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Crateri vulcanici del Meilogu

Il colle Santu Bainzu di Thiesi con due piccole cime di eruzione, i monti quasi ‘gemelli’ Pabulena di Ploaghe e Ruju di Siligo, l’affascinante monte Annaru-Pòddighe di Giave e il profilo tabulare del monte Pèlao che copre il territorio di vari Comuni logudoresi. Una serie di cinque crateri si ergono solitari occupando oltre ventimila metri quadri della provincia di Sassari. Sono divenuti monumento naturale protetto nel 1994 e, insieme ad altri coni vulcanici – tra cui i monti Cuccureddu di Cherémule e Oes di Torralba - costellano la regione storica del Logudoro-Meilogu. Una terra di vulcani spenti, un paesaggio insolito e unico: coni vulcanici e colate laviche le danno una conformazione peculiare, con piccole alture a volte aguzze, a volte arrotondate e talvolta tagliate da tavolati pianeggianti.

Il monte Annaru-Pòddighe è il più caratteristico. Alto quasi 500 metri, presenta il cratere pressoché intatto. Da qui è effusa la lava che, solidificatasi e sedimentatasi, ha dato origine all’ampio tavolato a nord-est di Giave. Lo vedrai isolato, meta ideale per escursioni, soprattutto in autunno e inverno quando nel cratere si forma un piccolo lago. Nei mesi caldi potrai scendere all’interno del cratere: sulle pareti, profonde 50 metri, osserverai la struttura originaria. A sud del monte troverai sa Pedra Mendalza, un condotto vulcanico riaffiorato sulle cui pendici nidificano astori e corvi.

Tutto il Meilogu ti conquisterà con motivi d’interesse naturalistico e storico: dai conetti ai pianori simili a mesas (tavole), da sorgenti termo-minerali a boschi e pascoli, dalle testimonianze preistoriche a quelle medievali. Attorno ai crateri c’è una delle aree sarde a maggiore densità di domus de Janas e nuraghi, la Valle dei Nuraghi con trenta complessi in poche centinaia di metri. Alcuni sono famosissimi, come Santu Antine di Torralba e nuraghe Oes, costruiti con blocchi di lava basaltica uscita dai crateri dei monti Annaru e Cuccureddu. Le testimonianze di almeno 200 nuraghi, dei 350 noti nel Meilogu, sono raccolte nel museo di Torralba.

Pasqua in Sardegna, autentica tradizione di fede

Ascendenza medievale mediata dalla tradizione spagnola e fusa con usanze arcaiche risalenti al paganesimo nuragico: la lunga genesi dei riti de sa chida santa si perde nella notte dei tempi e ha contribuito a renderli, tutt'oggi, sentitissimi, appassionanti e struggenti. Processioni per le strade e riti nelle piccole e preziose chiese dei borghi, nelle cattedrali delle città e nei santuari, tornano, come ogni anno, nel 2025, per essere rivissuti coralmente, secondo le antiche usanze, diverse da luogo a luogo. La Setmana santa di Alghero ha origini catalane, inizia il venerdì che precede la domenica delle Palme, con la processione dell’Addolorata, e si conclude a Pasqua con l’Encontre. Toccante e scenografico è il rito del desclavament, la deposizione del corpo del Cristo accompagnato in processione sul letto di morte. Dall’imbrunire, fiaccole e lampioni coperti da veli rossi illuminano i vicoli della città.

Nostra Signora di Tergu

Contemplerai assorto l’imponenza monumentale, ispirata da quasi un millennio di vita, di una gemma architettonica romanico-pisana, rivisitata in forme gotiche e barocche. La basilica di Nostra Signora domina isolata un vasto altopiano del territorio di Tergu, piccolo comune dell’Anglona. Emerge dal verde della natura con la sua policromia, data da cantoni di pietra trachitica rosso-violacea e da decorazioni in pietra calcarea bianca. Sancta Maria de Therco fu costruita probabilmente tra 1065 e 1082, forse per volontà del giudice di Torres Mariano I, lo stesso che fece costruire la basilica della Santissima Trinità di Saccargia, con la quale sono evidenti le analogie. La chiesa fu ampliata nel secolo successivo quando divenne abbazia benedettina e, insieme al monastero, del quale noterai vicino i ruderi, sede del priorato cassinese. Da secoli è meta della lunga (undici chilometri) e suggestiva processione del Lunissanti, che parte all’alba e ritorna, di notte con la luce delle fiaccole, a Castelsardo e apre l’appassionata Settimana santa castellanese.

