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Boroneddu

Si distende su un altopiano basaltico che degrada dolcemente verso la vallata del lago Omodeo, oasi naturale dove fare lunghe escursioni, immerso in una cornice di boschi di roverelle e macchia mediterranea, con sullo fondo i contrafforti del Barigadu. Boroneddu è un piccolissimo borgo agropastorale di 150 abitanti, compreso nel territorio del Guilcer, Comune autonomo dal 1988, dopo essere stato per 60 anni frazione di Ghilarza. Un tempo sotto il giudicato d’Arborea, è citato per la prima volta nel condaghe di santa Maria di Bonarcado con il nome originario di Orene - altrove è detto Borene -, villaggio medioevale, di cui resta solo il novenario di san Salvatore, a due chilometri dal paese. La chiesa, frutto di aggiunte e rifacimenti nel corso dei secoli, è addossata alle muristenes, alloggi per pellegrini durante le novene.

Il santuario custodisce un concio di basalto troncoconico su cui è scolpita in bassorilievo una croce bizantina ed è sede delle celebrazioni del santo a metà settembre. Il paese si dispone attorno alla parrocchiale di san Lorenzo martire, eretta nel 1886 con conci squadrati di basalto bruno. La facciata è tripartita da lesene e ha accanto un campaniletto a vela. L’attrattiva culturale più curiosa è il piccolo museo della fiaba sarda, che propone il mondo misterioso delle fiabe tradizionali isolane – comprese quelle dell’artista Maria Lai - ‘abitate’ da personaggi come Maschinganna, Janas, Luxia Arrabiosa e altri: un mondo raccontato intorno al fuoco dai nonni ai nipoti. Nel percorso museale, composto da grandi pannelli, sono rappresentati su pinnettu, caratteristico rifugio di pastori e contadini, e le tipiche case agropastorali, dove domina la figura della donna: ‘la’ vedrai mentre cuce i tessuti al telaio e lavora e cuoce il pane nel forno. Tra gli appuntamenti di Boroneddu da non perdere, i fuochi di sant’Antonio abate a metà gennaio, con offerta de sa panischedda, dolce con sapa, noci e mandorle, la sagra degli asparagi e dei finocchi selvatici a marzo e, in estate, la sagra del fico d’India, dove potrai assaggiare pietanze a base del frutto, le cui piante crescono diffusamente e rigogliose lungo i costoni basaltici attorno al paese.

La radice del nome (Bor-) sarebbe da collegare a ‘sorgente’, avvalorata dalla vicinanza del fiume Tirso, oppure a ‘nuraghe’, non a caso una ‘corona’ di nuraghi circonda l’abitato. La fertilità del territorio ha attratto sin dalla preistoria insediamenti stabili: il complesso di su Montigu è il più famoso. Si aggiungono i nuraghi Cortinas, Fiscas, Ispinosu, Malosa, Trubeli e nel punto più alto, il nuraghe Ostele.

Bono

Sorge a oltre 500 metri d’altezza sulle pendici del monte Rasu in mezzo a una grande varietà di paesaggi. Bono, considerato il ‘capoluogo’ del Goceano, è un paese di 3600 abitanti in provincia di Sassari, che mantiene uno stretto legame col Nuorese. È un tipico borgo agropastorale con tradizioni artigiane: lavorazione di ferro e legno, tessitura con antichi telai e panificazione. Un continuo alternarsi di pianure e rilievi caratterizza il suo multiforme territorio, che si estende dalla valle del Tirso al Rasu, la cui vetta è sa Punta Manna (1259 metri). Sul suo pendio da non perdere la suggestiva località sos Nibberos, che include la foresta di tassi più ampia d’Italia, monumento naturale: alcuni esemplari millenari sono alti oltre 15 metri. Mentre nell’oasi naturalistica di monte Pisanu, in mezzo a vari laghetti, sono state impiantate specie come cedro atlantico, roverelle, tuie giganti e abete bianco.

