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Sud

Complesso gesuitico di San Michele

Nella parte alta del quartiere di Stampace a Cagliari, vicino alla porta dello Sperone, sorge il complesso gesuitico di san Michele. Lo compongono tre edifici: il convento preceduto da atrio coperto e vestibolo, l’ex Casa del noviziato, attiva sino al 1848 e oggi sede dell’ospedale militare, e la chiesa, costruita a fine Seicento, prima della cattedrale, sopra un precedente oratorio, e consacrata nel 1738. I Gesuiti, espulsi dall’Isola (1848), rientrarono nella loro chiesa ottant’anni dopo.

La storica sede della Compagnia di Gesù risponde ai dettami ideologici del potente e colto ordine. Nonostante i lavori durati quasi un secolo, appare come un complesso unitario per architettura e decorazioni. La facciata barocca, in tufo, presenta tre ordini. Il primo diviso da quattro colonne scanalate in tre arcate, che immettono in un portico voltato a crociera, dal quale accederai a noviziato e chiesa. Il secondo ordine è ornato da finestre sormontate da tre stemmi, di Compagnia gesuita, vescovo committente e (forse) donatore. Il terzo, sovrastato da un timpano triangolare, è arricchito dalla nicchia che ospita la statua, in marmo e bronzo, di san Michele: l’arcangelo impugna spada e bilancia, simboli di forza e giustizia.

Sulla destra troverai l’ingresso alla chiesa, un portale di ispirazione settecentesca con sopra un fastigio in stile genovese del tempo. Linee architettoniche, decorazioni, sculture e dipinti custoditi all’interno fanno della chiesa la principale testimonianza dell’arte barocca a Cagliari. La pianta è ottagonale, irregolare, con aula unica e quattro cappelle per lato, comunicanti tra loro. Ti colpirà la ricchezza decorativa: elementi lapidei scolpiti, stucchi, affreschi e marmi policromi costituiscono gran parte degli arredi. Le pareti sono scandite da paraste scanalate, ornate da fregi di foglie e figure umane e sormontate da una cornice lungo l’intero perimetro. La cupola poggia su un tamburo ottagonale dove si aprono quattro finestre. È coperta con tegole a squame ed è sormontata da una lanterna.

A fine Settecento fu aggiunta una sagrestia rettangolare, in stile rococò, con arredi, pavimentazione, affreschi, portali, dipinti, tra cui i Misteri del Rosario, e sculture in legno, ossia i Misteri della Passione dell’artista sardo Giuseppe Antonio Lonis, che vengono portati in processione durante i riti della Settimana Santa cagliaritana.

Sud

Cripta di San Sepolcro

La chiesa di san Sepolcro, nel cuore del quartiere Marina di Cagliari, ha una storia antica e affascinante, che inizia probabilmente nel XIV secolo e si lega secondo alcuni studiosi alle figure dei Cavalieri Templari, ma soprattutto alle vicende della Confraternita del santissimo Crocifisso, detta anche dell’Orazione o della Buona Morte, ordine religioso, istituito nel 1564, che si occupava soprattutto di dare degna sepoltura ai cadaveri di poveri ed emarginati.

Nel 1992, in occasione dei lavori di ristrutturazione della chiesa, furono effettuati controlli accurati nel sottosuolo: fu individuato un grande vano ricolmo di terra misto a ossa umane. Prima dell’editto napoleonico di Saint Cloud (1805), infatti, i corpi venivano seppelliti all’interno delle mura cittadine. Forse erano gli stessi confratelli a occuparsi delle sepolture e pare avessero fatto pervenire della Terra Santa catacombe romane affinché i defunti potessero unirsi ai santi martiri per l’eternità.

