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Riu Mulinu

Dai suoi quasi 250 metri d’altitudine, in cima al picco di Cabu Abbas, controllava da posizione strategica l’arrivo di imbarcazioni nemiche, il suo orizzonte arrivava sino all’isola di Tavolara. Il nuraghe Riu Mulinu è una delle fortificazioni nuragiche più conosciute del nord dell’Isola. Sorge a pochi chilometri da Olbia ed è databile intorno al XIV-XIII a.C. La torre centrale è ben protetta da una possente muraglia che cinge il colle per 220 metri di lunghezza, con altezza e larghezza che raggiungevano fino a cinque metri. La caratteristica principale della cinta muraria è il fatto di essere inglobata negli spuntoni rocciosi che si trovano lungo il suo perimetro. Si apre in due ingressi: uno a nord, l’altro a sud. Dentro le mura, la costruzione è monotorre con forma circolare di circa otto metri di diametro.

Formato da blocchi di granito il nuraghe è caratterizzato da un andito che presenta una piccola nicchia e una scala che portava al piano superiore non più agibile. Il vano sotto la scala conduce a una fossa sacrificale, nella quale sono stati ritrovati frammenti di ossa bruciate e reperti ceramici. Gli scavi, risalenti al 1936, hanno riportato alla luce un bronzetto che raffigura una donna con un’anfora sulla testa. Grazie all’importante scoperta, gli studiosi hanno potuto datare la costruzione e individuare il nuraghe come luogo legato ai rituali sacri del culto dell’acqua.

Il Riu Mulinu è la massima espressione nuragica di Olbia, ma hanno grande rilievo anche altri due monumenti del II millennio a.C.: il pozzo sacro sa Testa, poco fuori dal centro abitato, anch’esso dedicato al culto delle acque, e la tomba di Giganti di su Monte de s’Aba (o de s’Ape), che ha la particolarità di essere stata una ‘fossa’ comune, dove i defunti erano sepolti collettivamente. Abitata da fenici e greci, Olbìa (che significa ‘felice’) diventò colonia romana, che ci ha lasciato in eredità soprattutto l’acquedotto, le terme e s’Imbalconadu, tipica fattoria romana. Per completare il tour nella preistoria e nella storia della città, non puoi perderti l’occasione di fare un viaggio attraverso varie epoche nel museo Archeologico, allestito sull’isolotto di Peddone, e nel museo della necropoli, sotto la suggestiva basilica di san Simplicio, patrono della città.

Sud

Orto Botanico - Cagliari

Un vasto spazio verde nel centro storico di Cagliari, che conserva migliaia di specie vegetali, alcune molto rare, provenienti da tutto il mondo, e al suo interno un’area archeologica che custodisce un gran numero di reliquie romane. L’Orto botanico, la cui superficie, simile a un trapezio, è di circa cinque ettari, occupa la parte bassa della valle di Palabanda, in un’area compresa tra Anfiteatro romano, Orto dei cappuccini e villa di Tigellio, dove ci sono resti anche di altre domus romane e di un edificio termale.

Nel 1820 si iniziò a parlare della realizzazione di un orto botanico nella valle appartenuta nel corso dei secoli ai Gesuiti, al Reale patrimonio, a vari privati, fino all’acquisto da parte dell’Università. I lavori iniziarono nel 1864 sotto la guida del fondatore Patrizio Gennari e ricalcarono il progetto originale dell’architetto Gaetano Cima. È evidente nel fondo valle, caratterizzato da una serie di aiuole simmetriche rispetto a un viale, che si sviluppa dall’ingresso sino alla fontana del piazzale centrale e prosegue sino a una vasca occupata da un maestoso cipresso delle paludi’ e alla Fontana Pampanini. Qua osserverai gli esemplari più vetusti del giardino. Sul versante a sinistra del viale, troverai le specie succulente (‘grasse’) nel ‘deserto’, distinto in piante di origine africana e flora neotropicale, e le arecaceae (palme) nel ‘palmeto’, dove si è ricostruito l’habitat di un’oasi. A destra troverai il Bosco mediterraneo, dove ammirerai specie arbustive e arboree della macchia mediterranea, e l’Orto dei semplici, che ospita piante officinali usate nella tradizione popolare e considerate le più efficaci dalla scienza erboristica. Mentre l’Esposizione delle geofite è un settore recentissimo (2009) con una collezione di circa 200 esemplari. Dal fondovalle raggiungerai la parte alta tramite una scalinata. Meritano una visita anche la Grotta Gennari, la Vasca a trifoglio, la Cava romana, la passeggiata sopraelevata, la banca del Germoplasma e il museo botanico. Imperdibili, infine, le Roccaglie delle biodiversità, ossia allestimenti, ospitati dal 2004, che ricreano condizioni nelle quali vivono in natura alcuni tipi di piante che crescono in territori pietrosi. In quest’area sono conservate il 90 per cento delle specie endemiche, rare e ‘minacciate’, delle isole del Mediterraneo occidentale, in particolare sarde. Ogni settore è suddiviso in aiuole caratterizzate da un ‘tema’.

