso nuragico di Santu Sciori, composto da un bastione polilobato, di cui vedrai i ruderi delle torri antemurali, e usato nel Medioevo come area sepolcrale. È testimonianza delle antiche origini del paese, insieme a su Ponti de sa baronessa, ponte romano ancora in piedi. L’età nuragica ha lasciato altre tracce nel territorio: i ruderi dei nuraghi Surbiu e Domu ‘e Campu, e soprattutto il Nuraxi Fenu, a tre chilometri dal paese. Gli scavi hanno portato alla luce cocci di vasi, lanterne e monete romane che testimoniano la frequentazione fino a età imperiale, oggi custoditi nel museo archeologico di Sardara. Il nuraghe complesso, risalente al Bronzo medio (1600-1300 a.C.) e definito dallo storico Vittorio Angius (XIX secolo) “uno de’ più colossali dell’Isola”, si estende per duemila metri quadrati.

Palmas Arborea

Si adagia dolcemente in pianura, dominato a oriente dal massiccio vulcanico monte Arci e affiancato a occidente dallo stagno Pauli Majori, a pochi minuti dalle incantevoli spiagge della penisola del Sinis. Palmas Arborea è un paese di quasi mille e 500 abitanti del Campidano di Oristano, da cui dista circa dieci chilometri, basato prevalentemente su allevamento e coltivazione di carciofi, agrumi e viti. Il paese ha origini medioevali: intorno al mille sorgevano tre piccoli borghi, Palmas Majori e Palmas de Ponti furono abbandonati già dal XV secolo, Villa de Palmas ha conservato continuità storica e ricade nell’attuale abitato. In origine il nome era solo Palmas – dovuto al gran numero di palmeti che la circondano -, nel XIX secolo fu aggiunto anche Arborea per evitare confusioni con un’altra Palmas (di San Giovanni Suergiu). Nel centro storico vedrai case in mattoni di terra cruda che si dispongono attorno alla parrocchiale di sant’Antioco, celebrato più volte durante l’anno. Ai festeggiamenti di aprile sono associate le Pariglie palmaresi, appuntamento che prevede sfilata a cavallo accompagnata da gruppi folk e corsa de is tre aneddus, dove i cavalieri devono infilzare tre anelli e poi si esibiscono in acrobazie. Alle celebrazioni di luglio si unisce una rassegna di ballo sardo. A novembre si commemora la scomparsa del martire e si svolge un’imperdibile rassegna micologica con mostra e degustazione di funghi.

I paesaggi attorno al borgo, multiformi e dalle mille tonalità, regalano momenti suggestivi. Le calme distese d’acqua del Pauli Majori, paradiso degli appassionati di birdwatching, ospitano pollo sultano, airone rosso e gobbo rugginoso, mentre la flora si caratterizza per splendide orchidee. È una delle zone umide più importanti d’Italia. Nel parco del monte Arci, il maggior giacimento di ossidiana dell’Isola, farai un viaggio a ritroso di otto mila anni, durante i quali vari popoli mediterranei giungevano in Sardegna, lasciando loro tracce, alla ricerca del minerale - ‘oro nero’ del Neolitico -, abbondante nelle sue falde e usato per costruire armi e utensili preistorici. Le testimonianze vanno dal Neolitico recente a circoli megalitici di età nuragica. Il mantello del massiccio è formato da colate di lava basaltica, mentre l’ossatura interna è di trachite. I condotti vulcanici culminano in tre punte (la più alta è di Trebina Longa, 812 metri), che evocano l’immagine di un treppiede. Un abito verde di lecci e macchia mediterranea, con sprazzi di sughere e roverelle, ricopre il monte, compresa, nel territorio di Palmas Arborea, la foresta di sa Dispensa, 150 ettari, popolati da donnole, martore e rapaci (astori, gheppi, poiane e sparvieri).