La basilica si caratterizza per il contrasto cromatico della facciata, tra membrature in pietra chiara e paramento in vulcanite rossastra. Il prospetto rettangolare è diviso in due livelli. Quello inferiore basato su uno zoccolo e impostato, come in Saccargia, su tre grandi arcate cieche poggianti su pilastri angolari e colonnine sormontate da eleganti capitelli corinzi. Il portale ha un arco rialzato a fasce bicrome e stipiti incorniciati da colonne. Nel secondo ordine ritornano le false arcate, cinque, delle quali le due più esterne lavorate a zig-zag e che inquadrano nove formelle intarsiate a motivi geometrici. La decorazione che spicca maggiormente è un rosone centrale con sagomatura riccamente ornata e inquadrato da quattro colonne. Sul lato sinistro della facciata si eleva un massiccio campanile a canna quadrata che sovrasta la basilica, dandole slancio. L’impianto originario dell’interno era a navata unica, poi divenuto a croce latina a T con l’inserto del transetto, i cui bracci sono voltati a botte e si aprono verso l’aula con arco a ogiva. L’abside quadrangolare è della seconda metà del XVII secolo, così come la volta a botte che un tempo copriva la navata, successivamente sostituita dall’attuale copertura lignea a capriate.

Museo del Corallo

Un’immersione nel mare di Alghero alla scoperta di una delle sue principali risorse, nonché suo simbolo identitario, a cui deve parte di fama e ricchezza: il corallium rubrum. È ciò proverai nella tua visita al museo del Corallo, ospitato nella bellissima villa Costantino, in stile Liberty, che prende nome dalla famiglia che la fece erigere nel 1927 fuori dalle mura cittadine, in prossimità dei bastioni successivamente demoliti. Tutta la sua esposizione è incentrata sul prezioso ‘oro rosso’.

La mostra, dopo il restyling e il rinnovo degli allestimenti nel corso del 2016, delinea con la sua unicità rappresentativa un percorso alla scoperta di storia, cultura e identità di Alghero attraverso aspetti storici, scientifici ed economici e curiosità attorno al pregiato materiale. E, soprattutto, ti farà conoscere le opere d’arte che gli artigiani algheresi hanno creato (e creano) col corallo.

Un affascinante viaggio nell’ecosistema marino di quella che non a caso è definita Riviera del Corallo, circa 90 chilometri di costa con un’infinita varietà di paesaggi, e nella storia di questo prezioso organismo vivente. La pesca del corallo è attestata da preistoria e protostoria: sin da allora il corallo è stato usato per scopi di culto, in connessione con il sangue, quindi con la vita. Nel corso dei secoli è diventata sempre più una risorsa economica, oggi preservata e tutelata anche in siti speciali all’interno dell’area marina protetta di Capo Caccia, all’interno del parco regionale di Porto Conte.

Il museo del Corallo rappresenta per Alghero uno dei cardini di un articolato sistema di presidi culturali denominato ‘Musei Alghero’, che ne comprende altri tre (Archeologico, Diocesano d’Arte Sacra e Casa Manno) e tanti siti archeologici e culturali.

Santa Maria delle Grazie

Due particolarità ti colpiranno: la chiesa di Santa Maria delle Grazie, risalente al 1300, è priva di facciata e ha l’ingresso su un lato, al centro di tre ampie arcate di pietra trachitica e calcarea. Un tempo principale edificio di culto di Castelsardo, sino a inizio XVI secolo è stata cattedrale della diocesi che comprendeva l’Anglona. Perso il titolo a vantaggio dell’attuale scenografica cattedrale di sant’Antonio Abate, la chiesa divenne sede dell’oratorio della confraternita di Santa Croce. I confratelli custodiscono la tradizione del Lunissanti, la processione più suggestiva della Settimana santa castellanese. Parte da Santa Maria della Grazie, dopo la messa dell’alba e arriva sino alla basilica di Nostra Signora di Tergu, dopo più di dieci chilometri di cammino. Il rientro notturno è illuminato da fiaccole tremolanti.

L’interno di Santa Maria è a navata unica con altare maggiore neoclassico posto nell’abside, che custodisce un ecce homo (scultura di Cristo) tra due nicchie e altre statue di santi. La chiesa è arricchita da altari minori lignei barocchi e da una statua di san Francesco. La cappella con volta a crociera accoglie il famoso crocefisso del Cristo Nero, del 1300, uno dei più antichi in Sardegna. É detto Cristu Nieddu per via del legno di ginepro anneritosi nel tempo. Era considerato miracoloso e portato in processione tutte le volte che calamità naturali si riversavano sulla cittadina.

