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Sud

Musei

L’acqua caratterizza il suo fertile territorio, che si distende nella valle del rio Cixerri ed è irrorato da altri affluenti del fiume principale, alimentati dalle sorgenti del vicino monte di Domusnovas. Musei è un paese di oltre mille e 500 abitanti facilmente raggiungibile dalla statale 130 che collega Iglesias a Cagliari, il cui curioso toponimo, ha origini oscure. Citato come Musej nei registri delle rendite pisane (1323) e come Musey in un documento del Codex Diplomaticus Sardiniae (pochi anni dopo), successivamente, nel Medioevo e fino al XVII secolo, si chiamava Villa di Prato, appartenuta prima al giudicato di Calari e dal 1257 alla famiglia pisana dei Della Gherardesca, un tempo proprietari del castello di Acquafredda, nel territorio di Siliqua, al centro della valle. In coincidenza con l’arrivo dei gesuiti, il nome cambiò: forse lettura del nome Iesum al contrario oppure corruzione della parola moisè, insediamento di ebrei qui impiantato, o ancora dal termine semitico mosià (mansione). Fu proprio la compagnia di Gesù, cui il paese fu lasciato in eredità nel 1607 dal feudatario (e protettore dei gesuiti) Monserrato, figlio di Elena Nicolau, noto umanista e giudice della reale Udienza, a guidare la nascita del nuovo centro. Furono costruiti una chiesa tardo-barocca, dotata di pregevoli opere, tra cui una croce astile laminata in argento, e il convento di sant’Ignazio di Loyola, patrono fondatore della compagnia di Gesù, celebrato a fine luglio. Intorno sorsero le abitazioni. I gesuiti, oltre che dedicarsi ad apostolato e attività culturale, diedero anche nuovo impulso ad agricoltura, in particolare coltivazioni di grano e vigneti, e allevamento, per il quale nel Settecento il paese era uno dei più rinomati nell’Isola. Da qui nasce la forte tradizione agropastorale dell’attuale Musei.

La fertilità del territorio ha da sempre attirato popoli in quest’area. Le presenze umane nell’Antichità sono testimoniate da nuraghi e reperti punici e romani, in particolare un sito vicino all’antico villaggio Arruinalis, dove si ritrovano fondamenta di edifici antichi.

Sud

Sinnai

Si adagia sui rilievi che delimitano il Campidano meridionale: dalla sua posizione il panorama arriva sino al golfo degli Angeli a sud e all’oasi dei Sette Fratelli a nord-est. Sinnai è una città di 17 mila abitanti dell’area metropolitana di Cagliari, storicamente fondata sull’attività agropastorale, oggi su industria e terziario. Restano vive olivicoltura e produzioni vitivinicole e di miele. La tradizione artigiana è incentrata su intreccio del giunco per farne cestini e lavorazione dell’oro a filigrana, da cui derivano is prendas, splendidi gioielli. Artistici sono gli abiti femminili in stoffe preziose: la maestria femminile li ha resi opere d’arte.

Il vasto e variegato territorio di Sinnai si estende sino al mare, da una porzione della splendida Torre delle Stelle al borgo turistico di Solanas, a oltre trenta chilometri dalla città, lungo la panoramica per Villasimius. A Solanas una lunga e ampia spiaggia di s​abbia dorata e soffice si immerge in acque con tutte le gradazioni di verde e azzurro.

Anche l’entroterra offre suggestivi paesaggi naturalistici. Da inizio XX secolo la pineta di Sinnai rappresenta un ‘polmone verde’ di conifere, luogo di passeggiate e svago. Spettacolare è il parco Sette Fratelli-monte Genis, le cui vette, sa Ceraxa e Serpeddì, superano i mille metri. Nelle foreste di mont’e Paulis, Minniminni e vicino al lago di Corongiu spuntano lecci, sughere, olivastri, filliree, ginepri e lentischi. Seguendo itinerari segnalati di trekking e mountain bike, potrai imbatterti in cerbiatti e donnole e vedere il volo di aquila reale e falco pellegrino. Nel parco potrai visitare il museo del cervo sardo a Campuomu.