Su Motti

Raggiungerai il parco archeologico e botanico de su Motti dal centro storico di Orroli passando per la strada panoramica che sovrasta l’abitato e dà accesso a due ‘sentieri della memoria’, attraverso cui viaggerai nel tempo. Agevole quello di sinistra, che ti condurrà all’area delle domus de Janas (case delle fate), impegnativo quello di destra, che ti porterà all’altopiano Taccu Idda, da dove osserverai meravigliosi panorami. Nei boschi del parco troverai roveri secolari e fitta macchia mediterranea con l’inconfondibile profumo di lentischio e cisto. L’area è abitata dall’uomo fin dal Neolitico (3800 a.C.) ed è costellata da enormi massi di basalto eruttati dal vicino monte Pitziogu, vulcano spentosi in epoca quaternaria.

Nel parco troverai qualche nuraghe monotorre e, soprattutto, una necropoli ipogeica di circa quindici domus de Janas, tombe prenuragiche scavate nelle pareti rocciose de sa Carona Arrubia e in grandi massi di basalto. Attorno alle grandi pietre la memoria popolare ha elaborato fantastici racconti, tra cui la vicenda del gigante malvagio Impolla, simbolo locale. Le leggende sono state tramandate oralmente e avvolgono di aura misteriosa i resti preistorici. Su Motti è un museo a cielo aperto che racconta anche di storia ottocentesca: la parcellizzazione dei boschi con i tipici muretti a secco di pietre basaltiche, che ha generato is tancas, appezzamenti di terra chiusi. I muretti sono testimoni dell’epoca della proprietà privata. La chiusura dei terreni, legittimata nel 1823, comportò anche i conflitti di classe fra contadini e pastori: da sempre il bestiame aveva pascolato nei terreni aperti, patrimonio della comunità.

Nelle vicinanze non perdere l’occasione di vedere la grotta sa Ucca Manna (la bocca grande), dove sono convogliate le acque di sorgenti e torrenti vicini. La voragine è ricca di concrezioni e stalattiti lunghe e intatte. Da Orroli potrai partire per altri itinerari tra natura e archeologia: l’escursione in battello nel lago del Flumendosa e di trekking al nuraghe Arrubiu, ricoperto di licheni rossi e unico con cinque torri; la visita a Sadali per ammirare centro storico e casa museo di zia Carmela, mulino, cascata di san Valentino e le grotte Is Janas, avvolte da leggende sulle fate-streghe pietrificate all’interno; una gita alla valle dei nuraghi di Isili, al lago di san Sebastiano, col caratteristico isolotto che ospita una chiesetta da cui prende nome, e nei boschi tra Santa Sofia e Villanova Tulo.

Santa Maria delle Grazie

Due particolarità ti colpiranno: la chiesa di Santa Maria delle Grazie, risalente al 1300, è priva di facciata e ha l’ingresso su un lato, al centro di tre ampie arcate di pietra trachitica e calcarea. Un tempo principale edificio di culto di Castelsardo, sino a inizio XVI secolo è stata cattedrale della diocesi che comprendeva l’Anglona. Perso il titolo a vantaggio dell’attuale scenografica cattedrale di sant’Antonio Abate, la chiesa divenne sede dell’oratorio della confraternita di Santa Croce. I confratelli custodiscono la tradizione del Lunissanti, la processione più suggestiva della Settimana santa castellanese. Parte da Santa Maria della Grazie, dopo la messa dell’alba e arriva sino alla basilica di Nostra Signora di Tergu, dopo più di dieci chilometri di cammino. Il rientro notturno è illuminato da fiaccole tremolanti.

