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Sud

San Sebastiano

Al centro del lago, su un isolotto, si erge la chiesa di san Sebastiano che si specchia nell’acqua generando un suggestivo panorama con giochi di luci e colori. Dall’edificio di culto il bacino prende nome: lo potrai raggiungere a nuoto o in canoa per scoprire quanto c’è di vero in antiche leggende che la riguardano.

Il lago di san Sebastiano, nel territorio di Isili, è formato dalla diga di is Barrocus che sbarra il fiume Mannu. Nelle sue acque, nelle rive e nei dintorni potrai praticare pesca sportiva, canoa, arrampicata ed escursioni. A contorno c’è il percorso del Trenino Verde, che costeggia il lago e prosegue sino a Sorgono. La vecchia linea ferroviaria, invece, che portava verso il Medio Campidano, ora in disuso, è perfetta per trekking e mountain bike.

San Sebastiano è alimentato anche dal rio Corrigas: sulle sue rive si ergono imponenti falesie, formatesi circa 23 milioni di anni fa, quando gran parte della Sardegna era ancora sott’acqua. Appassionati dell’arrampicata sportiva arrivano qui da tutta Europa e scalano pareti a strapiombo che presentano oltre trecento ‘vie’ chiodate con vari gradi di difficoltà. Anche free climber professionisti di livello internazionale scelgono le rocce calcaree della zona di is Barroccus, frequentate tutto l’anno, in particolare quelle di su Pizzu ‘e Nedda, che si innalzano in una stretta gola e formano suggestivi canyon.

Il territorio di Isili è fatto di dolci declivi coltivati e pianeggianti e fertili campagne. Qua potrai percorrere itinerari naturalistici a piedi, a cavallo o in bici e troverai innumerevoli tracce preistoriche: menhir, tombe megalitiche, domus de Janas e ben 48 nuraghi, fra cui spiccano Is Paras, Atzinnara e Nuraxi Longu. Ci sono anche i resti di insediamenti punici e romani, in particolare due arcate di un ponte sul rio Brabaciera risalente al II-III secolo d.C. Da non perdere il centro storico del paese con chiese dall’alto valore artistico e il museo per l’Arte del Rame e del Tessuto, unico in Sardegna. Non mancare in occasione di Bistiris e Prendas, manifestazione dove sfilano 400 costumi tradizionali provenienti da tutta l’Isola.

Monastero delle Carmelitane

È stato definito “meraviglioso miracolo della Divina Provvidenza”. Sull’isolato e silente colle di Cuccullio, a tre chilometri da Nuoro, sorge maestoso il monastero delle Carmelitane Scalze, realizzato su un progetto di Savin Couelle per ospitare 24 monache. L’architetto francese fu uno dei ‘progenitori’ della Costa Smeralda, che non abbandonò la Sardegna ma volle sdebitarsi ulteriormente dell’ospitalità disegnando (di sua sponte) un altro capolavoro. La mole del complesso claustrale si eleva come una castello su un monte, grandiosa all’esterno, poetica dentro.

L’impressione di una fortezza monolitica e austera svanirà quando varcherai l’ingresso e resterai estasiato dalla suggestione che il geniale Couelle ha saputo infondere, prediligendo povertà di materiali ed eleganza di forme e linee. Il risultato è un’architettura in movimento, fatta di rimandi, simbolismi e giochi di luce. Nell’opera sono racchiusi messaggi teologici come annientamento di Cristo e umiliazione profonda della Croce. Mentre la cupola ottagonale che chiude il santuario, è simbolo dell’ottavo giorno, quello di risurrezione e nuova creazione. Tutta l’opera ha uno sviluppo estremamente verticale: entrato in chiesa, scenderai fino a raggiungere l’altare, il punto più basso, mentre risalirai verso il catino, punto sommo dell’abside. Il tutto a simboleggiare l’Ascensione. Tutto l’edificio ha saliscendi a rappresentare le asperità della vita. Il tabernacolo incuneato nella roccia, invece, è un richiamo alla natura circostante Nuoro, così come la presenza di una conchiglia gigante - proveniente dalle Mauritius - rievoca il mare e l’Isola. La statua lignea della Vergine Maria - da cui la consacrazione alla Mater Salvatoris – proviene dagli Stati Uniti. È mutilata e bruciata, perché risale alla Rivoluzione francese, quando i Giacobini, in segno di disprezzo, mutilavano i simulacri religiosi. Nelle pareti laterali quattro piccole croci di bronzo indicano la data di consacrazione: 29 maggio 1994.