Tra XII e XIII secolo Bono apparteneva al giudicato di Torres, in quel periodo sorse, in stile romanico-pisano, il primo impianto dell’attuale parrocchiale di san Michele arcangelo, ampliata a fine XVI secolo, che conserva una quattrocentesca statua lignea del santo e un trecentesco calice d’argento dorato. La facciata in trachite rosa è del XIV secolo, impreziosita dal portale con snelle colonne e archetti pensili e da uno splendido rosone, proveniente da un convento sul Rasu, uno dei più antichi dell’Isola. Dal monastero proviene anche la statua di san Francesco d’Assisi custodita, insieme a quelle di altri santi nella chiesa di san Raimondo, celebrato tra fine agosto e inizio settembre con una processione in cui sono protagonisti abiti tradizionali, carri a buoi addobbati, cavalieri e antichi strumenti musicali. Molto sentiti sono anche i fuochi di sant’Antonio abate il 16 gennaio, con offerta di vino e cogones, caratteristiche focacce. Il santuario a lui intitolato è del XVIII secolo, così come quello di sant’Efisio, mentre San Giovanni battista è del XVI secolo. Dell’inizio del nuovo millennio (2001) è Nostra Signora di Bonaria che custodisce un bel simulacro della Vergine. Un’altra celebrazione va in scena il 30 novembre, la notte di sant’Andria, del tutto simile alla festa di Halloween. A valle del paese, troverai cinque chiese campestri: è ciò che rimane della villa abbandonato di Lorthia, da cui deriverebbe la popolazione bonese, la più antica, romanica, è dedicata ai martiri turritani Gavino, Proto e Giannuario. Le altre sono Santa Restituta, con tipiche cumbessias, San Nicola con facciata romanica, Santa Barbara, sorta sulle rovine di un nuraghe, e Sant’Ambrogio.

Sotto il regno dei Savoia, in seguito alla partecipazione ai moti antifeudali del personaggio più celebre di Bono, Giovanni Maria Angioy (1796), figura di spicco del XIX secolo sardo, il borgo fu attaccato dalle truppe piemontesi. Un murale dell’artista Liliana Canu in piazza Bialada ricorda i moti e il suo protagonista.

Curcuris

Il suo territorio è un rettangolo di appena otto chilometri quadrati a piedi del parco del monte Arci, dove si alternano dolci colline, attraversate dal rio sa Murta, in parte ricoperte da boschi, in parte coltivate a cereali e a foraggio per il pascolo. Curcuris è un paesino di 300 abitanti della parte orientale della Marmilla, Comune autonomo dal 1979, dopo essere stato frazione di Ales per oltre mezzo secolo. Durante l’età giudicale fece parte della curatoria di Parte Usellus, all’interno del giudicato d’Arborea, per poi passare sotto il dominio della Corona d’Aragona e successivamente fu feudo dei Carroz. L’abitato è di origine medioevale grazie alla concentrazione di antichi insediamenti a carattere agropastorale decentrati, mentre il territorio fu abitato sin dalla preistoria, in particolare durante l’età del Bronzo, cui risalgono i nuraghi Perda ‘e Mogoru e Soru. Anche l’epoca romana ha lasciato tracce evidenti.

Oggi rimarrai colpito dal centro storico, con tipiche case in pietra impreziosite da murales dipinti da artisti sardi. Al centro risalta la parrocchiale di san Sebastiano, risalente al XVI secolo con forme tardogotiche che nel tempo subirono sostanziali modifiche. Nell’altare maggiore spiccano le statue della Madonna del Rosario e del santo patrono, celebrato il 20 gennaio con falò in piazza e con rito antico legato agli auspici per il raccolto dell’anno appena iniziato.

Alle falde del monte Arci, ammantato da boschi di querce secolari, rossi lentischi e lecci, Curcuris offre panorami suggestivi. Con una passeggiata sul colle di santa Maria, vicino all’abitato, giungerai alla chiesa campestre della beata Vergine Assunta, edificata nel 1380 in stile gotico, oggi inglobata all’interno di un ampio recinto chiuso da un grande portale in legno. La facciata ospita un portale ad ogiva e un campanile a vela originale. In onore dell’Assunta si celebra la festa più sentita, a Ferragosto.