Il centro storico è caratterizzato da stretti vicoli, case campidanesi ed edifici di pregio, tra cui il palazzo civico (1860) e l’antica caserma dei Cavalleggeri, dove oggi è allestito il museo di Sinnai. Al suo interno, la pinacoteca con opere pittoriche, da XVI secolo a età contemporanea, e la sezione archeologica, che ‘racconta’ le vicende da Neolitico a Medioevo. Scoprirai i reperti provenienti dal nuraghe di santa Itroxia, dal tempietto nuragico di Bruncu Mogumu e testimonianze fenicio-puniche, tra cui la statuina del dio Bes. Le chiese rappresentano un prezioso patrimonio architettonico. In città e dintorni ci sono l’ex parrocchiale di santa Vittoria, nominata in un documento del 1141, e l’attuale parrocchiale di santa Barbara vergine in stile gotico-aragonese. All’interno è conservato un vero museo d’arte composto da altari e fonti battesimali in marmo, dipinti, statue lignee e manufatti d’argento. Nelle frazioni troverai quella romanica di santa Barbara di Solanas e quella di san Gregorio.

Sud

Narcao

È famoso per il villaggio minerario di Rosas, esempio di archeologia industriale divenuta attrazione turistica, e per Narcao Blues festival, una delle principali rassegne musicali sarde. Narcao è un paese del basso Sulcis di oltre tremila abitanti, il cui territorio ondulato si estende tra monti dalla forma ‘a giara’, coperti di macchia mediterranea, querce e boschi di pini ed eucaliptus. Da non perdere la grotta di su Bacculu, dove ammirerai stalattiti e colate suggestive. Proprio le cavità sono state teatro dei primi insediamenti nel territorio, risalenti al Neolitico: i reperti della grotta di su Maiu sono conservati nel museo archeologico nazionale di Cagliari. Il paesaggio è disseminato di resti di strutture abitative preistoriche, dolmen e menhir, nonché pezzi di ossidiana.

Risalente al Bronzo antico è il grande protonuraghe Atzei, con struttura ‘a corridoio’. Nella frazione Terraseo, noterai i resti di un tempio punico dedicato a Demetra e Kore: in un altare sono state rinvenute statuette fittili rappresentanti la dea. Mentre tombe romane sono emerse a Ollastra Frogheri. I monaci benedettini furono i primi a occupare le fertili campagne di Narcao attorno al 1000: a loro si deve il campanile della parrocchiale di san Nicolò, patrono celebrato a metà agosto. Il centro visse un periodo florido sino al XIV secolo, poi si spopolò. A fine XVII secolo vi si insediarono contadini e pastori: a simboleggiare la conformazione dei nuclei di case è il medau o furriadroxiu (piccolo agglomerato rurale) di is Meddas, frazione del paese, che conserva la struttura originaria: una corte centrale su cui si affacciano basse case dei contadini e palazzotto del proprietario terriero. Le dimore campestri si addensarono fino a creare l’attuale abitato, caratterizzato da case in mattoni crudi e decorate con murales raffiguranti scene di vita in miniera. Non a caso Narcao è stato protagonista dell’attività estrattiva nel Sulcis: il territorio è costellato di miniere dismesse, tra cui le Rosas, immerse tra i monti di Terrubia e comprese nel parco Geominerario della Sardegna: qui da 1851 a 1978 si estrassero piombo, rame e zinco. Edifici e strutture sono stati ristrutturati e trasformati in parco-museo ‘a cielo aperto’, inserito in un paesaggio incontaminato con sentieri per trekking, mountain bike e passeggiate a cavallo. Nella piazza della laveria, cuore del borgo, ammirerai ex ufficio postale e direzione (ora ristorante), forno e depositi di stoccaggio, fucina (oggi bar), foresteria e alloggi dei minatori, divenuti case-vacanza. Il parco Rosas è insieme esposizione di ingegneria e antropologica: gallerie, ‘pozzetti’ e mulini (funzionanti) per lavorare i minerali documentano lo sviluppo tecnologico, le sale multimediali con pannelli illustrativi e attrezzature ripercorrono l’epopea mineraria, le voci stesse dei minatori raccontano condizioni di lavoro e vita di operai e famiglie. Il paese è famoso a livello artistico: dal 1991, a fine luglio, va in scena Narcao Blues Festival, festival musicale molto apprezzato nel panorama nazionale, con interpreti di fama mondiale.

