Sant'Ambrogio - Monserrato
La sua origine è da ricercare in due fonti, una del 1654, in cui la costruzione non risulta ancora avviata, l’altra del 1716, nella quale si commissionò la realizzazione di due pareti laterali. Fu in questo lasso di tempo che si edificò a Pauli Pirri, borgo che nel 1881 assunse l’attuale denominazione di Monserrato, la chiesa di sant’Ambrogio. Oggi il suo profilo caratterizza il centro storico della cittadina alle porte di Cagliari, del quale il santo titolare è il patrono, celebrato il 7 dicembre. Lo stile architettonico è gotico-catalano, ma già osservando la facciata noterai diversi elementi particolari: un originale doppio spiovente e la merlatura che orna i contrafforti laterali posti in diagonale rispetto all’edificio principale. Il portale è sormontato da un arco a sesto acuto con sopracciglio e oculo, elementi caratteristici dell’architettura gotica. Il campanile si erge a sinistra dell’ingresso, ricostruito a fine XIX secolo dopo il crollo della struttura originaria. All’interno, la pianta si presenta a navata unica con volta a botte, sulla quale si aprono, tramite arcate ogivali, sei cappelle laterali, i cui setti murari divisori sono stati aperti in epoca recente creando l’effetto di navate laterali. Nella cappella presbiteriale osserverai la volta a crociera stellata, con cinque caratteristiche gemme pendule. Ai lati dell’arco trionfale, due nicchie ospitano le statue di Sant’Ambrogio e San Giuseppe. Da metà XIX secolo l’aula custodisce un pulpito marmoreo e l’altare maggiore in marmo policromo e legno dorato, scolpito in bassorilievo. Noterai un’altra particolarità nella mensola a destra dell’arco trionfale, dove si trova inciso il simbolo della famiglia Sanjust, proprietaria del feudo di villa Pauli dal 1426.
A 500 metri dalla chiesa incontrerai una piccola croce marmorea, collocata su una colonna di epoca romana. Il monumento, realizzato nel XVI secolo e noto come sa cruxi ‘e marmuri, reca un’immagine di Cristo. Il punto dove sorge la croce, oltre a segnare il limite territoriale di competenza della Chiesa, indica anche il luogo in cui avvenivano esecuzioni capitali. Mentre, a pochi passi dalla parrocchiale, passeggiando per le strette stradine del centro storico scorgerai gli imponenti portali in legno delle case campidanesi, costruite in ladiri – mattoni di fango e paglia – e tufo, e caratterizzate dalle lollas, ampi loggiati che circondavano il cortile centrale.
Monserrato ha una grande tradizione vitivinicola: la sua cantina sociale è la più antica della Sardegna, vi si producono vini pregiati come nuragus, monica, moscato e nasco. Non a caso, una degli appuntamenti più attesi è la sagra della vendemmia a settembre.
Palazzata di via Roma
Da più di un secolo è uno dei simboli della Cagliari ‘moderna’: un variegato ed elegante mix di colori e stili architettonici che sovrasta i portici di via Roma, divenuti meta di passeggiate e shopping per turisti e abitanti, accompagnati dal profumo della brezza marina. Il fronte-mare del quartiere storico della Marina è caratterizzato da una serie di palazzi realizzati a partire dalla fine del XIX secolo, prevalentemente in stile liberty, con innesti neogotici e rinascimentali. Prima di allora, racchiuse tra i bastioni di Sant’Agostino, all’incrocio con l’attuale largo Carlo Felice, e della Darsena, dove inizia l’attuale viale Regina Margherita, si trovavano modeste abitazioni a due piani, in cui spesso al piano terra si aprivano botteghe e trattorie. C’erano poi stabilimenti per la concia delle pelli, mentre altri casotti, ‘specializzati’ nella vendita del pescato, occupavano lo spazio adiacente al molo. Questi ultimi furono demoliti per la costruzione del porto a partire dal 1881, e qualche anno più tardi iniziò a vedere la luce la sequenza di edifici che ammirerai oggi in tutto il loro splendore.