La cripta racconta un passato di solitudine ed emarginazione, la premura caritatevole di persone nell’assicurare una tomba a poveri e sventurati. La cripta del santo Sepolcro è uno degli spazi ipogeici tra i più affascinanti della città. Appena varcato l’ingresso della chiesa, accederai alla cripta tramite una botola situata al centro della navata: scendendo attraverso una breve scalinata entrerai nelle tre camere voltate a botte che compongono l’ipogeo. Gli spazi sono stati probabilmente ricavati nella roccia e la sepoltura avveniva sul pavimento tramite cumuli di terra. Il vano principale è interamente dipinto di nero, con la tecnica della tempera a carbone, come se le pareti fossero rivestite da funesti tendaggi. In una delle sale vedrai un sepolcro in muratura, forse destinato alla salma di un personaggio illustre. Sulle pareti scorgerai tracce di affreschi: il dipinto più rilevante raffigura la ‘Morte’ ritratta come uno scheletro avvolto da un manto regale di ermellino, con una clessidra, simbolo del tempo che scorre, in una mano e con la falce nell’altra. Sulla lama leggerai un lugubre monito: nemini parco, ‘non risparmio nessuno’.

La Sardegna sorprendente dei festival letterari

Uno spaccato di Sardegna inconsueta, raccontata dagli eventi letterari, in primavera, estate e autunno. Appuntamenti che accompagnano i momenti di relax durante la vacanza sulla costa o in amene località dell’entroterra. Emblema delle rassegne di letteratura è l’Isola delle storie di Gavoi, fiabesco borgo barbaricino. Dal 2004, nel primo weekend di luglio, scrittori, attori, giornalisti, musicisti e migliaia di appassionati lettori si incontrano, accolti dalla comunità gavoese, pronta a condividere tradizioni e buon vivere. Le case ‘di pietra’ si aprono agli ospiti, i balconi di legno o ferro battuto, colorati da fiori, diventano palcoscenici, le piazze sono arene per il pubblico. Nel corso delle edizioni, il festival ha costantemente aumentato il prestigio, oggi di livello internazionale. Contemporaneamente ne sono cresciuti tanti altri, come Marina Café Noir, Licanìas, La Notte dei Poeti ed Éntula, un festival diffuso che con un ricco programma, da gennaio a dicembre, anima piazze, biblioteche e teatri di decine di centri sardi.

Nostra Signora del Regno

Appare con scura imponenza all’ingresso di Ardara, borgo del Logudoro arrampicato sulle pendici del Montesanto. La basilica di Nostra Signora del Regno sorge vicino ai ruderi di un palazzo reale, coevo e un tempo sede dei giudici di Torres, i quali prestavano giuramento nell’altare della chiesa e qui furono sepolti. Da un alto poggio guarda sulla pianura sottostante: posizione isolata e dominante che accresce il fascino di un edificio fatto di nerissimi conci di trachite ‘ferrigna’. In origine era solo una cappella: fu cura del giudice Comita (o forse di sua sorella), nella seconda metà dell’XI secolo ampliarla. I lavori furono portati a termine da maestranze pisane nel 1107, come risulta dall’epigrafe di consacrazione sull’altare. Sorse uno straordinario monumento, tra i più importanti dell’architettura romanica in Sardegna, caratterizzato da essenzialità e imponenza. Ti colpirà per il contrasto tra nero della pietra basaltica e oro della pala cinquecentesca collocata sull’altare.

Nella facciata, divisa in cinque specchi da lesene, si apre un portale arcato. Addossato al fianco nord c’è il campanile. Delle tre navate, scandite da pilastri, le due laterali sono voltate a crociera, la centrale ha copertura lignea. Nell’abside c’è il Retablo maggiore: è la storia della Salvezza, raccontata da immagini di profeti, patriarchi, santi e beata Vergine. Nella predella dell’opera sono riportati autore e data (1515). All’interno ammirerai anche un ciclo di affreschi seicenteschi, raffiguranti i dodici apostoli e i quattro padri della Chiesa, e il retablo Minore, pulpito in legno che narra la Passione di Cristo. Altra opera di valore, degli inizi del XII secolo, è lo stendardo processionale: da un lato è dipinta la Madonna col Bambino, dall’altro il velo della Veronica col volto di Cristo. Diventa protagonista in occasione della festa patronale di Ardara, che richiama folle di devoti. Le celebrazioni culminano nella processione del 9 maggio, accompagnata dal coro dei sos gosos, lodi in onore della Madonna. Seguono canti, balli e spettacoli folkloristici.