Sud

Sa Corona Arrubia

La ‘Corona rossa’ è un altopiano basaltico, nelle campagne di Collinas e Lunamatrona, ricoperto di licheni rossi che accentuano la loro colorazione al tramonto. Qui, sorge un museo sui generis, che è insieme polo scientifico e centro culturale, capace di ricevere dalla sua nascita centinaia di migliaia di visitatori con le esposizioni permanenti, articolate in tre padiglioni - faunistico, botanico e antropico - e le mostre temporanee di livello internazionale, tra cui ‘i dinosauri’, ‘i Grandi di Spagna’, ‘Leonardo da Vinci’ e ‘l’antico Egitto’.

Nella sezione faunistica ammirerai la più ampia e completa esposizione di diorami della Sardegna: otto ricostruzioni tridimensionali a grandezza naturale di ambienti del territorio popolati da flora e fauna locale. Osserverai gli ecosistemi delle giare, boschi di leccio, ambienti ripariali e pascoli aridi. La sezione botanica a sua volta si suddivide in micoteca, xiloteca ed erbario: esplorerai il mondo vegetale a 360. Un fascino particolare emanano le vetrine con la descrizione dell’uso delle piante officinali nel corso dei secoli e i pannelli con le accurate descrizioni dei funghi.

Il padiglione antropico contiene una sezione archeologica e una antropologica. All’ingresso osserverai la ricostruzione di una capanna prenuragica a grandezza naturale. Proseguendo nella visita ammirerai ricostruzioni in pietra di monumenti nuragici: fortezze polilobate, tombe di Giganti, pozzi sacri. Nell’excursus sarai aiutato da una tavola comparativa del tempo, che confronta le epoche generali preistoriche e protostoriche alle epoche sarde, con evidenza degli eventi principali. Le sale ‘antropologiche’, invece, mostrano uno ‘spaccato’ di vita contadina della Marmilla nella prima metà del XX secolo, attraverso gli occhi degli abitanti di allora.

Di proprietà de sa Corona Arrubia, attualmente organizzata in mostra itinerante, è anche una collezione di 200 giocattoli tradizionali realizzati a mano. Il museo, inoltre, ospita periodicamente conferenze su temi scientifici e culturali, presentazioni, mostre d’arte ed eventi musicali. All’esterno potrai seguire percorsi didattici nel parco geobotanico, in cui sono coltivate specie vegetali mediterranee.

Sa Corona Arrubia, oltre a indicare l’altopiano su cui sorge il museo, dà nome del consorzio di 18 Comuni della Marmilla, formatosi per favorire la valorizzazione del patrimonio culturale territoriale. La struttura è dedicata a Giovanni Pusceddu, storico sindaco di Villanovaforru, tra i maggiori promotori dell'iniziativa.

Oltre che vedere le riproduzioni nuragiche in scala uno a uno nel museo, nei suoi dintorni potrai ammirare ‘autentiche’ testimonianze archeologiche: a Lunamatrona, su Cuaddu de Nixias, la più antica tomba di Giganti rinvenuta, e il protonuraghe Trobas; a Villanovaforru, il nuraghe Genna Maria e il civico museo archeologico; a Collinas, il nuraghe Concali e la tomba sa Sedda de sa Caudela.