L’interno di Santa Maria è a navata unica con altare maggiore neoclassico posto nell’abside, che custodisce un ecce homo (scultura di Cristo) tra due nicchie e altre statue di santi. La chiesa è arricchita da altari minori lignei barocchi e da una statua di san Francesco. La cappella con volta a crociera accoglie il famoso crocefisso del Cristo Nero, del 1300, uno dei più antichi in Sardegna. É detto Cristu Nieddu per via del legno di ginepro anneritosi nel tempo. Era considerato miracoloso e portato in processione tutte le volte che calamità naturali si riversavano sulla cittadina.

La chiesetta trecentesca e il convento francescano annesso sono stati protagonisti, nutrendo la spiritualità della sua popolazione, della storia di Castelsardo, un tempo roccaforte medioevale dominata dal castello dei Doria e protetta da mura e 17 torri, oggi appartenente al club dei borghi più belli d’Italia, caratterizzato da natura, storia, tradizioni artigiane e religiose. Il castello ospita il museo dell’Intreccio mediterraneo, uno dei più visitati della Sardegna. Da non perdere anche i palazzi La Loggia e Eleonora d’Arborea, i siti archeologici di nuraghe Paddaju, mura megalitiche di monte Ossoni e domus de Janas ‘a protome taurina’ e monumenti naturali come la roccia dell’Elefante. Dalla cultura al mare: il litorale è fatto di alte scogliere di trachite rossa. Tra i tratti sabbiosi spiccano la Marina di Castelsardo e la spiaggia di Lu Bagnu: arenile color crema con fondale cristallino. Per gli appassionati di windsurf e vela, è imperdibile una puntata a punta La Capra. Il mare è anche sulle tavole dei ristoranti castellanesi.

Su Mont’e s’Abe

Di fronte al castello di Pedres, vicino al centro abitato di Olbia, un alone di mistero circonda un luogo di sepolture nuragiche. Nella tomba di Giganti de su mont’e s’Abe (o s’Ape), a differenza delle migliaia di sepolture preistoriche del suo genere, i defunti erano sepolti in forma collettiva. Nella sala funeraria venivano officiati i riti sacri legati al defunto ma qui, rispetto a quanto capitava altrove, non sono stati rinvenuti nel pozzetto sacro i documenti funerari che accompagnavano il defunto sino al congiungimento con la divinità.

La costruzione fu edificata in due fasi. Nella prima, risalente al periodo della cultura di Bonnanaro, venne costruita la tomba ad allée couverte - una sorta di dolmen allungato -, successivamente, attorno al 1600 a.C., fu trasformata in tomba di Giganti con esedra e stele, delle quali potrai ammirare alcune tracce. La costruzione, originariamente costruita a forma di testa di toro, divinità generatrice di vita, era delimitata frontalmente da un semicerchio.

Al centro dell’esedra si trovavano una stele di granito alta quattro metri e, alla base, una piccola apertura usata come ingresso della tomba. Al suo interno, il sepolcro era formato da una camera lunga dieci metri, mentre l’intera struttura tuttora ben visibile è lunga 28 metri e larga sei, una delle più grandi di tutta la Sardegna.

La civiltà nuragica è testimoniata nel territorio olbiese anche dal nuraghe Riu Mulinu, uno dei più importanti monumenti preistorici del nord Sardegna, e dal pozzo sacro sa Testa, dove si svolgevano i rituali del culto dell’acqua. Olbìa, ossia ‘felice’, fu fondata dai greci, poi divenne colonia romana, che ci ha lasciato in eredità suggestive ed evidenti tracce: l’acquedotto, le terme e s’Imbalconadu, tipica fattoria romana. Per completare il tour culturale, imperdibile una visita al prezioso museo Archeologico, allestito sull’isolotto di Peddone, che ti permetterà un viaggio attraverso varie epoche, e al museo della necropoli, sotto la suggestiva basilica di San Simplicio, patrono della città. Mentre, la chiesa di san Paolo, con la sua iridescente cupola di maioliche, sarà protagonista delle tue foto.