Ricchezza d’acqua e fertilità della terra hanno da sempre attratto popoli e favorito lo sviluppo agricolo e l’allevamento, cui sono legate antiche tradizioni: una di esse è la festa della tosatura, che si svolge ogni anno a inizio estate con un grande banchetto finale.

Capodanno in Sardegna, tutta un’altra musica!

Una terra mitica, speciale tutto l’anno, anche a Capodanno. Il fine anno in Sardegna è nel segno della musica in piazza, del coinvolgimento, dell’accoglienza. Paesaggi inimitabili e scenari suggestivi, luccicanti di festa, fanno da cornice a grandi eventi che salutano l’arrivo del 2025, protagonisti sono personaggi amatissimi della musica italiana e internazionale. Tradizioni affascinanti e bontà gastronomiche completano l’atmosfera delle feste open air in borghi e città. Cagliari, brinda al nuovo anno con Stewart Copeland sul palco principale e con altri eventi di un Capodanno diffuso che troverà, come da tradizione, in varie piazze concerti e spettacoli. A pochi passi dal capoluogo, la sera del 29 dicembre, Assemini ospita Tananai, attesissimo dai più giovani.

Ittireddu

Si distende sul monte Ruiu, circondato da vulcani spenti, le cui rocce hanno più di due milioni di anni. Ittireddu, piccolo e antico centro logudorese di poco più di 500 abitanti, risale a età bizantina, quando fu realizzato il primo impianto della chiesa di santa Croce, rifatta più volte nel corso dei secoli. Mentre il nome, letteralmente ‘piccola Ittiri’, risale al 1626. Accanto alla chiesetta sorge una fontana del 1861 in blocchi di tufo rosato. A un chilometro dal paese, la chiesa di san Giacomo, del XII secolo. Le mura sono di conci a vista, tipiche del romanico sardo, l’interno, ad aula unica, è coperto con capriate lignee. Il patrono santu Jagu è celebrato a fine luglio. Interessante è anche Nostra Signora Inter Montes che conserva una statua lignea del XVII secolo e tre sculture di fine XIX di Giuseppe Sartorio.

Il territorio è stato intensamente abitato sin dal Neolitico recente, come dimostrano 60 domus de Janas - molte pluricellulari, poche monocellulari - scavate nel tufo e raggruppate in cinque vaste necropoli (più tre ipogei singoli). La necropoli di monte Pira, databile tra Neolitico finale ed Eneolitico (2800-2300 a.C.), ha 26 sepolture. Superato l’ingresso a dromos (corridoio), vedrai nicchie, coppelle e bassorilievi che riproducono elementi architettonici delle abitazioni neolitiche per ricreare nella tomba l’ambiente domestico. Spicca la tomba XIV, riusata in età del Bronzo: sulla fronte c’è una stele centinata, monolite che caratterizza le tombe di Giganti della civiltà nuragica, Anch’essa è ben testimoniata: vicino al paese c’è sa Domo ‘e s’Orku, arcaico nuraghe ‘a corridoio’ (lungo nove metri). Mentre Funtana ‘e baule è un pozzo sacro, le cui mura in blocchi di tufo trachitico sono estremamente raffinate nella parte inferiore, con pietre perfettamente connesse fra loro A struttura complessa è il nuraghe Funtana, con torre principale cui furono aggiunte due torri e un muro. Nella camera c’è un sedile-bancone e c’erano due ‘tavolini’ lapidei, oggi esposti, insieme a tegami, ciotole, olle e un vaso a quattro anse contenente venti chili di rame in lingotti, nel Civico museo archeologico ed etnografico del paese. Il museo è anche rappresentazione della tradizione agropastorale e artigiana di Ittireddu. Tante le tracce romane: il centro era un mansio lungo la strada per Turris Libisonis e Tibula, nonché. In località Olensas ci sono dieci cisterne scavate nel tufo, forse contenitori per olio o olive (da cui il toponimo). A pochi metri, due pressoi e due vasche per la decantazione dell’olio. Al confine con Mores restano in piedi due arcate (delle tre originarie) di basalto nero e tufo chiaro del Ponte ‘etzu (ponte vecchio), lungo 18 metri. Tardo-romani sono gli ipogei funerari di sa Fraigada, ricavati nella roccia.