Sud

Nuraghe Piscu

Il nome deriverebbe da su piscu, ossia il vescovo della diocesi di Barbaria, al quale i giudici di Cagliari fecero numerose donazioni, compreso il terreno dove sorge il parcoarcheologico. Il nuraghe Piscu si erge imponente su una collina, lungo la statale 128 per Senorbì e Mandas, a pochi passi da Suelli, nel Medioevo sede vescovile e da sempre centro di venerazione di san Giorgio vescovo.

Citato in vari documenti medioevali e noto localmente come sa domu de s’orcu, il Piscu è il più monumentale e meglio conservato dei 200 nuraghi censiti in Trexenta, ‘indagato’ archeologicamente e restaurato negli anni Ottanta del XX secolo. La maestosa architettura complessa sorse tra Bronzo Medio e recente (XV-XI secolo a.C.), costruita con blocchi di marna calcarea, lavorati e disposti su filari regolari, e formata da una torre principale, la più antica della struttura, e quattro torri angolari, unite da spesse mura, costruite in una fase successiva. All’interno del bastione, quasi un quadrato con lati di circa trenta metri, è delimitato un cortile. Attorno, un basso antemurale di grossi massi ‘abbraccia’ cinque torri sporgenti e include all’interno un villaggio di numerose capanne circolari e quadrangolari.

Alla torre principale, alta nove metri e di undici di diametro, accederai da un ingresso architravato con sovrastante finestrino di scarico. Il corridoio presenta due nicchie contrapposte e introduce nell’ampia camera a thòlos, costruita con blocchi sbozzati di calcare. La tecnica è ‘ad aggetto’: gli anelli diminuiscono di diametro man mano che si sale. In origine doveva essere costituita da due piani raggiungibili da una scala o attraverso spalti esterni. Il corridoio sfocia poi nel cortile, sul quale si aprono gli ingressi alle quattro torri secondarie di dimensioni differenti fra loro. Due di esse sono contigue, per cui l’insolita planimetria sembra quella di un trilobato più che di un quadrilobato. Le quattro torri presentano nicchie e feritoie, la maggiore è simile per dimensioni al mastio, dotata di camera circolare e un vano con pianta a T.

All’interno del muraglione è stato riportato alla luce un pozzo con funzione di cisterna per raccogliere acqua piovana. Nel fondo emersero vari tipi di vasi, alcuni piccoli con manico e cavità superiore tagliata diagonalmente (forse bicchieri). I primi scavi risalgono al 1860: nel mastio furono rinvenuti un grande giara infissa in terra e coperta da una lapide, gusci di ostriche, zanne di cinghiale e ossa di animali; in una camera e nell’andito, uno scodellino di bronzo, cocci, pezzi di macine di pietra, un pezzo di marmo, forse usato per conciare pelli e grano carbonizzato.

Il Piscu è l’edificio più rappresentativo di un’area ad alta densità preistorica, posto a controllo delle fertili vallate circostanti. Dalla piccola collina in cui sorge, dominerai con lo sguardo altri nuraghi, 15 circa, tra cui il Planu Senis, nonchè siti prenuragici, come le necropoli di Pranu Siara e di Santu Perdu.

Sud

Guamaggiore

Il suo territorio ondulato si estende dalle fertili colline della Trexenta alle falde dei monti Saturno e San Giovanni. Guamaggiore è un paesino di mille abitanti, da sempre centro cerealicolo. Produce eccellenti farine di grano duro, da cui si ricavano paste fresche artigianali. Tra i prodotti tipici, anche le fave, protagoniste di pietanze locali. La tradizione gastronomica si esprime in preparazione particolare di lumache, coniglio a su chittu e dolci (amarettus, gateau e pardulas).