In realtà, essi si aggiunsero al preesistente palazzo Devoto, eretto nel 1870 e adiacente alla chiesa tardo-seicentesca di San Francesco da Paola. I primi furono i palazzi Magnini, ai due angoli tra via Roma e via Baylle. In seguito, sorsero il palazzo Vivanet, primo esempio di architettura neogotica in città, con una sequenza di portici a sesto acuto; il palazzo Garzia, tra via Napoli e via Barcellona; e il palazzo Leone-Manca, che fino a tempi recenti ospitò il cinema Olympia. Oltre la chiesa, sorsero i palazzi Vascellari-Beretta e il palazzo Ravenna, tra i quali trova spazio il moderno edificio sede del Consiglio regionale della Sardegna. Il tratto prospiciente piazza Matteotti è dominato dal Palazzo Civico. Inaugurato nel 1907, rappresenta la scelta, dal forte carattere ideologico, dell’amministrazione comunale allora in carica, guidata da Ottone Bacaredda, di spostare il centro del potere cittadino dall’‘aristocratico’ quartiere di Castello alla Marina. L’edificio è in calcare bianco, con decorazioni liberty e rimandi a modelli gotico-catalani: il tuo sguardo sarà attratto in particolare dalle due torrette ottagonali e dai quattro obelischi agli angoli.
La Marina è un quartiere da esplorare perdendosi nelle sue strette stradine, curiosando nei negozi e assaggiando i piatti della tradizione cittadina nei numerosi ristoranti e osterie. Nel ‘cuore’ del quartiere sorge la parrocchiale di Sant’Eulalia, nei cui sotterranei potrai visitare l’area archeologica e la cripta monumentale. Accanto alla chiesa si trova il museo del Tesoro, contenente un vasto patrimonio artistico proveniente dal santuario adiacente e dalle chiese di Santa Lucia e del Santo Sepolcro, nonché i documenti d’archivio della parrocchia e delle arciconfraternite del Crocifisso e della Santissima Trinità.
Casa Steri - Museo delle tradizioni agroalimentari della Sardegna
Uno degli aspetti più caratterizzanti delle della tradizioni culturali sarde, il cibo, raccontato nella sua evoluzione attraverso i millenni: non solo gli alimenti, ma anche le tecniche di coltivazione, conservazione, trasformazione e produzione. Tutto questo all’interno di una seicentesca casa padronale campidanese ‘a corte’: è Casa Steri, nel centro storico di Siddi, borgo rurale ‘adagiato’ ai piedi dell’omonima giara. Il tema dell’esposizione museale è la storia alimentare dell’Isola fin dall’età nuragica e si articola in vari spazi, abitativi e produttivi. Visiterai sale dedicate al ciclo produttivo del latte e dell’olio, non a caso Siddi fa parte del circuito ‘città dell’olio’ italiane. Ammirerai anche un mulino per i cereali con una settecentesca, rara macina a cavallo. Nella cucina osserverai oggetti tradizionali quali setacci, ceste e scivedde (recipienti) in argilla.
Visiterai anche ambienti adibiti a ricoveri per animali da lavoro e da cortile, tra cui le stalle, dove sono esposti strumenti per la marchiatura del bestiame e attrezzature per la vinificazione. Non manca il granaio, con i vari attrezzi necessari al lavoro nei campi: aratri, zappe, falci e seminatrici. Nelle varie stanze sono presenti pannelli con testi che descrivono le attività contadine tradizionali, alla loro stesura hanno collaborato gli abitanti del paese in qualità di ‘memoria storica’ e fonte di conoscenze tramandate dalla comunità. La ‘sala di rappresentanza’ della casa, le cui pareti sono dipinte con motivi liberty, ospita spesso eventi e mostre temporanee. Nel museo, inoltre, vengono organizzati periodicamente laboratori, durante i quali si possono apprendere tecniche di lavorazione di prodotti quali pasta, pani e dolci e conoscere caratteristiche e curiosità dei prodotti della cucina sarda.
Il territorio di Siddi unisce suggestivi ambienti naturali a un importante patrimonio archeologico: i due aspetti convivono nel parco sa Fogaia, a un chilometro e mezzo dal paese. In un bosco di lecci e macchia mediterranea dimorano numerose specie vegetali, piante aromatiche e fiori, assieme a circa 60 specie di uccelli – dei quali approfondirai la conoscenza nel museo ornitologico della Sardegna, unico nel suo genere nell’Isola –, senza dimenticare rettili, lepri e volpi. Nella parte alta del parco si staglia il nuraghe sa Fogaia, con un nucleo più arcaico e corpi aggiunti successivamente. Pochi chilometri più a nord, nella giara di Siddi, ti attende una delle tombe di Giganti più celebri e meglio conservate: sa Dom’e s’Orku. È una sepoltura megalitica dell’età del Bronzo, realizzata con grandi blocchi di basalto provenienti dalla stessa giara, immersa in uno splendido scenario paesaggistico.