Est

Loculi

Si adagia nella piana solcata dal Sologo, affluente del Cedrino, a pochi chilometri dalle spiagge della Baronìa, circondato da colline e sorvegliato dal maestoso e candido profilo del Monte Albo, la ‘dolomite sarda’. Loculi, paesino di poco più di 500 abitanti, si trova a 34 chilometri da Nuoro. Il nome deriverebbe da locus, ‘bosco sacro’ o ‘piccolo luogo’. Mentre l’origine potrebbe essere fenicio-punica: nel 1959 in paese fu ritrovata una brocca contenente oggetti in bronzo e monete. Tradizioni agropastorali, artigiane e religiose contraddistinguono il centro. Delle 17 chiese esistenti tra XV e XX secolo, rimangono la parrocchiale di san Pietro e la Madonna de sa Defessa (della Difesa), in onore dei quali si festeggia, rispettivamente, a fine agosto e a metà gennaio. Molto sentiti i riti della Settimana Santa. Nel centro del paese sorge sa Domo de sas artes e de sos mestieris, dove scoprirai, attraverso le immagini del fotografo Carlo Bavagnoli, arti e mestieri baroniensi. Parte della lunga cresta del Monte Albo rientra nel territorio di Loculi: il bastione calcareo ti mostrerà scorci suggestivi lungo itinerari segnalati. I sentieri, un tempo percorsi da carbonai e pastori, s’inerpicano fin sulle cime - le vette ‘gemelle’ sono Turuddò e Catirina (1127 metri) – attraverso boschi di lecci e querce secolari. È oasi faunistica, popolata da mufloni e sorvolata dall’aquila reale. Nella parte a nord, dove la vegetazione si dirada, ti apparirà come un paesaggio ‘lunare’.

Il territorio di Loculi fu frequentato sin dal Neolitico, come documentano domus de Janas, scavate in frontoni rocciosi verticali, alcune ‘a camera unica’ (domu di Pira ‘e Tusu, di Locurréris e di Ena Longa), altre pluricellulari (domus di Tùrrighe e di Puntèri). A un periodo di passaggio da età prenuragica a nuragica risalirebbe una tomba megalitica di tipo dolmenico a Santa Maria di Loculi. Non mancano le sepolture nuragiche: la tomba di Giganti s’Iscusorju (‘tesoro nascosto’), a circa due chilometri dall’abitato, è ricoperta da lentischi, da cui appare un corridoio delimitato da massi granitici conficcati ‘a coltello’ e coperto con lastroni piattabandati. A 15 chilometri dal paese, c’è la tomba di Ena Tunda, di cui si conserva la parte inferiore di corpo allungato e absidato, corridoio rettangolare a sezione ogivale e fronte semicircolare (esedra). La tomba di su Gollèi Lupu, con stele centinata e pianta a sviluppo retto-curvilineo, parrebbe addossarsi a una precedente struttura dolmenica: attorno sono disseminate lastre di copertura. La disposizione dei nuraghi, collegati fra loro, rivela un disegno strategico difensivo. Del ben conservato Caraòcu (o Corricanu), resta un torrione alto cinque metri, la porta con architrave e parte della cella. Suggestivo anche il nuraghe Preda Longa.

Casteldoria

Un alone di mistero aleggia attorno alle vestigia di una fortezza a pochi passi da Santa Maria Coghinas, nella regione storica dell’Anglona. Arroccato nell’altura granitica detta monti di lu Casteddu (o anche monte Urtigiu), a ridosso della catena collinare del monte Ruju, Casteldoria (o castello dei Doria) domina una fertile vallata arricchita dalle acque ‘curative’ del fiume Coghinas e del lago di Casteldoria, dove i romani installarono un importante sito termale. Il castello fu edificato intorno al XII secolo dalla famiglia genovese dei Doria e visse alterne vicende sotto le dominazioni di Genova, Corona d’Aragona, giudicato d’Arborea e famiglia dei Malaspina.