Sud

Sant'Efisio, la festa della Sardegna

Crepitio e passi crescenti, zoccoli ritmati e ruote di carri che avanzano all’unisono. Cagliari è attraversata da un corteo di 2800 persone in abiti tradizionali, in arrivo da ogni luogo della Sardegna, al loro seguito oltre duecento cavalieri, i Campidanesi, i Miliziani e la Guardiania. Un incontro di colori, costumi, suoni delle launeddas e de is goccius, i canti devozionali: dal primo al 4 maggio si celebra la Festa di Sant'Efisio. Si rievocano le vicende di inizio IV secolo del santo guerriero e si scioglie il voto perpetuo a lui rivolto durante la pestilenza del 1652. Un’intera Isola si ferma per ripetere un rito lungo quasi quattro secoli.

La Sardegna svela i suoi tesori architettonici

Magnificenza artistica, memoria storica, identità culturale e senso di comunità: Monumenti Aperti è la più grande ‘mobilitazione’ popolare di tutela, valorizzazione e promozione dei beni culturali in Sardegna. Così come l’anno scorso, l’edizione 2025, la 29esima, si articola in due fasi, nell’arco di nove fine settimana: la prima fase dal 3 maggio al 1° giugno, la seconda tra ottobre e novembre. Durante queste giornate si apriranno centinaia di luoghi di cultura: musei e siti archeologici, chiese ed edifici storici, monumenti naturali e parchi. Ogni comunità ‘si racconta’ attraverso itinerari letterari e percorsi nell’architettura urbana, in borghi e città segnate da secoli di evoluzione e trasformazioni. Volontari e studenti saranno pronti a guidarti in un viaggio nella bellezza che attraversa i millenni, sin nel passato più lontano, tra resti di antiche civiltà. Luoghi di ieri e di oggi, dove coesistono memoria e idee per il futuro.

Bassa Trinità

Nel tratto più settentrionale della strada costiera che percorre tutto il perimetro dell’isola della Maddalena troverai la suggestiva spiaggia di Bassa Trinità. È custodita tra uno sperone di roccia alto 128 metri, un tempo usato come batteria militare, e piccole calette di granito collegate tra loro. Il nome deriva da una antica chiesetta, detta ‘Della Trinità’, costruita subito dopo l’occupazione dell’isola (nel 1767) e che si erge al centro di un piccolo insediamento un tempo abitato da gente corsa.

La località è luogo di culto molto sentito dagli isolani, ma anche una zona molto apprezzata dagli amanti del mare. A valle della chiesetta, la spiaggia in origine era chiamata abbassu à Trinita, che significa ‘sotto la Trinità’. È caratterizzata da sabbia bianca a grana fine e contornata da scogli granitici che si sollevano dal mare. Il fondale è basso e sabbioso, i colori dell’acqua tra turchese, azzurro e verde. Alle spalle dell’arenile è protagonista la macchia mediterranea, arricchita da numerose specie vegetali tipiche della costa gallurese. L’area è dotata di tutti i servizi per la balneazione, comodo parcheggio e punti ristoro. Da Bassa Trinita potrai intraprendere un sentiero naturalistico di trekking che porta a visitare tutta l’area circostante.

Perlustrata l’area vicina, rimettiti in marcia per visitare tutti i 45 chilometri di costa maddalenina: graniti e porfidi delimitano insenature e calette. A nord troverai rocce modellate dal vento e spiagge di dune bianche simili a Bassa Trinita, come Cala Lunga e Monti d’a Rena. A est, poco oltre l’istmo che collega La Maddalena a Caprera, Spalmatore ti offrirà un suggestivo paesaggio. A Cala Francese alcuni sentieri ti faranno scoprire baie silenziose e spiagge da sogno. Nella parte sud-occidentale, seguendo il lungomare di Padule, si arriva all’affascinante Nido d’Aquila. Non lontano, un’altra meraviglia: Punta Tegge.