Notteri - Timi Ama
La spiaggia di Notteri, nel territorio di Villasimius, si presenta come una lingua di sabbia dorata incastonata fra il cristallo del mare e lo specchio d’acqua lagunare, uno dei capolavori naturali della Sardegna meridionale.
Il litorale mostra una sabbia bianca dalle leggere nuances dorate che al tatto resta fine ed impalpabile. Da un lato, il mare turchese battuto dal vento, e dall’altro, la laguna di Notteri, habitat prezioso per i fenicotteri rosa.
Alte montagne circondano le dune, mentre la torre spagnola osserva silenziosa il calmo scorrere dell’acqua. Gli scogli, che incorniciano la spiaggia, conferiscono all’ambiente l’inebriante profumo del mare.
Dotata di ampio parcheggio e vicina ad hotel, bar e ristoranti, la spiaggia si presenta come luogo dotato di ogni comfort. Accessibile ai diversamente abili, è inoltre indicata per i bambini per via delle sue acque dalla profondità graduale. Luogo ventoso adatto al windsurf, è consigliata per le immersioni e la pesca subacquea. Stabilimenti balneari rendono possibile il noleggio di ombrelloni, sdraio e pattini.
Casa Zapata
Potere nobiliare, buon gusto e sfoggio di lusso sovrapposti a un inestimabile patrimonio culturale. A Barumini sorge la bellissima dimora della famiglia Zapata, fatta costruire da don Azor, alcalde di Cagliari, a fine XVI secolo, sopra i resti di un nuraghe. Dal 2006 la residenza spagnola è un polo museale. L’edificio è un raro esempio in Sardegna di architettura civile ispanica realizzato secondo modelli classicheggianti. Li vedrai chiari nelle linee dell’abitazione, suddivisa in due piani, e nei decori architettonici.
La facciata ha portale e finestre con timpani triangolari poggianti su colonne lisce con basamento a duplice toro, stipiti scanalati e capitelli a canestro. Nel timpano centrale è scolpito lo stemma della casata: scudo vermiglio con tre calzari a scacchi dorati. Stessa eleganza anche nella scala. Riconoscerai il gusto classico dei committenti nel palazzo dei Zapata del Castello di Cagliari.
Nel 1990 iniziò la ‘musealizzazione’ della casa, per valorizzare i reperti rinvenuti nel vicino Nuraxi, la maggiore testimonianza lasciataci in eredità dalla civiltà nuragica. Si scoprì che era sorta sopra un altro nuraghe complesso, ribattezzato Nuraxi e’ Cresia per la vicinanza con la chiesa parrocchiale, frequentato tra XIV e X secolo a.C. Gli interventi di scavo hanno salvaguardato la struttura della casa e, insieme, reso fruibile dall’alto la visione del complesso, con passerelle sospese e pavimenti trasparenti: entrerai in un palazzo nobiliare e all’improvviso ti troverai su un nuraghe. Dentro Casa Zapata sono visibili due torri (centrale e orientale), mentre le altre due, il doppio antemurale e il villaggio sono all’esterno del palazzo.
Il nuraghe è parte della sezione archeologica del museo, insieme a una collezione di oltre 180 manufatti trovati a su Nuraxi, tra cui un famoso modellino di nuraghe in calcare. Altre due sezioni sono allestite nell’antica corte rustica annessa al palazzo. Nelle teche storico-archivistiche, vedrai migliaia di documenti - carte originali e documenti digitalizzati - che raccontano la storia dei Zapata dal 1541, quando Azor acquisì il feudo di Barumini, Las Plassas e Villanovaforru. La sezione etnografica ospita utensili per attività quotidiane e agricole di inizio XX secolo. Qui è collocato il museo regionale delle Launeddas, antichi e tradizionali strumenti musicali sardi a tre canne.