Della fortificazione rimangono poche rovine: tratti delle mura, resti di una cappella e una grande cisterna che si suppone servisse per raccolta e approvvigionamento d’acqua. Ben conservata, invece, è la famosa torre, pezzo pregiato del castello, realizzata con grandi blocchi granitici rettangolari saldati a malta. Alta venti metri d’altezza, ha forma pentagonale con ingresso lungo il lato nord-orientale. Sullo stesso lato ci sono due grandi aperture non allineate e, nel lato opposto una grande finestra in corrispondenza del primo piano. Al suo interno è composta da tre livelli in legno, sovrastati dalla copertura con camminamento e tegole. L’ultimo piano fu ricavato con un soppalco prima del terrazzo.

A dare valore e ‘vita’ all’architettura sono le leggende che ravvolgono la storia di Casteldoria e in particolare la sua torre. Miti tramandati da generazioni e narrati anche dal premio Nobel Grazia Deledda nei Racconti sardi del 1894. Una fiaba parla di un intricato sistema di cunicoli sotterranei scavati tra fortezza e cappella di san Giovanni di Viddacuia (attuale Viddalba), situata sulla sponda opposta del Coghinas. Il passaggio segreto sarebbe servito ai Doria per recarsi in chiesa durante le festività. I cunicoli nascondono un altro segreto, quello di un esploratore che attraversando i passaggi sotterranei scoprì quattro grandi stanze, in una c’era una pesante porta di ferro: si dice che proteggesse il favoloso tesoro dei Doria. La Deledda descrive, accanto alla fortificazione, la ‘conca della moneta’, dove, secondo i racconti popolari, i Doria battevano denaro. Qui pare vi fosse anche una grande campana d’oro fatta risuonare da una pietra lanciata dall’alto verso il fondo della conca. A ovest della torre, dove i Doria passeggiavano nelle sere d’estate, si racconta che alti e imponenti bastioni, come guardiani, si affacciassero sul fiume.

Cheremule

Sorge accanto al monte Cuccuruddu, cono vulcanico spento di 680 metri, contornato dal verde di boschi, nella regione storica del Logudoro. Cheremule è un piccolo centro di meno di 500 abitanti che ha dato il nome alla cheremulite, pietra lavica usata nella seconda metà del XX secolo per il potere isolante. Il paese è all’interno, infatti, di un territorio costellato dai crateri vulcanici del Meilogu, divenuti monumento naturale protetto nel 1994, e di testimonianze preistoriche della Valle dei Nuraghi, con trenta complessi in poche centinaia di metri. Il paesaggio è insolito e unico: piccole alture a volte aguzze, a volte arrotondate e talvolta tagliate da tavolati pianeggianti.

Oltre ai nuraghi, nel suo territorio si trovano anche necropoli ipogeiche prenuragiche, in particolare la necropoli di Museddu con alcune domus de Janas riportanti graffiti e protomi taurine all’interno e all’esterno. Inoltre, sono disseminate alcune pinnettas, caratteristiche costruzioni pastorali in pietra di forma conica.

L’edificio principale è la chiesa parrocchiale di san Gabriele Arcangelo, patrono celebrato il 29 settembre, costruita nel XVI secolo in forme gotico-aragonesi. Il paese è stato scelto dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga per celebrare le sue esequie (2010). Dalle sue pendici si distendono il bosco di su Tippiri e la pineta del monte Cuccuruddu, attrazioni naturalistiche da non perdere.

Sud

Decimoputzu

Sorge nella parte meridionale della piana del Campidano, un territorio molto fertile attraversato da vari fiumi, in particolare dal Rio Mannu. Decimoputzu è un paese di circa 4500 abitanti, il cui toponimo è citato per la prima volta nel Medioevo nelle forme di Decimopozzo o Decimo Pupussi quando il territorio era parte integrante della curatoria di Gippi all’interno del giudicato di Cagliari prima e del Regno di Sardegna in seguito, durante il dominio aragonese-spagnolo. Il centro abitato ha due chiese principali: la parrocchiale di Nostra Signora delle Grazie e la chiesa di san Giorgio. In campagna c’è quella di san Basilio. Le campagne attorno al centro abitato sono caratterizzate da serre e vasti campi di carciofi.