La primavera nei borghi

L’esplosione dei colori primaverili nell’Isola fa rima con una delle sue ‘cartoline’ più caratteristiche: le variopinte case di Bosa. Passeggiando lungo il Temo le ammirerai specchiarsi nelle acque del fiume e inerpicarsi sul colle dominato dal castello dei Malaspina, mentre attraversando il Ponte Vecchio raggiungerai la sponda sud per scoprire le antiche concerie. Sarai accolto da un calice di malvasia e estasiato da gioielli di corallo, cesti di asfodelo e tessuti preziosi. Bosa è un mix di storia e artigianato, archeologia industriale e prelibatezze. Da visitare le sue chiese: il ‘duomo’ dell’Immacolata Concezione, Nostra Signora de sos Regnos Altos dentro il castello e San Pietro extra muros, centro di Bosa vetus. E da non perdere le bellezze naturali sulla costa: il parco di Capo Marrargiu, Bosa Marina, s’Abba Druche, Cane Malu e Compoltitu.

Osilo

Si arrampica a quasi 700 metri d’altitudine nella più settentrionale delle tre cime del Tuffudesu, dominato dal castello dei Malaspina, risalente a fine XII secolo, di cui ammirerai due torri e mura perimetrali. Osilo, borgo di tremila abitanti, è il secondo Comune più alto della provincia di Sassari. Ha origini medioevali e fu centro molto importante sino ai primi del XX secolo. Ha conservato vive tradizioni artigiane, specie manufatti tessili, e agropastorali: è la patria del formaggio pecorino. Altra prelibatezza sono le casadinas (formaggelle). Ad agosto, viuzze in acciottolato, case in pietra ed edifici storici (come il Palazzo civico del 1600) si animano con Artes Antigas, riscoperta di antichi mestieri e cultura tradizionale, e con la Corsa all’anello, giostra equestre dove i cavalieri, in abiti tradizionali, al galoppo, infilzano anelli sospesi lungo il tracciato.

Osilo vanta un numero eccezionale di chiese: 36. Spiccano la parrocchiale dell’Immacolata Concezione (fine XVII secolo), con altare in marmo policromo e coro ligneo settecentesco, e la piccola chiesa di san Maurizio, in stile gotico-catalano (XVII secolo), con altare in tufo che custodisce la statua del santo in una nicchia dipinta con conchiglia scolpita. Santa Ittoria ‘e sa Rocca fu ristrutturata nel 1731 con prospetto rinascimentale e andamento curvilineo. Nel centro storico, si erge Nostra Signora del Rosario (XVII secolo), esempio di arte tardo-rinascimentale con richiami gotici. Non lontana c’è la chiesa di Babbu Eternu, forse la più antica del paese. Mentre, in periferia c’è Sant’Antoni ‘e sa punta (XVII secolo). Da non perdere Nostra Signora di Bonaria, sulla vetta del Tuffudesu, a 800 metri d’altezza: da qui godrai di una vista che arriva fino all’Asinara. Fu simbolo per i marinai, dato che è uno dei primi punti avvistabili dal mare. Infine, le chiese di san Giovanni battista, santa Lucia e san Lorenzo, citata già nel 1688 ma restaurata a inizio XX secolo. La chiesetta si trova nella frazione omonima, all’interno della valle dei mulini. Qui la natura calcarea della roccia è caratterizzata da improvvisi salti, che permettono all’acqua di scorrere con forza tanto da essere stata sfruttata da sempre: a metà XIX secolo si contavano 25 mulini attivi. Oggi, in disuso, sono visitabili. Negli strapiombi del Tuffudesu e del resto del territorio ci sono più di trenta vie di arrampicata. Oltre che di climber, l’area è meta di appassionati di mountain bike, grazie a rilievi, mulattiere e strade tortuose. Il territorio è disseminato di tracce umane sin dal Neolitico: le otto tombe a domus de Janas di Ittiari e le tre di Is Scalas, due tombe di Giganti e una decina di nuraghi, tra cui sa Pala ‘e su Cossu.