Porto Botte
Il suo mare è il paradiso dei kite surfer, la sua spiaggia - una striscia bianca punteggiata da dune -, fu sede di un avvenimento storico per l’Isola, l’area retrostante è un’oasi naturalistica, dichiarata sito di interesse comunitario per la ricchezza del patrimonio vegetale e faunistico. Porto Botte è un tratto di litorale compreso tra i territori di Giba e San Giovanni Suergiu, affacciato sul golfo di Palmas e delimitato alle spalle dallo stagno di Porto Botte. Su queste rive, nel 1323, sbarcò l’Infante Alfonso, dando inizio al dominio spagnolo sulla Sardegna, che durerà quattro secoli, segnandone architettura, cultura, lingua e tradizioni.
L’arenile è lungo circa un chilometro e mezzo, con sabbia candida mista a conchiglie e qualche ciottolo. Lo bagna un mare dalle diverse tonalità di azzurro e blu, nel quale, all’orizzonte, scorgerai la linea di costa di Sant’Antioco, l’isola maggiore dell’arcipelago del Sulcis. La spiaggia è adatta alla frequentazione di famiglie con bambini, il suo fondale, infatti, è basso per decine di metri, regolare e sabbioso. Le caratteristiche del fondale, unite all’esposizione della baia ai venti che soffiano da quasi tutte le direzioni, rende Porto Botte uno degli spot più frequentati per la pratica del kite surf, sia dai principianti sia dai più esperti. I birdwatcher, invece, si possono appostare oltre le dune coperte da ginepri, lungo le rive del sistema lagunare che, oltre a Porto Botte, comprende gli specchi d’acqua di Baiocca e di Mulargia. Vi dimorano, tra gli altri, aironi rossi, cavalieri d’Italia, falchi di palude, fenicotteri rosa e marangoni del ciuffo.
A nord della spiaggia, incontrerai la foce del rio Palmas, oltre il quale potrai percorrere un sentiero a piedi, in mountain bike o a cavallo, che ti condurrà ad ammirare il suggestivo paesaggio delle saline adiacenti alla laguna di Santa Caterina. A sud di Porto Botte, invece, il litorale prosegue senza soluzione di continuità, costeggiando una pineta di ginepri ed entrando nel territorio di Masainas. Qui la spiaggia prende il nome di is Solinas, ma è conosciuta anche come sa Salina. La sua sabbia è bianchissima e il mare dalle varie tonalità di azzurro, con sfumature verdi date dai riflessi del sole sulla vegetazione mediterranea circostante.
Cala Cipolla
Un'incantevole lingua di sabbia fine e dorata, racchiusa fra due promontori di granito rosa che si allungano verso il mare a formare una piscina naturale. Alle spalle dune sabbiose con vegetazione mediterranea e un bosco di pini e ginepri. Cala Cipolla ha un aspetto caratteristico e conserva una natura solitaria e selvaggia: è una delle spiagge più suggestive di Chia, nel territorio di Domus de Maria, a tre quarti d’ora da Cagliari. Si trova poco a est del promontorio di Capo Spartivento, sormontato da un faro, raggiungibile tramite un sentiero, da cui godrai della vista sull’intera costa sud-occidentale.
La splendida caletta nascosta tra le colline è caratterizzata da un mare limpido, con tonalità cangianti che variano da sfumature di azzurro intenso al verde. Il fondale sabbioso rimane basso fino a decine di metri dalla riva, perfetto per i bambini. Di tanto in tanto piccoli scogli interrompono l’uniformità delle acque. Tutt’attorno la macchia mediterranea fa da cornice alla caletta. È una meta ideale per i surfisti, ed è apprezzata da chi pratica pesca subacquea e immersioni. Il parcheggio sta a 400 metri dalla spiaggia, dove è presente anche un chiosco bar.