La chiesetta trecentesca e il convento francescano annesso sono stati protagonisti, nutrendo la spiritualità della sua popolazione, della storia di Castelsardo, un tempo roccaforte medioevale dominata dal castello dei Doria e protetta da mura e 17 torri, oggi appartenente al club dei borghi più belli d’Italia, caratterizzato da natura, storia, tradizioni artigiane e religiose. Il castello ospita il museo dell’Intreccio mediterraneo, uno dei più visitati della Sardegna. Da non perdere anche i palazzi La Loggia e Eleonora d’Arborea, i siti archeologici di nuraghe Paddaju, mura megalitiche di monte Ossoni e domus de Janas ‘a protome taurina’ e monumenti naturali come la roccia dell’Elefante. Dalla cultura al mare: il litorale è fatto di alte scogliere di trachite rossa. Tra i tratti sabbiosi spiccano la Marina di Castelsardo e la spiaggia di Lu Bagnu: arenile color crema con fondale cristallino. Per gli appassionati di windsurf e vela, è imperdibile una puntata a punta La Capra. Il mare è anche sulle tavole dei ristoranti castellanesi.

La Sardegna svela i suoi tesori architettonici

Magnificenza artistica, memoria storica, identità culturale e senso di comunità: Monumenti Aperti è la più grande ‘mobilitazione’ popolare di tutela, valorizzazione e promozione dei beni culturali in Sardegna. Così come l’anno scorso, l’edizione 2025, la 29esima, si articola in due fasi, nell’arco di nove fine settimana: la prima fase dal 3 maggio al 1° giugno, la seconda tra ottobre e novembre. Durante queste giornate si apriranno centinaia di luoghi di cultura: musei e siti archeologici, chiese ed edifici storici, monumenti naturali e parchi. Ogni comunità ‘si racconta’ attraverso itinerari letterari e percorsi nell’architettura urbana, in borghi e città segnate da secoli di evoluzione e trasformazioni. Volontari e studenti saranno pronti a guidarti in un viaggio nella bellezza che attraversa i millenni, sin nel passato più lontano, tra resti di antiche civiltà. Luoghi di ieri e di oggi, dove coesistono memoria e idee per il futuro.

La primavera nei borghi

L’esplosione dei colori primaverili nell’Isola fa rima con una delle sue ‘cartoline’ più caratteristiche: le variopinte case di Bosa. Passeggiando lungo il Temo le ammirerai specchiarsi nelle acque del fiume e inerpicarsi sul colle dominato dal castello dei Malaspina, mentre attraversando il Ponte Vecchio raggiungerai la sponda sud per scoprire le antiche concerie. Sarai accolto da un calice di malvasia e estasiato da gioielli di corallo, cesti di asfodelo e tessuti preziosi. Bosa è un mix di storia e artigianato, archeologia industriale e prelibatezze. Da visitare le sue chiese: il ‘duomo’ dell’Immacolata Concezione, Nostra Signora de sos Regnos Altos dentro il castello e San Pietro extra muros, centro di Bosa vetus. E da non perdere le bellezze naturali sulla costa: il parco di Capo Marrargiu, Bosa Marina, s’Abba Druche, Cane Malu e Compoltitu.

Osilo

Si arrampica a quasi 700 metri d’altitudine nella più settentrionale delle tre cime del Tuffudesu, dominato dal castello dei Malaspina, risalente a fine XII secolo, di cui ammirerai due torri e mura perimetrali. Osilo, borgo di tremila abitanti, è il secondo Comune più alto della provincia di Sassari. Ha origini medioevali e fu centro molto importante sino ai primi del XX secolo. Ha conservato vive tradizioni artigiane, specie manufatti tessili, e agropastorali: è la patria del formaggio pecorino. Altra prelibatezza sono le casadinas (formaggelle). Ad agosto, viuzze in acciottolato, case in pietra ed edifici storici (come il Palazzo civico del 1600) si animano con Artes Antigas, riscoperta di antichi mestieri e cultura tradizionale, e con la Corsa all’anello, giostra equestre dove i cavalieri, in abiti tradizionali, al galoppo, infilzano anelli sospesi lungo il tracciato.