Museo Archeologico di Olbia

La storia di Olbía, in greco ‘felice’, del suo porto e delle sue millenarie stratificazioni culturali. Sull’isolotto Peddone, a pochi passi dal porto vecchio, il museo archeologico di Olbia, città principale della Gallura, espone una rassegna completa delle civiltà sviluppatesi in Sardegna. A simboleggiare sua posizione sul mare e ruolo svolto dalla città portuale nella storia, il museo ha forma di una nave ormeggiata con finestre circolari e passerelle sospese. L’esposizione, dedicata a porto e città, ripercorre le epoche fenicia, greca, punica, romana, medioevale, moderna e contemporanea.

Il percorso museale si articola su due piani. Nella prima sala del pianoterra troverai timoni e alberi di navi autentici e la ricostruzione di due relitti di navi onerarie andate a fuoco durante l’attacco dei Vandali (450 d.C. circa). Rivivrai ‘dal di dentro’ l’incursione, nella quarta sala, con affondamento di undici navi, che decretò la fine dell’Olbia romana, grazie a una suggestiva proiezione. Secondo e terzo ambiente mostrano altri resti del porto, tra cui il relitto di un’imbarcazione medievale, unica in Italia. Un plastico del porto nel II secolo d.C. è ospitato nell’ultima sala del piano. La prima sala del piano superiore documenta età prenuragica e nuragica, insediamento fenicio (750 a.C.) e quello greco-focese (630-520 a.C.), durante il quale Olbia era l’unico porto greco del Mediterraneo occidentale. Negli scavi sono state rinvenute, non a caso, reliquie greche. La seconda è dedicata a dominio cartaginese, simboleggiato dalla stele di granito con la dea Tanit, e passaggio a quello romano. La terza sala ospita terrecotte, corredi funebri e anfore risalenti al passaggio da punici a romani, mentre quella successiva documenta la piena ‘romanizzazione’ (da metà I sec. a.C.) Vedrai sculture come le teste di Domiziano, Domizia e quella straordinaria di Ercole, principale divinità cittadina. La quinta sala racconta rapporti tra Olbia romana e Mediterraneo, nonché il traumatico avvento dei Vandali. Tra i reperti spiccano lucerne, monete, anelli, collane e una statuetta egizia di Osiride. L’ultima sala è dedicata a età bizantina, con la città ridotta a borgo, e successive: capitale del giudicato di Gallura, età aragonese-spagnola (col nome ‘Terranova’), piemontese, unitaria e postunitaria.

Crateri vulcanici del Meilogu

Il colle Santu Bainzu di Thiesi con due piccole cime di eruzione, i monti quasi ‘gemelli’ Pabulena di Ploaghe e Ruju di Siligo, l’affascinante monte Annaru-Pòddighe di Giave e il profilo tabulare del monte Pèlao che copre il territorio di vari Comuni logudoresi. Una serie di cinque crateri si ergono solitari occupando oltre ventimila metri quadri della provincia di Sassari. Sono divenuti monumento naturale protetto nel 1994 e, insieme ad altri coni vulcanici – tra cui i monti Cuccureddu di Cherémule e Oes di Torralba - costellano la regione storica del Logudoro-Meilogu. Una terra di vulcani spenti, un paesaggio insolito e unico: coni vulcanici e colate laviche le danno una conformazione peculiare, con piccole alture a volte aguzze, a volte arrotondate e talvolta tagliate da tavolati pianeggianti.

Il monte Annaru-Pòddighe è il più caratteristico. Alto quasi 500 metri, presenta il cratere pressoché intatto. Da qui è effusa la lava che, solidificatasi e sedimentatasi, ha dato origine all’ampio tavolato a nord-est di Giave. Lo vedrai isolato, meta ideale per escursioni, soprattutto in autunno e inverno quando nel cratere si forma un piccolo lago. Nei mesi caldi potrai scendere all’interno del cratere: sulle pareti, profonde 50 metri, osserverai la struttura originaria. A sud del monte troverai sa Pedra Mendalza, un condotto vulcanico riaffiorato sulle cui pendici nidificano astori e corvi.