A proposito di luoghi di culto di straordinario impatto, vicino potrai visitare anche Nostra Signora di Castro (XII secolo) e basilica di sant’Antioco di Bisarcio, una delle maggiori chiese romaniche sarde. Nei dintorni non perdere anche castello di monte Acuto, grotta di san Michele, da cui prende forma la ‘cultura di Ozieri’ (3200-2800 a.C.), nuraghe Burghidu e ponte romano sul rio Mannu.

Fede e audacia, è tempo di Ardia

Illuminato da un’apparizione notturna, il giovane imperatore Costantino ordinò che sullo scudo dei suoi soldati fosse apposta una croce con la scritta In hoc signo vinces (con questa insegna vincerai). Nonostante fosse in netta inferiorità numerica, il suo esercito vinse la battaglia di Ponte Milvio del 28 ottobre 312 contro i ‘pagani’ di Massenzio, autoproclamatosi, con l’appoggio del senato, ‘augusto’ dell’Italia e dell’Africa. L’anno seguente Costantino promulgò a Milano l’editto che avrebbe garantito la fine delle persecuzioni subite dai cristiani. A Sedilo, piccolo paese al centro dell’Isola, l’imperatore romano è chiamato santu Antine ed è di gran lunga il santo più venerato, un culto di origine bizantina che rivive ogni anno, il 6 e 7 luglio, in un evento suggestivo e misterioso: s’Ardia.

Santuario di San Costantino imperatore

In sardo è noto come Santu Antinu. La chiesa campestre di san Costantino, nel territorio di Sedilo, si affaccia sullo splendido scenario del lago Omodeo, il più grande invaso artificiale dell’Isola (per molto tempo il maggiore d’Europa). Lungo il perimetro del santuario sono disposte le costruzioni destinate e all’accoglienza dei pellegrini, dette cumbessias o muristenes.

Non si conosce l’anno di fondazione ma è certo che San Costantino Imperatore è di antichissima origine. L’attuale impianto risale al XVI secolo, in stile gotico catalano e ha subito una ristrutturazione nel XVIII secolo. Del primo impianto rimane il presbiterio a pianta quadrangolare con volta a crociera e costoloni con peducci scolpiti alla base.

L’aula, divisa in tre navate da pilastri e archi a tutto sesto, è voltata a botte. L’interno è concluso, a ridosso del presbiterio, con un arco ogivale. La facciata, in trachite rossa a vista, è a terminale curvilineo. Il portale è sormontato da timpano retto da due semicolonne. Ai lati e all’interno del timpano vedrai tre nicchie, mentre sopra si apre una finestra rettangolare. Sul lato sinistro della facciata si innalza un piccolo campanile a vela. All'interno del santuario sono esposti numerosi ex voto.

Attorno alla chiesa si svolge, al tramonto del 6 e all’alba del 7 luglio, s’Ardia, spettacolare corsa a cavallo in onore del santo, che ricorda la battaglia di Ponte Milvio tra Costantino e Massenzio. È uno degli eventi identitari più suggestivi della Sardegna e richiama migliaia di visitatori attratti da fascino e spericolatezza. Il rituale prevede la guida de sa prima pandela (capocorsa), seguito da altri due cavalieri e da tre scorte che simboleggiano Costantino e suo esercito. Altri cento cavalieri, invece, rappresentano i pagani guidati da Massenzio.