La presenza umana nel territorio di Gomaiori (in dialetto locale) è documentata da epoca prenuragica: a metà del IV millennio risalgono gli insediamenti del vicino monte san Mauro. Resti di ben 25 nuraghi, spesso posti a difesa del territorio, attestano la densa frequentazione nell’età del Bronzo. Le pietre nuragiche furono riusate per la costruzione di antichi edifici di culto cristiani. In particolare, la chiesetta di Santa Maria Maddalena, parrocchiale medioevale, realizzata a partire dal 1219 sulle rovine (e con i materiali) del nuraghe che si trovava sul colle a sud-ovest dell’abitato, un tempo fulcro, oggi ingresso, del paese. L’interno è a navata unica con copertura lignea a capriate. Porticato e campanile a vela caratterizzano l’esterno. Di fronte al piazzale antistante la chiesa, che ospita a fine luglio le celebrazioni in onore della santa, si erge la chiesa di San Pietro apostolo, santuario romanico costruito a fine XIII secolo in cima a una scalinata. La struttura rettangolare ha navata unica con tre nicchie nel presbiterio. La copertura è in tegole sopra un tavolato in legno. In un’imponente acquasantiera del 1675 è scolpito il viso di un puto. Nel frontale si apre un portale con arco a sesto acuto sormontato da un campanile a vela.

Successivamente l’abitato si sviluppò attorno alla nuova parrocchiale di San Sebastiano martire, costruita nel secondo XVII secolo. La scelta del luogo di fondazione è legata a un epidemia di peste. Gli abitanti superstiti di Gueymajori, stanziati vicino a San Pietro, la edificarono come voto al martire. Divenne il ‘nuovo’ centro del paese, attorno a cui oggi sorgono belle case rurali in ladiri (mattoni di argilla). Di pianta rettangolare, la parrocchiale è arricchita nel presbiterio e nelle cinque cappelle laterali da marmi policromi e statue lignee. Molti arredi di pregio sono ascrivibili al primo impianto, come il lavabo della sagrestia (1678). Nel coro si conserva un antico organo a canne. Alla facciata si addossa una torre campanaria a pianta quadrata. In onore del santo ogni anno si celebrano due feste: il 20 gennaio, con accensione del falò, e a inizio maggio, con una caratteristica sagra, is carrus a monti.

Sud

Sant'Efisio di Nora

Tutto ebbe origine nel 303 d.C., quando i romani eseguirono la condanna a morte del soldato Efisio, colpevole di essersi convertito e aver professato il cristianesimo. Sul punto esatto del martyrium, in epoca altomedievale, fu edificato un santuario. Sin qui la leggenda, poi la storia della chiesa di sant’Efisio assume connotati più definiti nel tardo XI secolo, quando risulta donata - assieme a numerosi altri luoghi di culto – all’ordine dei monaci vittorini di Marsiglia, che ricostruirono il santuario nelle forme romaniche in voga al tempo, reimpiegando conci in arenaria e calcare provenienti dalle rovine dell’antica città di Nora.

La chiesa sorge accanto alla bella spiaggia di Nora, a circa quattro chilometri da Pula, e deve parte del suo fascino alla posizione, a ridosso dell’arenile. All’interno, sarai pervaso da un’atmosfera mistica e suggestiva, grazie alla fioca luce che penetra dall’oculo che si apre sopra l’abside e alla cripta dalla pianta allungata scavata sotto il presbiterio, dove si apre una struttura cupolata che, secondo tradizione, corrisponde al luogo dell’uccisione e della sepoltura del santo.

La pianta è a tre navate voltate a botte con sottarchi, divise da arcate impostate su robusti pilastri. Nel lato sud della muratura esterna noterai l’inclusione di una stele funeraria fenicio-punica. Il portico e l’atrio addossati alla facciata sono un’aggiunta del XVII-XVIII secolo, probabilmente edificati per riparare dal sole i sempre più numerosi pellegrini. La facciata originaria sorgeva in corrispondenza del campanile a vela.