Tutto il Meilogu ti conquisterà con motivi d’interesse naturalistico e storico: dai conetti ai pianori simili a mesas (tavole), da sorgenti termo-minerali a boschi e pascoli, dalle testimonianze preistoriche a quelle medievali. Attorno ai crateri c’è una delle aree sarde a maggiore densità di domus de Janas e nuraghi, la Valle dei Nuraghi con trenta complessi in poche centinaia di metri. Alcuni sono famosissimi, come Santu Antine di Torralba e nuraghe Oes, costruiti con blocchi di lava basaltica uscita dai crateri dei monti Annaru e Cuccureddu. Le testimonianze di almeno 200 nuraghi, dei 350 noti nel Meilogu, sono raccolte nel museo di Torralba.

Su Stampu de su Turrunu

Immerso nella natura rigogliosa e incontaminata della foresta di Addolì, fra Barbagia e Ogliastra, in un territorio di confine fra Seulo e Sadali, si cela un piccolo capolavoro della natura, allo stesso tempo inghiottitoio, grotta e risorgiva con cascata e laghetto. Su Stampu de su Turrunu è un singolare tunnel, sviluppatosi nelle rocce giurassiche dei Tacchi – tipici rilievi con ripide pareti - e generato dall’erosione dell’acqua, che sfocia in una piccola grotta dove ammirerai scorrere un torrente, su Longufresu, che crea una salto di 16 metri e un laghetto, per poi proseguire la sua discesa verso valle.

Il fenomeno carsico di straordinaria bellezza, lo scroscio della cascata immersa nel verde fitto che si infrange nel laghetto, i riflessi argentati di acque limpide conferiscono all’ambiente vitalità e lo rendono uno dei monumenti naturali più suggestivi della Sardegna. L’acqua è attrice principale, dopo aver scavato l’inghiottitoio, riaffiora magicamente nella grotta. La cavità ha forma regolare e tondeggiante, avvolta da vegetazione rigogliosa e attorniata da pareti calcaree tappezzate di muschi ed erbe rampicanti. Un insieme che sa di forza e imponenza della natura: ti lascerà una sensazione difficile da dimenticare. Il fenomeno carsico in milioni di anni ha dato vita a una forra dove convergono numerosi ruscelli hanno permesso la nascita di ambiente ricco di essenze vegetali: un vero e proprio ‘paesaggio d’acqua’.

Raggiungerai facilmente il monumento naturale attraverso sentiero segnato oppure con l’aiuto di guide specializzate. L’itinerario nel cuore dei territori di Seulo e Sadali, non può prescindere dalla visita alle vicine e incantate Is Janas, grotte - secondo la leggenda - dimora di tre fate, che si estendono per 350 metri visitabili quasi interamente. L’escursione si concluderà proprio a Sadali, ‘il regno dell’acqua’, dove in pieno centro abitato, vicino alla chiesa parrocchiale di san Valentino scorre una cascata, le cui acque finiscono in un baratro sotterraneo, sa bucca manna (la grande bocca).

Pasqua in Sardegna, autentica tradizione di fede

Ascendenza medievale mediata dalla tradizione spagnola e fusa con usanze arcaiche risalenti al paganesimo nuragico: la lunga genesi dei riti de sa chida santa si perde nella notte dei tempi e ha contribuito a renderli, tutt'oggi, sentitissimi, appassionanti e struggenti. Processioni per le strade e riti nelle piccole e preziose chiese dei borghi, nelle cattedrali delle città e nei santuari, tornano, come ogni anno, nel 2025, per essere rivissuti coralmente, secondo le antiche usanze, diverse da luogo a luogo. La Setmana santa di Alghero ha origini catalane, inizia il venerdì che precede la domenica delle Palme, con la processione dell’Addolorata, e si conclude a Pasqua con l’Encontre. Toccante e scenografico è il rito del desclavament, la deposizione del corpo del Cristo accompagnato in processione sul letto di morte. Dall’imbrunire, fiaccole e lampioni coperti da veli rossi illuminano i vicoli della città.

Madonna delle Grazie - Nuoro

A una statuetta lignea della Madonna, ritrovata a Nuoro nel XVII secolo da un giovane pastore, i racconti popolari attribuiscono il miracolo di aver salvato la città dalla peste. In seguito al prodigioso evento, nel capoluogo, ogni anno, dal 1812, viene sciolto un voto fatto alla Vergine: il 21 novembre si celebra la festa, molto sentita da tutto il centro Sardegna, della Madonna delle Grazie. A lei è dedicata nel quartiere nuorese di Seuna la chiesa ‘vecchia’ (XVII secolo), detta così per distinguerla dal nuovo santuario edificato, anch’esso in onore della patrona di Nuoro, negli anni Cinquanta del XX secolo e dove è stato trasferito il simulacro ‘miracoloso’.