Santuario e Ardia sono i simboli del borgo di Sedilo, caratterizzato, oltre che da tradizioni ataviche, anche da antiche dimore di pietra. Il suo territorio è perfetto per escursionisti a piedi, in bici o a cavallo, in particolare le sue foreste con percorsi segnalati. Da non perdere è il parco geologico, al cui interno, sulle sponde del lago Omodeo, c’è la reggia nuragica di Iloi (risalente al Bronzo medio-recente), composta da nuraghe trilobato, villaggio e due tombe di Giganti. Poco distante un’altra importante testimonianza nuragica: la fonte sacra di Puntanarcu. E nelle vicinanze c’è anche la necropoli di Ispiluncas, costituita da una trentina di domus de Janas, testimoni della frequentazione prenuragica del territorio.

Villa Sant'Antonio

Sorge sulle colline delimitate a sud dalla giara di Assolo, a est dal fiume Imbessu, a nord dal monte Grighine e a ovest dalla Brabaxiana di Usellus. Villa sant’Antonio è un centro di appena 350 abitanti dell’alta Marmilla, che occupa un territorio ricco di attrazioni naturalistiche e di rare testimonianze archeologiche, come i menhir. Il paesino nacque a inizio XVIII secolo come novenario intorno alla chiesa di Sant’Antonio abate, edificata per consacrare il luogo di ritrovamento del simulacro del santo. Assunse l’attuale denominazione soltanto nel 1985. Attività agricole e allevamento sono le principali risorse economiche. Il territorio collinare, ricco di sorgenti, è coperto da fitta macchia mediterranea e rigogliosi lecci e sughere. Lungo la valle dell’Imbessu verdeggiano ontani, salici e tamerici. Il territorio è ricco di testimonianze preistoriche, protostoriche e romane. I primi insediamenti prenuragici hanno lasciato tracce sul lungo pianoro del monte Padrillonis, a due chilometri dal paese. Al Neolitico risalgono anche una sessantina di domus de Janas: di is Forrus, dove sono presenti il tipo più antico ‘a pozzetto’ e quello più recente con corridoio prima della camera mortuaria, Stessa tipologia a Genna Salixi. Altre sepolture si trovano nel sito di Maccettu (o Trunch’e Pani). Nel territorio di Villa Sant’Antonio è straordinaria la concentrazione di perdas fittas (pietre conficcate) o menhir, megaliti realizzati tra 3300 e 2500 a.C. In origine erano grossi massi appena sbozzati che adornavano, singoli o in gruppo, le aree cimiteriali (e anche insediamenti abitativi e ambiti cultuali). Poi assunsero forme dal profilo ogivale a sezione piano-convessa. A Villa Sant'Antonio ci sono una serie di esemplari di queste prime fasi, detti ‘protoantropomorfi’, a Carabassa e Cardixeddu. In seguito la loro figura si fece più equilibrata e slanciata (menhir antropomorfi), di cui osserverai alcuni esemplari. Straordinario è il menhir di monte Curru Tundu: è alto quasi sei metri. Altre ‘pietre fitte’ sono in zona Tuttiricchiu. Non mancano le testimonianze nuragiche: dieci esemplari di quattro tipologie, nuraghi a corridoio, monotorri, complessi e uno ‘a tancato’. Il più antico è il nuraghe Spei, con due piani sovrapposti, risalente alla fine del Bronzo antico (1800-1500 a.C.). Di poco successivi sono i nuraghi Crannaiou e Genna sa Pira (1500-1200 a.C.). L’età romana è testimoniata da quattro insediamenti, a nord (Pranu Cilixia, sa Sedda ‘e s’aurras) e a sud del paese (Funtana Menta e sulla riva del rio Imbessu). In età bizantina è stata costruita la chiesa di San Giorgio.

Grotta di Santa Barbara

Agli occhi dei minatori che la scoprirono nel 1952, durante i lavori di scavo di un pozzo, dovette apparire come una visione. Fino ad allora era sconosciuta, nascosta nelle viscere della montagna: la grotta di santa Barbara è una delle più antiche del mondo, la più ‘anziana’ d’Italia, una meraviglia naturale incastonata nel cuore della miniera di san Giovanni, nel territorio di Iglesias. Dopo un lungo periodo di chiusura, dal 2016 è visitabile con accessi regolamentati, limitazioni che servono a preservarla come si deve a un gioiello prezioso.