Il culto di Efisio unisce il piccolo santuario a Cagliari, in particolare al quartiere medievale di Stampace, dove sorge un’altra chiesa dedicata al martire, anch’essa edificata in base alla tradizione sopra un luogo simbolico. La cripta sottostante sarebbe stata, infatti, la prigione del santo, prima del trasporto a Nora per l’esecuzione capitale. Da qui, a partire dalla metà del XVII secolo senza interruzioni, gli abitanti del capoluogo sciolgono un voto verso sant’Efisio, a seguito della cessazione di un’epidemia di peste. Attraverso i secoli, il pellegrinaggio si è trasformato in una della più maestose processioni in Italia, durante la quale migliaia di fedeli accorrono da tutta la Sardegna per accompagnare il simulacro del santo all’interno di un cocchio. Si parte il primo maggio, con arrivo a Nora il giorno successivo. Il 3 maggio si svolgono i riti celebrativi in spiaggia, il giorno dopo, in tarda serata, sant’Efisio, scortato dall’immenso corteo, fa rientro a Stampace.

A poche decine di metri, la tua visita culturale prosegue nell’area archeologica di Nora, dapprima porto ed emporio fenicio, di cui resta il tophet, poi importante centro punico, testimoniato dalla necropoli, infine florida urbs romana, della quale ammirerai i ruderi delle terme e dell’anfiteatro, la piazza del foro e la ‘casa dell’atrio tetrastilo', decorata con preziosi mosaici.

Sud, Est

Su Nuraxi 'e Pauli

Da sempre è avvolto da un alone di leggenda, mentre posizione, struttura e vicinanza con fortezze simili fanno supporre che fosse un ‘nuraghe-vedetta’, inserito in un sistema di controllo del territorio. Su Nuraxie Pauli deve il nome alla località del territorio di Seulo in cui sorge, distante poco più di due chilometri dall’abitato del paese. È un nuraghe monotorre, costruito mettendo in opera filari irregolari di blocchi di scisto. Il diametro misura poco più di dieci metri, mentre la torre si conserva per un’altezza residua di circa sette metri. Ti sorprenderà il notevole spessore murario, superiore ai due metri. Dall’ingresso accederai a un andito con copertura a ogiva. Sulla sinistra si apre il vano scala, i suoi gradini conducono in cima alla torre; mentre sulla destra noterai una nicchia. L’andito termina nella camera principale, a pianta circolare, nella quale noterai altre due nicchie.

Il nuraghe svetta sulla sommità di un rilievo roccioso, dal quale ammirerai un suggestivo panorama verso la valle del rio Medau, punteggiata da boschi di roverella, con il monte Perdedu sullo sfondo. L’altro nome del nuraghe è Mannu, per differenziarlo da un’altra torre che sorge a duecento metri in direzione sud-est: si tratta de su Nuraxeddu, ‘il nuraghe piccolo’. La torre è parzialmente crollata, si conserva per pochi filari del tutto simili a quelli usati per su Nuraxi ‘e Pauli. Su Nuraxeddu condivide con il suo ‘vicino maggiore’ anche lo spessore delle mura e la presenza di nicchie nella camera principale. Secondo una leggenda diffusa a Seulo, le due torri sarebbero collegate da un tunnel sotterraneo scavato nella roccia scistosa e impenetrabile per gli assalitori. La posizione del secondo nuraghe è in ogni caso strategica: oltre al contatto visivo con la torre principale, dall’alto della collinetta su cui si erge – a circa 700 metri d’altitudine – si domina la valle del rio Medau più da vicino, oltre che si mantiene un contatto visivo con l’insediamento nuragico del vicino altopiano di Taccue Ticci. Qui osserverai le tracce di un villaggio con una trentina di strutture, una tomba di Giganti e i resti di un terzo nuraghe. A differenza degli altri due, il nuraghe Taccue Ticci era probabilmente di tipo complesso, in quanto attorno al mastio sembrano individuarsi le tracce di almeno tre torri secondarie. Poco distante, in direzione sud-est, osserverai la tomba di Giganti: si individua un corpo rettangolare con all’interno la camera sepolcrale, mentre l’esedra è del tipo a filari.