Pauli Arbarei

Sorge in un’area pianeggiante nel cuore della Marmilla, sulla sponda sinistra di un’ex palude, prosciugata a fine XIX secolo, un territorio dove si alternano armoniosamente fertili pianure e dolci colline. Pauli Arbarei è un paesino di 650 abitanti di tradizione agropastorale, che in passato ha basato il suo sviluppo sulla produzione cerealicola e oggi mette in mostra le sue eccellenze enogastronomiche, specie formaggi e carni, che potrai assaporare anche in occasione di un’antichissima sagra della pecora, a metà maggio in concomitanza con la festa di Sant’Isidoro. Al protettore degli agricoltori è consacrata anche una processione con buoi aggiogati, cavalli, carri agricoli e trattori adornati a festa.

Al centro del paese, tra le tipiche costruzioni in pietra locale e ladiri, sorge la parrocchiale di San Vincenzo diacono, edificata a metà XVII secolo in stile rinascimentale. Custodisce pregevoli opere d’arte come il Crocifisso ligneo seicentesco con dettagli damaschinati in estofado de oro. Il patrono è celebrato a fine gennaio, la festa culmina con un rito ancestrale: su fogadoni, l’accensione di un falò. A fine agosto si celebra la festa più importante, in onore di Sant’Agostino, cui è dedicata una chiesa risalente al 1421: tre navate con copertura lignea e archi a tutto sesto e facciata arricchita da un portale ogivale incorniciato da colonne.

Nel centro storico spicca anche il museo etnografico della donna, dotato di strumenti multimediali, nel quale è raccontata la storia del paese attraverso la testimonianza delle donne che descrivono le attività tradizionali: dalla tessitura ai telai ai lavori nei campi, dalla panificazione alla devozione. L’esposizione è suddivisa raccoglie una nutrita collezione di oggetti, arredi, tessuti e artigianato artistico. Un’altra esposizione etnografica è sa Tellaia, con oggetti tipici della cultura contadina e dell’antica cucina sarda.

Lo splendido scenario naturalistico di Pauli è impreziosito da una decina di eredità nuragiche (alcune ancora da indagare), tra cui spicca il nuraghe trilobato Bruncu Mannu. La sua estensione fa intuire la presenza di una numerosa comunità lungo le vie di accesso alla Giara. Dagli scavi sono emersi bronzi e ceramiche decorate, in parte esposte al museo archeologico di Cagliari. Nelle campagne del paese, spuntano spesso ‘nuove’ testimonianze archeologiche: pietre lavorate, resti di nuraghi semisepolti e nascosti tra i rovi e un pozzo sacro di forma triangolare.

Romana

Si staglia a meno di 300 metri d’altezza su un ampio tavolato di rocce vulcaniche e calcaree, in un territorio prevalentemente pianeggiante, ricco di testimonianze preistoriche. Romana è un paese di circa 500 abitanti del Meilogu-Logudoro, attorniato da paesaggi carsici, come la grotta Inghiltidolzu nella vicina valle di santu Giagu, e attraversato dal Temo, che sfocia nel lago artificiale vicino a Monteleone Rocca Doria. Il territorio abbonda di sorgenti d’acqua. Nei dintorni del paese sono state ritrovate statue, che secondo gli studiosi, erano un voto offerto da persone affette da malattie e guarite grazie alle proprietà benefiche delle acque dell’antica fonte di Abbarghente, usata sin da età nuragica e poi in epoca punico-romana.

All’interno dell’abitato sorgono la parrocchiale della Madonna degli angeli, patrona festeggiata a inizio agosto, e la chiesetta romanica di santa Croce. Nella campagne attorno ci sono il santuario di san Lussorio, all’interno di una grotta, celabrato a fine luglio, e la seicentesca chiesa di santa Maria de s’Ispidale, dedicata alla Madonna della salute. Altre celebrazioni sentite sono in onore di san Giovanni Nepomuceno, a metà maggio, e sant’Antonio da Padova, a metà settembre

Il territorio è ricco di insediamenti nuragici, tra cui i nuraghi Montigu, Chiechrios, Pabirra e Santu Giagu.