La cavità è costituita da una grande salone alto oltre 25 metri e costellato di colonne di stalattiti (alte da cima a fondo della sala) e splendide stalagmiti, ricoperte da eccentriche di aragonite, formatesi nel corso di millenni. Altra caratteristica della grotta sono concrezioni a nido d’ape disposte lungo pareti e volte. Nella parte inferiore un piccolo lago silente fa risplendere di riflessi d’acqua le pareti intorno. La grotta si apre tra uno strato di calcare ceroide e dolomia gialla silicizzata, formazioni risalenti al Cambrico inferiore (circa 500 milioni di anni fa): rappresenta un unicum per i cristalli tabulari di barite bruno scuro che ne tappezzano le pareti, conosciuta soltanto qui in tutta Europa.

Alla grotta, nella quale dal 1875 al 1998 si estraevano piombo e zinco, accederai a bordo di un trenino elettrico che attraversa la galleria mineraria (circa 300 metri di tunnel), posta a 200 metri d’altitudine. Dal trenino, con un ascensore salirai lungo il pozzo per 36 metri e poi entrerai a Santa Barbara da una scala a chiocciola. La grotta non ha sbocchi esterni, anche per questo motivo si è mantenuta così integra.

Il tratto in trenino riporta indietro nel tempo all’epopea mineraria, che ha caratterizzato tutto il Sulcis-Iglesiente: dentro la galleria vedrai polvere da sparo, micce a combustione lenta, detonatori, tramogge, persino il minerale sulle pareti. Accanto alla grotta passa il cammino minerario di santa Barbara: un itinerario storico-religioso di 400 chilometri, da percorrere a piedi o in mountain bike, lungo antichi sentieri e ferrovie dimesse, oggi patrimonio di archeologia industriale del parco Geominerario della Sardegna. Per approfondire la conoscenza del mondo minerario potrai visitare museo dell’arte mineraria e museo delle macchine di Iglesias oppure ‘addentrarti’ con percorsi guidati nelle miniere di Monteponi, san Giovanni di Domusnovas e Masua.

Madonna del Rosario

Si affaccia in piazza Castello al centro di Sassari, dove un tempo sorgeva una porta della cinta muraria della cittadella medioevale, e si mostra nell’architettura e negli arredi una compiuta e splendida espressione d’arte barocca. Si deve all’operosità dei frati domenicani il primo impianto della chiesa della Madonna del Rosario, edificata, insieme al convento, nel 1635. Il tempio fu ricostruito e ampliato vent’anni dopo, assumendo le forme attuali. I lavori si conclusero nel 1759 con la facciata, opera del sassarese Gavino Pirinu, ripartita in due ordini. Al centro della parte inferiore spicca un portale inquadrato da colonne di ordine corinzio e da una trabeazione dalle cui estremità si innalzano due volute che simulano un frontone curvilineo. Al suo interno una nicchia ospita la statua della Madonna del Rosario. Il secondo ordine è più stretto e liscio, con al centro una finestra a sesto acuto.

Appena entrato, il tuo sguardo sarà rapito dall’altare maggiore: l’intera parete di fondo è occupata dal monumentale retablo del Rosario (1682), in legno intagliato, policromato e dorato, considerato per dimensioni e pregio una delle opere di maggior rilevanza nell’ambito dell’arte sacra isolana. È strutturato in tre ordini, due inferiori che includono sei statue all’interno di nicchie e il fastigio superiore.