Non solo eredità archeologiche, il territorio di Seulo è celebre per bellezze paesaggistiche, legate soprattutto all’acqua: al confine con il territorio di Sadali ammirerai la spettacolare cascata di su Stampu de su Turrunu: l’acqua ha scavato nella parete rocciosa un inghiottitoio che a sua volta ha generato una grotta, dalla quale la cascata si tuffa in un laghetto cristallino. Un’altra imperdibile cascata si trova al confine con Gadoni, è sa Stiddiosa: qui l’acqua sgocciola come una pioggerellina, cadendo in una piscina naturale verde smeraldo.

Sud

Giara di Siddi

Vista dall’alto, ha una curiosa forma a ‘T’ rovesciata, con alte pareti scoscese, ma non è la sua unica particolarità: il lato meridionale presenta macchie rossastre e, al suo interno, custodisce preziose eredità prenuragiche e nuragiche, compresa una delle tombe di Giganti meglio conservate dell’Isola. La Giara di Siddi, detta anche su Pranu, è uno dei tre ‘tavolati’ basaltici della Marmilla originatisi in seguito a una colata lavica avvenuta tra i due e i cinque milioni di anni fa. Nel corso del tempo gli agenti atmosferici erosero la roccia di arenaria, mentre gli strati solidificati di lava si conservarono a un livello superiore, dando origine, oltre alla Giara di Siddi, a quella di Serri e a sa Jara Manna (o Giara di Gesturi), la più ampia delle tre, ‘casa’ dei famosi cavallini.

Su Pranu si estende per due chilometri e mezzo in lunghezza e un chilometro e mezzo in larghezza, arrivando a circa 360 metri di altitudine nel punto più elevato. L’altopiano è ricoperto di verde mediterraneo, con numerose essenze profumate. Noterai anche esemplari di quercia da sughero. Nel versante sud, la parete presenta una fessurazione colonnare, che nel tempo è divenuta ‘dimora’ di licheni rossastri. La colorazione ha dato origine al nome della località sa Corona Arrubia, tra i territori di Collinas e Lunamatrona, dove sorge il museo naturalistico del territorio, intitolato a ‘Giovanni Pusceddu’. Dalla ‘giara’ ammirerai un panorama mozzafiato, che spazierà dalla pianura del Campidano alle colline ondulate della Marmilla, fino al massiccio del Gennargentu e, nelle giornate terse, al mare.

Le pareti a strapiombo e la posizione sopraelevata garantirono una difesa naturale alle popolazioni prenuragiche e nuragiche. Non è un caso che la Giara di Siddi ospiti una ventina di nuraghi – alcuni collocati quasi sul precipizio delle pareti -, oltre ad altre strutture arcaiche. La principale è sa Dom'e s'Orku, maestosa tomba di Giganti che sorge sul versante nord-occidentale dell’altopiano. Il monumento megalitico è in ottime condizioni, realizzato con la tecnica a filari, mettendo in opera grossi blocchi di basalto scuro. L’esedra ha un diametro di 18 metri, mentre il corpo tombale ne misura 15. A poca distanza dalla sepoltura potrai osservare anche il nuraghe e la fonte sacra Conca ‘e sa Cresia. Nel nuraghe, in origine a corridoio, poi ‘ristrutturato’ come nuraghe complesso a tholos, è stato rinvenuto un crogiolo per la fusione del vetro: potrebbe trattarsi del più antico sito di produzione del vetro in Europa, forse addirittura precedente all’antico Egitto. Nel versante est della Giara merita una visita il parco archeologico-naturalistico Sa Fogaia. La parte alta è ‘occupata’ dall’area archeologica, con un nuraghe a corridoio e un villaggio dove si lavorava l’ossidiana, mentre a valle si estende il ‘giardino’, con leccete, macchia mediterranea e centinaia di specie vegetali, piante aromatiche e officinali.