In un documento ufficiale è scritto che il permesso di fabbricare una chiesa in onore della Vergine delle Grazie fu concesso nel 1679, ma nell’iscrizione in latino sulla facciata è incisa un data di realizzazione anteriore: 13 maggio 1670. Nell’iscrizione sono riportate anche dedica alla Madonna, nome del committente (Nicolao Ruju Manca) e diritto alla sepoltura sua e dei suoi familiari dentro la chiesa.

L’edificio ha un’unica navata voltata a botte, con presbiterio quadrato e sopraelevato, su cui poggia un altare di stile neoclassico, aggiunta ottocentesca. Nel complesso, però, forme e decorazioni mostrano una commistione di elementi tardogotici. Il portale è evidenziato da un frontone in trachite, composto da timpano con nicchia, che poggia su un architrave diviso in specchi da due cornici, e sorretto da due semicolonne. Il capitello di una delle due è decorato con figure zoomorfe e floreali, così come il rosone, anch’esso in trachite e di ottima fattura.

Accederai al santuario da una scala di granito oppure da due ingressi laterali: quello sulla fiancata sinistra presenta decorazioni tardo rinascimentali, quello sul lato destro conduceva a un chiostro con un vasto loggiato, ostello per i pellegrini durante la festa della patrona. Sulle fiancate vi sono loggette che ‘alleggeriscono’ il volume massiccio della costruzione. All’interno ammirerai pregevoli affreschi del XVIII secolo, che raffigurano apostoli, profeti e brani delle Sacre Scritture.

Nostra Signora di Tergu

Contemplerai assorto l’imponenza monumentale, ispirata da quasi un millennio di vita, di una gemma architettonica romanico-pisana, rivisitata in forme gotiche e barocche. La basilica di Nostra Signora domina isolata un vasto altopiano del territorio di Tergu, piccolo comune dell’Anglona. Emerge dal verde della natura con la sua policromia, data da cantoni di pietra trachitica rosso-violacea e da decorazioni in pietra calcarea bianca. Sancta Maria de Therco fu costruita probabilmente tra 1065 e 1082, forse per volontà del giudice di Torres Mariano I, lo stesso che fece costruire la basilica della Santissima Trinità di Saccargia, con la quale sono evidenti le analogie. La chiesa fu ampliata nel secolo successivo quando divenne abbazia benedettina e, insieme al monastero, del quale noterai vicino i ruderi, sede del priorato cassinese. Da secoli è meta della lunga (undici chilometri) e suggestiva processione del Lunissanti, che parte all’alba e ritorna, di notte con la luce delle fiaccole, a Castelsardo e apre l’appassionata Settimana santa castellanese.

La basilica si caratterizza per il contrasto cromatico della facciata, tra membrature in pietra chiara e paramento in vulcanite rossastra. Il prospetto rettangolare è diviso in due livelli. Quello inferiore basato su uno zoccolo e impostato, come in Saccargia, su tre grandi arcate cieche poggianti su pilastri angolari e colonnine sormontate da eleganti capitelli corinzi. Il portale ha un arco rialzato a fasce bicrome e stipiti incorniciati da colonne. Nel secondo ordine ritornano le false arcate, cinque, delle quali le due più esterne lavorate a zig-zag e che inquadrano nove formelle intarsiate a motivi geometrici. La decorazione che spicca maggiormente è un rosone centrale con sagomatura riccamente ornata e inquadrato da quattro colonne. Sul lato sinistro della facciata si eleva un massiccio campanile a canna quadrata che sovrasta la basilica, dandole slancio. L’impianto originario dell’interno era a navata unica, poi divenuto a croce latina a T con l’inserto del transetto, i cui bracci sono voltati a botte e si aprono verso l’aula con arco a ogiva. L’abside quadrangolare è della seconda metà del XVII secolo, così come la volta a botte che un tempo copriva la navata, successivamente sostituita dall’attuale copertura lignea a capriate.