Come consuetudine degli edifici di culto sassaresi tra XVII e XVIII secolo, la chiesa ha un’aula a navata unica, articolata in tre campate, sulle quali si aprono tre cappelle per lato, voltate a botte. Sullo sfondo, dominato dal retablo ligneo, si trovano il presbiterio rialzato, che si raccorda all’aula tramite un arco trionfale, e l’abside, entrambi a base quadrangolare. Il presbiterio è coperto da una volta a botte che si imposta su una cornice modanata, ornata a dentelli e da un fregio a triglifi ed è scandita dai doppi arconi trasversi. Le cappelle laterali sono interamente decorate con motivi imitanti le tarsie marmoree, tecnica decorativa barocca, insolita nel contesto sardo. Al loro interno spiccano altari in pietra e stucco, dipinti con effetti marmorizzati, che si caratterizzano per grande varietà di motivi ornamentali.

Strutture e ornamenti della Madonna del Rosario sono riconducibili a un progetto organico di maestranze di liguri e lombarde attive a Sassari a fine Seicento. Architetture e soluzioni decorative barocche si ritrovano anche nella ricca facciata del duomo di san Nicola, in varie opere e ornamenti della chiesa di sant’Antonio abate e negli arredi di San Pietro di Silki.

Monte Corrasi

Il suo aspetto è caratterizzato da pareti calcaree a strapiombo, torrioni, candide guglie, grotte e ampi pianori, aspro e spoglio in vetta, ricoperto di lecci nella fascia mediana e adorno di olivi, viti e mandorli a valle. Il monte Corrasi è la cima più alta del vasto e impervio altopiano del Supramonte, nonché uno dei rilievi più suggestivi dell’Isola. Gli impegnativi sentieri che lo attraversano e salgono sino a 1463 metri sono meta ambita di esperti (e allenati) appassionati di trekking, che arrivano a Oliena per scalarlo. Dalla cresta del Corrasi, godrai di vedute spettacolari e di un panorama a 360 gradi che giunge fino a Nuoro, Orgosolo, Dorgali, fino alla costa di Cala Gonone e al Gennargentu. Flora e fauna completano la ‘specialità’ di un luogo dall’atmosfera dolomitica: sembrerebbe del tutto arido e desolato, in realtà ospita 650 specie botaniche, di cui circa 60 endemiche. Un paradiso vegetale di prim’ordine che spinse la società botanica italiana a inserire la montagna nel censimento dei biotopi di rilevante interesse e in cui dimorano rapaci come aquila reale, poiana falco della regina e falco pellegrino, nonché si muove liberamente il muflone.

Nel Supramonte di Oliena, caratterizzato da valli, pianori, doline e canyon, oltre il Corrasi, potrai affrontare altre punte: Ortu Hamminu, Carabidda, ai piedi del quale sorge il paese, sos Nidos, dove nidificano vari rapaci, e il suggestivo cucuzzolo di punta Cusidore. Per i trekker da non perdere anche la scalata a monte Maccione e, soprattutto, la visita alla valle di Lanaitto (o Lanaittu), ricca di siti naturalistici e preistorici: racchiude il villaggio di Tiscali, le grotte sa Oche e su Bentu e le grotta Corbeddu. A inizio valle troverai l’area sacra sa Sedda ‘e sos Carros, importante per le tracce dell’attività di lavorazione dei metalli in età nuragica e come testimonianza del la pratica del culto delle acque. Immancabile è la visita alla sorgente carsica su Gologone, dichiarata monumento nazionale. “Il mormorio dei boschi attorno è come d’un mare non molto lontano; una risacca a pie’ dei monti”. Così in ‘Viaggio in Sardegna’ (1936), Elio Vittorini evoca le sensazioni generate da Oliena, Comune Bandiera arancione e uno dei paesi più caratteristici del Nuorese per posizione invidiabile, bellezze naturalistiche, tradizioni culturali e accoglienza della sua comunità. Manufatti, come ricami su scialli di seta e gioielli in filigrana, pane carasau, cucina di impronta pastorale e Nepente, rinomato cannonau venerato dal poeta D’Annunzio sono alcune sue peculiarità.