Il territorio fu abitato sin dal Neolitico. I siti nuragici più importanti sono i nuraghi Casteddu de Fanaris e di monte Idda, vicino al quale c’è un ripostiglio, dove furono rinvenuti oggetti in bronzo tra i quali diverse spade. Sempre a età nuragica risale la testa in avorio di una statuetta di soldato miceneo, a conferma di scambi con civiltà dell’Egeo, proveniente dalla località di Mitza Purdia. Ma l’indiscussa testimonianza più rilevante è anche la più antica, di età tardo neolitica (databile al 3000 a.C.): è la domu de Janas di sant’Iroxi, nota anche come Tomba dei guerrieri, dove sono state rinvenute 19 lame di spade e pugnali in rame arsenicale, risalenti alla più antica fase nuragica (Cultura di Bonnanaro, 1600 a.C.). Il sito, scoperto casualmente nel 1987, fu usato per circa 1500 anni come villaggio e poi nuovamente abitato in età romana. Deve il nome all’elevato numero di scheletri (più di 200), depositati in ben 13 stratigrafie cronologiche, e al ricco corredo bellico, rinvenuto nella domu. Il corredo è custodito al museo archeologico nazionale di Cagliari.

Erula

In origine frazione di Perfugas Nasce nel 1988 dallo ‘scorporo’ del territorio di quattro paesi. Erula è un paesino di circa 800 abitanti all’interno dell’Anglona, nato nel XIX secolo da una cinquantina di famiglie di allevatori galluresi, provenienti da Aggius, Bortigiadas e Tempio Pausania, che hanno importato tradizioni e varietà dialettale. Si stabilirono a su Sassu, un tempo foresta popolata anche da cervi, daini e rare specie di volatili. Un’origine da rintracciare forse nell’usuale transumanza invernale dei pastori. Le prime case furono costruite nel rione su Nuraghe. Il centro urbano è sparso, tipico degli stazzi galluresi, ed esteso sulla via principale. Si è formato a partire dalla chiesa di Nostra Signora del Sacro Cuore (1932). Nella sua parrocchia sono comprese antiche chiesette campestri, in particolare santa Vittoria di su Sassu, opera in stile romanico, da attribuire forse ai vittorini di Marsiglia. La chiesa- che ricade nel territorio di Perfugas ma è legata al Sacro Cuore erulese - è del 1120, datazione fornita da pergamene giunteci integre, che rappresentano il documento più antico sulle chiese sarde.

Il territorio di Erula fu frequentato fin dal Neolitico, come testimoniano domus de Janas vicino al paese. L’altipiano boscoso e ricco di sorgenti fu favorevole per l’insediamento nuragico, come dimostrano i resti dei nuraghi Erula, in cima a un’altura, attorno a cui sorse il primo nucleo del villaggio medioevale, Pubattu, sa Toa (o Poligosu) e l’incompleto Nuragheddu, intorno a cui sono sparsi numerosi macigni, utili per lo studio dell’architettura nuragica. Su un rilievo sta il nuraghe Spiene, noto per il ritrovamento (1925) di una navicella votiva con protome cervina, uno dei reperti più pregiati e importanti mai rinvenuti in Sardegna, conservato nel museo archeologico nazionale di Cagliari. Mentre nel nuraghe Sotgiu giacevano cocci di anfore, vasellame e monete romane. Un pugnale votivo a elsa gammata, scoperto in paese, è conservato nel museo archeologico di Perfugas. L’altipiano fu interessato anche da traffici commerciali cartaginesi: a testimoniarlo un piccolo forziere di monete puniche, raffiguranti le dee Tanit e Kore. Quanto all’età romana, furono ritrovate grosse giare contenenti monete variamente datate dalla dinastia Giulio-Claudia agli imperatori Antonini. Di rilievo anche la scoperta del miliare indicante il centottantesimo miglio della strada Tibula-Carales.