Sud

Parco archeologico di Monte Luna e Museo 'sa Domu Nosta'

Una necropoli con ricchi corredi funerari, le tracce del villaggio da cui dipendeva e un moderno museo custode dei reperti dei due siti raccontano quanto fosse prospera la comunità punica insediatasi tra le silenziose colline della Trexenta e di come incise profondamente in un territorio abitato sin dalla preistoria e che, dopo il dominio punico, divenne ‘granaio di Roma’. L’insediamento nacque a fine VI secolo a.C. sull’altura di Santu Teru (Teodoro), a due chilometri dall’attuale abitato di Senorbì, vicino alla confluenza di due torrenti, in una zona fertile e strategica, un luogo abitato sin dal Neolitico recente come dimostrano frammenti di ceramica decorata e oggetti in ossidiana del IV millennio a.C.

Il sito, avamposto della penetrazione cartaginese, seguita alla conquista dell’Isola, si sviluppò tra V e III a.C. come fiorente centro agricolo. Oggi vedrai i ruderi dell’acropoli circondata da una cortina muraria e, all’esterno, resti di abitazioni e altri ambienti, forse officine fusorie. Gli abitanti di Santu Teru erano sepolti in necropoli vicine, una a poche decine di metri dall’abitato, sulle pendici del Monte Luna, dove sono state individuate oltre 120 tombe, in gran parte realizzate ‘a pozzo’ con camere sepolcrali sui lati contenenti uno o due defunti. Sul pavimento degli ipogei sono ricavate vaschette votive, nicchie sulle pareti, dove osserverai anche tracce di dipinti murali in ocra rossa, raffiguranti motivi geometrici e lineari. La necropoli comprende anche sepolture ‘a fossa’ con gradini, ‘a fossa terragna’ semplice (le più antiche), ‘a cassone’, in loculi e a enchytrismos (dentro anfore), per i bambini. Le tombe più superficiali erano segnalate da cippi o tumuli. I corredi funebri raccontano di una civiltà ricca, di benessere e progresso: anfore, brocche, piatti, unguentari, vasetti, lucerne, monete, nonché manufatti d’ispirazione egizia e d’importazione greca e centro-italica (del IV-III a.C.), che confermano gli scambi col Mediterraneo centro-orientale. Soprattutto i gioielli in oro e argento testimoniano lo sfarzo della comunità: anelli e pendenti con scarabei incastonati, bracciali, collane, diademi, un gran numero di amuleti, in vari materiali e oggettini in bronzo. Il villaggio fu abbandonato nel III secolo a.C. Successivamente Monte Luna rappresentò il centro più rilevante di epoca romana. I corredi funebri e altri reperti del parco archeologico sono esposti nel museo sa Domu Nosta, allestito in un’ottocentesca casa padronale ‘a corte’ del paese. Le sale espositive documentano la continuità di insediamenti dal Neolitico recente al Medioevo nel territorio di Senorbì, compresa l’età nuragica con reperti che provengono dall’imponente su Nuraxi di Sisini e dai resti dei nuraghi di Simieri e di monte Uda. Famoso reperto rinvenuto vicino al paese, è il miles cornutus, bronzetto che raffigura un guerriero con altissime corna sull’elmo, custodito nel museo archeologico nazionale di Cagliari. Completa l’esposizione una sezione etnografica. Oltre a sa Domu Nosta, altre dimore antiche impreziosiscono il centro principale della Trexenta, ‘fitto’ intreccio di strade strette, al cui interno si trovano la parrocchiale di santa Barbara, la seicentesca chiesa di san Sebastiano e la chiesa di santa Mariedda, costruita a fine XIII secolo come santuario della villa di Segolay.