La sabbia dorata e finissima è tipica di tutta la costa di Chia, una delle località turistiche più apprezzate della Sardegna: oltre sei chilometri di cale e spiagge da sogno, che potrai ammirare dalla torre aragonese del XVII secolo. Un promontorio separa Cala Cipolla da su Giudeu, spiaggia da film e spot pubblicitari. Più a est ci sono sa Colonia, un chilometro di sabbia tra due promontori, Cala del Morto, spiaggetta riparata con fondale basso, e Cala della Musica, raggiungibile solo via mare. Da non perdere su Cardolinu (il fungo), isolotto unito alla terraferma da un istmo di sabbia, dove è stato riportato alla luce il tophet della città fenicia di Bithia (VIII secolo a.C.), visitabile a piedi dalla spiaggia del Porticciolo. A ridosso ci sono due stagni: noterai e fotograferai da vicino i fenicotteri rosa, in compagnia di aironi, folaghe e cormorani.
San Francesco - Iglesias
Non si sa per certo quando i francescani giunsero a Iglesias: secondo una teoria erano presenti già al tempo della dominazione pisana, altri ipotizzano l’arrivo a seguito della presa di potere da parte della Corona aragonese (1324), che impose in città l’ordine religioso da lei preferito. In entrambi le ipotesi, il primo impianto della chiesa di san Francesco, uno dei principali esempi di architettura gotico-catalana in Sardegna, dovrebbe esser sorto successivamente. Non è chiaro neppure se l’edificio fosse impostato su preesistenti strutture benedettine, in ogni caso l’attuale costruzione è un rifacimento del XVI secolo, con successivi interventi che non ne hanno modificato l’aspetto generale. A confortare la genesi, sono d’aiuto alcune incisioni degli elementi decorativi: un capitello e un’acquasantiera riportano la data 1558, nelle cappelle ai lati del presbiterio compare invece l’anno 1584.
Nella facciata a capanna in conci di trachite rossa, noterai due oculi e un rosone, in asse con il portale d’ingresso, decorato con stipiti a fascio e architrave monolitico con arco di scarico a sesto acuto. L’interno è a navata unica, divisa in sette campane, con copertura in legno. Vari capitelli recano stemmi e iscrizioni: oltre all’anno di posa (o conclusione lavori), noterai lo stemma dell’ordine francescano (due braccia incrociate) e della municipalità iglesiente in età spagnola. L’abside risulta più stretto e più basso rispetto alla navata, chiuso da una volta ‘ombrelliforme’. Ai lati della navata si aprono sette cappelle per lato, si è ipotizzato che la terza a sinistra risalga all’impianto originario, trecentesco, della chiesa, perché molto diversa dalle altre: l’arco di ingresso è più piccolo e la copertura, con volta a crociera, è intonacata. Sulla parete di fondo di un vano aggiunto alla prima cappella di sinistra ammirerai il retablo di san Francesco, opera attribuita ad Antioco Mainas, pittore cagliaritano della scuola di Stampace. Dipinta a tempera e olio intorno al 1560, la pala d’altare presenta lo schema del doppio trittico, con predella a cinque scomparti. Tra le scene dipinte negli scomparti compaiono la Crocifissione, una Madonna e la lapidazione di santo Stefano.
Iglesias conserva già nel nome i tratti catalano-aragonesi, che continuano a manifestarsi nelle tradizioni cittadine, come i riti della Settimana Santa di Pasqua, in particolare durante le processioni dei Misteri. Altro evento da non perdere, a metà agosto, è il corteo storico medievale. Tra i monumenti spiccano il castello Salvaterra, edificato dai pisani, e la cattedrale di santa Chiara, risalente al Medioevo. L’Iglesiente è stato, per oltre un secolo, fulcro dell’epopea mineraria, oggi è parte del parco geominerario della Sardegna. Oltre ai musei cittadini, potrai visitare la miniera di Monteponi e i siti estrattivi lungo la costa di Nebida e Masua, tra cui la spettacolare galleria di Porto Flavia.
Nuraghe Arresi
Un sito neolitico, un nuraghe e due chiese: un complesso archeologico-artistico racchiuso nello spazio di pochi decine di metri. Attorno al nuraghe Arresi è sorto il primo nucleo abitato di Sant’Anna Arresi, paese del basso Sulcis che nel suo nome abbina l’origine preistorica alla santa patrona, cui sono dedicate ‘vecchia’ e nuova parrocchiale. Il nuraghe, risalente al XV-XIV secolo a.C. (Bronzo medio), si erge in mezzo alle due chiese e fu costruito su un insediamento più antico, abitato nel Neolitico Recente e nel primo Eneolitico (3200-2600 a.C.). A completare il quadro preistorico dentro il paese sono due fontane nuragiche, a est e ovest del monumento. È un caso di sovrapposizione cultuale: varie ‘fortezze’ spirituali si avvicendarono nel paese nella successione dei millenni.