Museo del Corallo

Un’immersione nel mare di Alghero alla scoperta di una delle sue principali risorse, nonché suo simbolo identitario, a cui deve parte di fama e ricchezza: il corallium rubrum. È ciò proverai nella tua visita al museo del Corallo, ospitato nella bellissima villa Costantino, in stile Liberty, che prende nome dalla famiglia che la fece erigere nel 1927 fuori dalle mura cittadine, in prossimità dei bastioni successivamente demoliti. Tutta la sua esposizione è incentrata sul prezioso ‘oro rosso’.

La mostra, dopo il restyling e il rinnovo degli allestimenti nel corso del 2016, delinea con la sua unicità rappresentativa un percorso alla scoperta di storia, cultura e identità di Alghero attraverso aspetti storici, scientifici ed economici e curiosità attorno al pregiato materiale. E, soprattutto, ti farà conoscere le opere d’arte che gli artigiani algheresi hanno creato (e creano) col corallo.

Un affascinante viaggio nell’ecosistema marino di quella che non a caso è definita Riviera del Corallo, circa 90 chilometri di costa con un’infinita varietà di paesaggi, e nella storia di questo prezioso organismo vivente. La pesca del corallo è attestata da preistoria e protostoria: sin da allora il corallo è stato usato per scopi di culto, in connessione con il sangue, quindi con la vita. Nel corso dei secoli è diventata sempre più una risorsa economica, oggi preservata e tutelata anche in siti speciali all’interno dell’area marina protetta di Capo Caccia, all’interno del parco regionale di Porto Conte.

Il museo del Corallo rappresenta per Alghero uno dei cardini di un articolato sistema di presidi culturali denominato ‘Musei Alghero’, che ne comprende altri tre (Archeologico, Diocesano d’Arte Sacra e Casa Manno) e tanti siti archeologici e culturali.

Sud

Palazzo Civico di Cagliari

Il Palazzo Civico di Cagliari si erge di fronte al porto come un baluardo di pietra bianca, elegante per forme e colori e in perfetta sintonia con gli altri antichi palazzi di via Roma. In origine la sede della municipalità era a piazza Palazzo, nel quartiere Castello, parte alta e fortificata della città, simbolo difensivo. Per lungimirante iniziativa del sindaco Ottone Bacaredda, la principale Istituzione cittadina fu trasferita nel quartiere popolare della Marina, ai confini con Stampace, di fronte al mare, facendo intravedere ambizioni da ‘salotto borghese’. Nel 1896 il consiglio comunale deliberò che la sede uscisse dalle mura e scendesse verso il porto. I lavori furono realizzati in pietra calcarea e su modelli gotico-catalani, con decori in stile Liberty. Nel 1907 la solenne inaugurazione. Il trasferimento fu espressione di una nuova idea politica, tipica della borghesia commerciale: visibilità, confronto e apertura, un taglio con l’atteggiamento aristocratico orgoglioso e diffidente. Cagliari si propose come città moderna, con un biglietto da visita di grande impatto: il suo nuovo Palazzo Civico che, non risparmiato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, fu ristrutturato tra 1946 e 1953.

Il palazzo, che potrai visitare come un museo, occupa un isolato tra le vie Roma, in cui si apre l’ingresso principale, Crispi, Angioi e il largo Carlo Felice. Il porticato caratterizza la facciata: sette arcate più quella centrale, da cui accederai al cortile. Sulla sommità dominano due torrette ottagonali, alte 38 metri, agli angoli svettano quattro obelischi, decorati con le teste dei Quattro Mori. Opere bronzee di Andrea Valli ornano i prospetti: sono un’aquila, che regge lo stemma della città, due leoni e le rappresentazioni allegoriche di Agricoltura, Commercio e Industria. Tramite una scalinata a due rampe salirai ai piani superiori. Nella sala del Consiglio ammirerai tre imponenti tele di Filippo Figari. La vicina sala della Giunta ospita il Gonfalone e il retablo dei Consiglieri (XVI secolo). Nella sala dei Matrimoni ammirerai un’altra opera del Figari che raffigura il matrimonio in Sardegna e pregevoli arredi artigianali. Vi sono custoditi anche gioielli, reperti archeologici e il simulacro di sant’Agostino giacente. Nella sala del Sindaco spicca un grande arazzo fiammingo (1620) e in quella Sabauda tre opere del Marghinotti: i ritratti di Vittorio Emanuele II e di Carlo Alberto e il suo arrivo a Cagliari nel 1840.