Osilo vanta un numero eccezionale di chiese: 36. Spiccano la parrocchiale dell’Immacolata Concezione (fine XVII secolo), con altare in marmo policromo e coro ligneo settecentesco, e la piccola chiesa di san Maurizio, in stile gotico-catalano (XVII secolo), con altare in tufo che custodisce la statua del santo in una nicchia dipinta con conchiglia scolpita. Santa Ittoria ‘e sa Rocca fu ristrutturata nel 1731 con prospetto rinascimentale e andamento curvilineo. Nel centro storico, si erge Nostra Signora del Rosario (XVII secolo), esempio di arte tardo-rinascimentale con richiami gotici. Non lontana c’è la chiesa di Babbu Eternu, forse la più antica del paese. Mentre, in periferia c’è Sant’Antoni ‘e sa punta (XVII secolo). Da non perdere Nostra Signora di Bonaria, sulla vetta del Tuffudesu, a 800 metri d’altezza: da qui godrai di una vista che arriva fino all’Asinara. Fu simbolo per i marinai, dato che è uno dei primi punti avvistabili dal mare. Infine, le chiese di san Giovanni battista, santa Lucia e san Lorenzo, citata già nel 1688 ma restaurata a inizio XX secolo. La chiesetta si trova nella frazione omonima, all’interno della valle dei mulini. Qui la natura calcarea della roccia è caratterizzata da improvvisi salti, che permettono all’acqua di scorrere con forza tanto da essere stata sfruttata da sempre: a metà XIX secolo si contavano 25 mulini attivi. Oggi, in disuso, sono visitabili. Negli strapiombi del Tuffudesu e del resto del territorio ci sono più di trenta vie di arrampicata. Oltre che di climber, l’area è meta di appassionati di mountain bike, grazie a rilievi, mulattiere e strade tortuose. Il territorio è disseminato di tracce umane sin dal Neolitico: le otto tombe a domus de Janas di Ittiari e le tre di Is Scalas, due tombe di Giganti e una decina di nuraghi, tra cui sa Pala ‘e su Cossu.

San Pietro extra muros - Bosa

Dalle case colorate del borgo di Bosa, percorrendo un chilometro lungo il Temo, giungerai nella località Calamedia, sito abitato fin da epoca fenicio-punica: qua sorge l’ex cattedrale di san Pietro, la chiesa romanica più antica dell’Isola. Le sue pareti di trachite rossa si ergono vicino alla riva del fiume, sulla sponda opposta al colle di Serravalle dominato dal castello dei Malaspina, al cui interno troverai un’altra perla di architettura religiosa: Nostra Signora di Regnos Altos. San Pietro è detta extra muros perché si trova fuori dalle mura del castello, di cui è più vecchia di mezzo secolo. Attorno sorgeva il nucleo originario della città, abitato sino a tutto il Cinquecento. Quando poi, sulle pendici del colle, fu completato il rione sa Costa, la popolazione si trasferì. Una migrazione di due secoli: Bosa vetus scomparve.

Il santuario è frutto di un lungo processo. La parte più antica è di metà XI secolo, attestato dall’epigrafe di consacrazione che riporta l’anno MLXIII, mentre al secolo successivo risalgono tribuna con nuova abside, torre campanaria (alta 24 metri e incompiuta) e muri perimetrali. Le esondazioni del Temo compromisero alcune parti, ricostruite a metà XX secolo: il complesso riprese l’aspetto medievale. Oggi ammirerai una chiesa che, perso il titolo di cattedrale, ha mantenuto intatto il fascino. La facciata (del XIII secolo) è decorata da ampie arcate e archetti intrecciati. In cima noterai un’edicola sorretta da colonnine, avvolte da un serpente intrecciato. Un’arcata incornicia il portale, sopra il quale ti colpirà un architrave scolpito con finte logge e sei archetti che ospitano bassorilievi raffiguranti, in composizione gerarchica, la Madonna col Bambino nell’edicola centrale maggiore, a fianco Albero della Vita e santo vescovo (forse Costantino de Castra che consacrò l’edificio), sul lato destro san Pietro e a sinistra san Paolo, con vesti dagli elaborati drappeggi. Il vescovo è nell’edicola minore ma gli si fa occupare un posto accanto alla Vergine. L’abside è divisa in cinque sezioni da lesene che sostengono mensole che a loro volta sorreggono archetti. In tre di esse osserverai monofore che contribuiscono a illuminare l’interno, composto da tre navate: la mediana coperta da capriate lignee, quelle laterali voltate a crociera. Ad esse accederai da nove archi a tutto sesto per lato, sorretti da pilastri quadrangolari. Nel primo a destra troverai un fonte battesimale in calcare bianco.

Cavalcata sarda, la festa della bellezza

I cantanti a tenore alternano il loro ritmo al calpestio dei cavalli. Cavalieri e amazzoni omaggiano spettatori e Autorità offrendo pani, dolci e primizie. Zoccoli a ritmo di trotto esplodono in ardite pariglie: sfrecciano i cavalieri di Padria e i sartiglieri di Oristano. I Mamuthones e gli Issohadores di Mamoiada e i Boes e Merdules di Ottana catturano sguardi e obiettivi fotografici con le loro maschere intrise di fascino e mistero. Le launeddas del Sarrabus fanno da contorno a corteo e serata conclusiva. Sono suoni e colori, musiche e danze, gioielli e costumi della Cavalcata sarda di Sassari, dove ogni anno - tradizionalmente nella penultima domenica di maggio - si incontrano le peculiarità identitarie di tutte le comunità isolane. Uno spettacolo indimenticabile per ricchezza e maestosità, una festa che dà vita al più grande evento laico della Sardegna, giunto nel 2025 alla 74^ edizione.