L’Arresi è un nuraghe ‘a tancato’, ossia costituito da una torre principale unita a una secondaria da due bracci murari che racchiudono un cortile. L’edificio è realizzato con blocchi di calcare disposti a filari con ‘tessitura’ irregolare. La torre principale (mastio) ha un diametro di circa 13 metri ed è alta (oggi) sette metri, la torre secondaria è più piccola: il diametro è quattro metri e l’altezza residua due e mezzo. L’ingresso è nel braccio murario orientale, sormontato da un architrave di granito e immette in un andito sulle cui pareti si aprono due piccoli vani. Il corridoio conduce al cortile interno sul quale si affacciano le due torri. Dentro il mastio, lungo un corridoio, si affacciano un piccolo vano cieco e una stretta e ripida scala. All’interno della camera principale sono ricavate tre nicchie disposte a croce. Nella torre secondaria si trovano un piccolo vano e una nicchia contigui. Mancano tracce di terrazzo e coperture a tholos delle torri. Il complesso dà nome alla piazza in cui sorge, detta del Nuraghe, sede, a inizio settembre, di uno dei festival musicali sardi più famosi, nonché il più longevo: Ai confini tra Sardegna e jazz.
Altri nuraghi e tombe di Giganti sono disseminati nel territorio di Sant’Anna: lungo la strada che porta alla splendida Porto Pino – quattro chilometri di sabbia fine e bianchissima, con lagune e pinete che li contornano – c’è il complesso di Coi Casu, abitato fra il Bronzo antico e finale (XVII-XI secolo a.C.). È costituito da un nuraghe complesso con attorno un villaggio del quale affiorano i ruderi preservati da una rigogliosa macchia mediterranea. Tra le varie strutture, emerge un vano destinato alla conservazione di derrate alimentari. L’insediamento riprese a vivere in età tardo-punica (III-II secolo a.C.) sino a epoca bizantina (VII secolo d.C.).
Mangiabarche
Una scogliera chiara e levigata dal tempo, dolcemente curva e a strapiombo sul mare azzurro intenso e blu. Mangiabarche si trova sull’isola di Sant’Antioco, nel territorio di Calasetta, non distante dalle tre spiagge del paese: La Salina, Sottotorre e spiaggia Grande.
Pochissima sabbia a riva, mare cristallino d’estate, splendido per un’immersione e per pescare. Onde impetuose d’inverno. Il gioiello calasettano si affaccia davanti a uno scoglio, punta Mangiabarche, dove si staglia un piccolo faro solitario, il cui compito è evitare (a volte senza successo) che le imbarcazioni s’incaglino nelle rocce affioranti, che creano un fascino un po’ sinistro. Del resto, la scogliera deve il nome alla fama di aver fatto la sfortuna di marinai e naviganti.
Giochi di luce creati dall’acqua e il paesaggio insolito ne fanno, tutto l’anno, una delle tappe obbligate di chi visita l’arcipelago sulcitano: visita questo tratto di costa per un tuffo estivo rinfrescante oppure goditi il panorama incantevole nell’atmosfera porpora di un tramonto autunnale. Indimenticabile d’inverno quando, durante le mareggiate, gigantesche onde spumose esplodono contro il faro, mettendo in mostra tutta la potenza del mare.
Vicino alla scogliera ci sono piccolo parcheggio, bar, ristorante e hotel. Scendendo lungo la parte occidentale dell’isola, si trova un’altra perla del territorio di Calasetta: Cala Lunga, un fiordo d’acqua verde smeraldo che dal mare aperto conduce a una distesa di sabbia riparata da venti e correnti marine e immersa nella macchia mediterranea. Nella parte dell’isola appartenente al Comune di Sant’Antioco la spiaggia più vasta è Coacuaddus e un’altra meraviglia è Is Praneddas, terrazza sul mare, alta duecento metri, ricca di colori e odori di piante aromatiche. Nelle scogliere di Capo Sperone, punta più a sud dell’isola, nonché area a protezione speciale, potrai avvistare il rarissimo falco della regina e il falco pellegrino.